di Lorenzo Banducci
Che
valore ha per noi l’attesa del Natale?
E’
una domanda difficile quella che mi sono posto in questi giorni di avvicinamento
al 25 dicembre. E’ una domanda che trova tante risposte e tante concrete
difficoltà da parte mia.
Sicuramente
già il termine “attesa” ha una difficile declinazione per l’uomo di oggi. Siamo
abituati a vivere i momenti in cui stiamo aspettando qualcuno o qualcosa con
frenesia, con lo spasmo tipico di chi non è dotato di grande equilibrio
mentale. Basti osservare una coda di auto in autostrada, o una fila di persone
alle poste. “E’ tempo perso!” Ci viene spontaneo pensare. Alla stessa maniera
siamo abituati a pensare alle nostre attività lavorative e professionali come
ad un percorso retto e lineare verso un successo rapido, immediato e
sfolgorante. I nostri miti sono gli start-upper che sono passati dal nulla alla
fama in pochissimo tempo e non coloro che hanno fatto una lunga e dura gavetta
prima di arrivare a realizzarsi. Di conseguenza anche questi giorni che ci conducono
al 25 dicembre diventano il tempo della corsa irrefrenabile, del movimento
perpetuo, del caos sconclusionato. Non c’è un momento per fermarsi, per
pensare, per riflettere. Non c’è un tempo per assaporare e lasciare penetrare
il nostro corpo dal significato profondo della festa.
Questa
condizione, che finisce con accumunare tutti, sia i credenti sia i non credenti,
prova ad essere modificata dalla liturgia della Chiesa che dedica una serie di
settimane per provare a prepararci ad accogliere la ragione primaria per la
quale ancora oggi si festeggia il Natale, ovvero la venuta al Mondo di Gesù.
Il
punto però rimane. Il termine “attesa” non ha sempre una connotazione positiva.
L’attesa diventa tante volte nella nostra quotidianità un qualcosa di estremamente
negativo, che aumenta la nostra sofferenza anche quando stiamo aspettando
eventi di per sè positivi.
L’attesa
acquisisce una duplice capacità di manifestazione nell’uomo. Abbiamo un aspetto
più fisico-corporale che può
comparire in modo positivo attraverso l’esaltazione di alcuni sensi. Penso
primariamente all’olfatto. Cosa stimola maggiormente il desiderio dell’incontro
con la persona amata se non il suo profumo? Cosa risveglia nel nostro corpo il
profumo di una buona pietanza in attesa di poterla gustare? Le sensazioni
positive scaturite da queste due situazioni citate servono a farci comprendere
quale valore possa avere per noi l’attesa di un avvenimento, già prima che
questo accada. Rimanendo sui sensi si può affermare senza dubbio che pregustare
sia il modo migliore di gustare e che l’attesa acquisti grande valore quando è
vissuta a pieno, con tutti i sensi, con tutto il nostro organismo.
Essa può viceversa manifestarsi come un’attesa logorante per il corpo, basti pensare a tutte quelle forme patologiche dovute all’attesa di eventi stressanti per la persona: gastrite, colite, dermatite per non parlare dei disturbi di natura cranio-cervicale. Sono varie le parti dell’organismo ad essere interessate da questa forma spasmodica che ha un’origine centrale ma che può manifestarsi nel resto del corpo in modo diffuso.
Essa può viceversa manifestarsi come un’attesa logorante per il corpo, basti pensare a tutte quelle forme patologiche dovute all’attesa di eventi stressanti per la persona: gastrite, colite, dermatite per non parlare dei disturbi di natura cranio-cervicale. Sono varie le parti dell’organismo ad essere interessate da questa forma spasmodica che ha un’origine centrale ma che può manifestarsi nel resto del corpo in modo diffuso.
L’attesa
ha però anche un grande valore oltre che per il corpo anche per la mente e per
lo spirito. Basti pensare a quello che scaturisce in noi il solo pensare a un
avvenimento prossimo. Certo le reazioni possono essere duplici a seconda che
esso possa avere una valenza positiva o negativa, ma uno stesso evento positivo
può portare a reazioni e a pensieri sia di felicità sia di stress. In questo
senso si inserisce a pieno anche l’evento del Natale, un avvenimento che se non
preparato in modo adeguato può portarci a vivere questi giorni con pesantezza,
frustrazione, frenesia nell’attesa che il 25 dicembre sia per noi una vera e
propria liberazione.
Ma
come si può vivere allora l’attesa della nascita di Gesù?
Per
la venuta di Gesù e per attendere la sua nascita con sentimenti di serenità e
attenzione all’essenziale mi piace concentrarmi su due aspetti che possono servire
come spunto per aiutarci nell’avvicinamento al giorno di Natale.
Un
primo aspetto è quello della promessa.
L’attesa del Salvatore acquista innanzitutto grande valore proprio perché viene
in seguito a una promessa e diventa un tempo in cui essa piano piano prende
vita. Si pensi, citando i Vangeli, alla grande attesa del popolo ebraico per il
Salvatore. Nel Vangelo di Luca i due cantici, quello di Maria (“come aveva
promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre”) e
quello di Simeone (“come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti d’un
tempo”) fanno riferimento a questo concetto e trovano poi compimento nel terzo
cantico del Vangelo di Luca, quello di Simeone nel quale tutte le promesse
trovano compimento nella luce di Cristo (“Ora, o Signore, lascia che il tuo
servo se ne vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto
la tua salvezza che tu hai preparato davanti a tutti i popoli; luce per
illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”).
Un
secondo aspetto è quello di calarci nei
pensieri di coloro che per primi hanno incontrato Cristo. Mi è sempre
piaciuto provare ad immaginare cosa avranno pensato di trovare sia i pastori
sia i Magi nel percorso che li ha portati fino alla grotta di Betlemme a contemplare
Gesù bambino. Chissà quali pensieri di speranza, gioia e tenerezza avranno pervaso la loro mente e
i loro cuori.
Da
questi due aspetti: vivere l’attesa come il compimento di una grande promessa
ed avvicinarsi al Natale con i pensieri di pastori e Magi del ventunesimo
secolo ne deriva anche per noi un nuovo stile che può aiutare nel concentrarci
sull’essenziale e nel vivere in pienezza questi giorni di dicembre.
Rimane
ancora un punto irrisolto nella mia mente. Come può vivere la maggioranza delle
persone questo tempo di avvicinamento al Natale considerando che per un gran
numero di essi si è perso il significato religioso della festa? La tentazione
primaria di fronte al mondo che ci circonda potrebbe essere quella di
rispondere a questa domanda con la famosa locuzione latina di Cicerone che così
diceva: “O tempora, O mores!” (“Che tempi, che costumi!”). Non penso però che
da cristiani ci si possa fermare solamente a criticare il tempo che stiamo
vivendo. E’ importante vedere quanto di buono vi sia anche in chi ci circonda.
Il Natale ha, anche per i non credenti, la capacità di seminare la speranza nel cuore, perché Dio nasce per tutti. E’ con
gli auguri di Natale di don Tonino Bello che vorrei concludere questo
itinerario sull’attesa, dedicandoli in modo speciale a coloro che sono lontani
dalla fede in Cristo:
“Buon Natale, amico mio: non avere
paura.
La speranza è stata seminata in te. Un
giorno fiorirà. Anzi, uno stelo è già fiorito. E se ti guardi attorno, puoi
vedere che anche nel cuore del tuo fratello, gelido come il tuo, è spuntato un
ramoscello turgido di attese.
E in tutto il mondo, sopra la coltre di
ghiaccio, si sono rizzati arboscelli carichi di gemme. E una foresta di
speranze che sfida i venti densi di tempeste, e, pur incurvandosi ancora,
resiste sotto le bufere portatrici di morte.
Non avere paura, amico mio.
Non avere paura, amico mio.
l Natale ti porta un lieto annunzio: Dio
è sceso su questo mondo disperato. E sai che nome ha preso? Emmanuele, che vuol
dire: Dio con noi.
Coraggio, verrà un giorno in cui le tue
nevi si scioglieranno, le tue bufere si placheranno, e una primavera senza
tramonto regnerà nel tuo giardino, dove Dio, nel pomeriggio, verrà a
passeggiare con te.”
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