in “Adista” n 89 del 23
dicembre 2006
Per
un ricordo riconoscente di Enrico Chiavacci. Il vescovo emerito di Roma
Ratzinger, ai tempi in cui era impegnato su più fronti in una
"controriforma" della riforma liturgica introdotta dal Concilio
Vaticano II, aveva dato disposizioni, tramite il prefetto della Congregazione
per il Culto divino, il card. Arinze, di cambiare la versione delle parole
della consacrazione del calice, sostituendo il "per tutti" con
"per molti", perché più aderente al testo latino del Missale Romanum.
Così intervenne allora Enrico Chiavacci, con una lettera ad Adista, mostrando
la sua sensibilità di parroco-pastore.
Ho letto con stupore e
profondo dolore la lettera del card. Arinze sulla traduzione delle parole della
Consacrazione, pubblicata da Adista il 9 dicembre. Non sono un biblista, ma
sono parroco da oltre 45 anni, e sacerdote da 56 anni. La fedeltà materiale al
testo latino tradisce "l'intenzione del Signore espressa nel testo. È un
dogma della fede che Cristo è morto sulla Croce per tutti gli uomini e le donne":
sono le parole del card. Arinze. E perciò offro a Lui e ai suoi collaboratori
alcuni punti su cui riflettere.
1 - La versione latina
ricalca l'originale greco, ma in greco il termine ‘molti' ha anche un
significato inclusivo (come in oi polloi = la gente in genere). Come in latino,
così in italiano il termine molti ha invece di norma solo il significato
esclusivo: per molti ma non per tutti: BJ (Bible de Jérusalem, ndr) esprime
tale significato inclusivo traducendo "pour une multitude", e in nota
spiega che con la "nuova alleanza" Gesù si attribuisce una redenzione
universale. Così anche la TOB (Traduction Oecuménique de la Bible, ndr), così
tutti i più autorevoli commenti oggi disponibili. Non si tratta perciò di una
maggior fedeltà al testo rivelato greco, ma di una infedeltà: il ‘molti' latino
ha una valenza semantica riduttiva rispetto al ‘molti' greco. L'osservazione del
card. Arinze (al punto 3, d e) è vera esattamente nel senso opposto a quello
ivi detto: un commento catechistico o spirituale sarebbe necessario di fronte
alla traduzione ‘per molti', non invece a quella ‘per tutti'. L'uditore italiano
penserebbe automaticamente a un senso esclusivo – per molti ma non per tutti –
e occorrerebbe spiegare che Gesù si è offerto per tutti, ma che l'uomo,
accecato dal peccato, può rifiutare tale divina offerta.
2 - Non so se il card.
Arinze e i suoi collaboratori hanno mai fatto un'esperienza pastorale
continuativa in una stessa
parrocchia. In tal caso, dovrebbe esser per loro facile capire che tutti i fedeli
sotto i 50 anni non hanno mai conosciuto altra formula consacratoria che l'attuale,
e i più anziani - per la maggior parte - non hanno mai capito la formula precedente,
sia perché ben pochi conoscevano il latino, sia perché la formula veniva pronunciata
a bassa voce. Ascoltando all'improvviso il passaggio da ‘tutti' a ‘molti'
commenterebbero sicuramente: ‘vedi, la Chiesa ha fatto marcia indietro. Non per
tutti è morto Gesù, ma solo per alcuni', sia pur molti. Con quali problemi
pastorali per il povero parroco è facile immaginare.
3 - Io ritengo che
sorgerebbe in molti, immediata e spontanea, l'idea di una Chiesa che fa marcia indietro
rispetto all'apertura di Giovanni XXIII e del Concilio, e si cautela contro
possibili ipotetici ‘inquinamenti'. Si deve ricordare l'affermazione conciliare
– in Gaudium et spes n. 22: "Cum enim pro omnibus mortuus sit Christus
cumque vocatio hominis ultima revera una sit, tenere debemus Spiritus Sanctus
cunctis possibilitatem offerre ut, modo Deo cognito, huic paschali mysterio consocientur"
("Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è
effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito
Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce,
al mistero pasquale"). Se poi si riflette - a torto o a ragione - a un
possibile collegamento con la liberalizzazione della Messa preconciliare in
latino e con i frequenti odierni elogi della celebrazione con le spalle al popolo
e rivolta ad oriente, può insorgere il timore che si offuschi totalmente il
forte ‘segno' della comunità che rinnova la Cena con piena comprensione e
partecipazione, riunita intorno al presbitero, che agisce in persona Christi.
Tutte le grandi Costituzioni
conciliari apparirebbero – a torto o a ragione – rimesse in questione. E sul
piano pastorale ciò sarebbe in ogni caso un danno difficilmente riparabile. Non
basta non fare: occorre non dare l'impressione o destare il sospetto che si
intenda fare. Per questi motivi, teologici e pastorali, ritengo il
provvedimento indicato nella citata Lettera del tutto abnorme e dannoso per l'annuncio
del Vangelo. Confido che queste osservazioni, anche se provenienti da un
modesto parroco, possano indurre a ripensare il provvedimento.
Firenze,
il 15 dicembre 2006.
Commenti
Se la cultura di un Paese non riconosce i suoi maestri…grazie don Enrico Chiavacci
Nel vecchio scaffale bianco avorio, inizio novecento, mastodontico,
dove per forza hai da collocare i libri in doppia fila, ogni volta devi scegliere,
e con buona motivazione, quali libri avere in vista.
E senza un disegno preciso ti capita di vedere in bella mostra avvicendarsi
romanzi, saggi di politica, guide per viaggi, fascicoli di fogli di appunti,
e qualche titolo tra i classici, anche questi secondo una rotazione casuale.
Eppure in questa girandola di libri, hai dei punti di riferimento sicuri, stabili,
sicché, quando attraversi la stanza, il tuo sguardo individua subito i colori
delle copertine inamovibili. E ti par di essere padrone del tuo pensiero.
Il mio colore è un verde non brillante, direi umile, ma fermo, di semplice brossura.
Edizioni Cittadella. Assisi. Tre volumi in quattro tomi, con un titolo di altri tempi,
temi di continua attualità, in serrate argomentazioni.
E’ un trattato di Teologia Morale. L’autore è Enrico Chiavacci,
professore emerito di teologia morale nella Facoltà Teologica dell'Italia Centrale
(Firenze). Una vita di studi e di impegno sui temi della pace e sui diritti dell'uomo.
Ma la cultura del nostro Paese tace, perché è povera ed è gridata.
E non sa riconoscere i suoi maestri.
Eppure se le riflessioni di don Chiavacci avessero avuto una più larga
e generale diffusione, soprattutto tra i giovani,
forse i comportamenti di arroganza facilona e arrivista, anche di gran parte
della classe politica, sarebbero stati, all’origine, isolati e scongiurati.
Perché un popolo educato, e quindi attento, ai diritti delle persone
non avrebbe mai sopportato Bossi ministro e premier Berlusconi.
Ma la cultura in questo nostro Paese è altro.
O no?
Severo Laleo
http://severolaleo.blogspot.it/