La martire non risponde nulla, ma d’improvviso si slancia, sputa negli occhi del tiranno, poi manda gli idoli in frantumi, e calpesta la farina sacra contenuta nei turiboli. Immediatamente due carnefici dilaniano il suo petto di giunco, le infliggono due uncini di ferro nei fianchi virginei dilaniandola fino alle ossa, mentre Eulalia conta le sue ferite. «Ecco che tu scrivi su di me, o Signore: quanta gioia mi dà leggere questi segni che parlano delle tue vittorie, o Cristo! Anche il sangue di porpora che sgorga dal mio corpo proclama il tuo nome santo!». Così ella cantava, senza pianto né gemito, piena di gioia e di coraggio; l’anima sua non sente il terribile dolore e le membra inondate di sangue che sgorga senza posa lavano il suo corpo come a una calda sorgente. Ed ecco l’ultima tortura: non più lo squarcio lacerante fino alle ossa come un vomere nelle carni, ma da ogni parte le fiamme delle torce le avvolgono i fianchi ed il petto. La sua chioma profumata le si era r
Debitori a Voltaire per la tolleranza, debitori a Lutero per il non conformismo.