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Calcio e società. Soluzioni comuni per problemi comuni



di Lorenzo Banducci

E’ il giorno di Pasqua, la domenica della risurrezione. Arriviamo qui dopo una settimana così densa di tragedie e di sofferenze vissute attraverso la televisione, i giornali e i mezzi di informazione. Dall’autobus spagnolo pieno di giovani morti, fino ad arrivare al kamikaze nello stadio in Iraq, passando attraverso i tragici fatti di Bruxelles che nuovamente ci lasciano basiti e senza certezze.
Ancora una volta, per fortuna, possiamo però annunciare la Pasqua del Signore, la sua risurrezione, la sua vittoria sulla morte.

Non voglio soffermarmi a parlare di queste cose, ma, partendo da un altro evento triste di questi giorni, ho voglia di trattare un argomento a me molto caro ma decisamente più leggero di quelli sopracitati, ovvero il calcio.


Johan Cruijff scomparso l’altro ieri a 68 anni dopo aver combattuto contro una brutta malattia è stato uno dei più grandi calciatori e poi allenatori di tutti i tempi, avendo militato e vinto tutto nell’Ajax e nel Barcellona.
La sua grandezza, oltre alle indiscusse doti tecniche, sta, senza dubbio, nell’essere stato icona di un momento di passaggio storico per lo sport del calcio che andava di pari passo con l’intera società del tempo.
Il fenomeno sportivo del cosiddetto “calcio totale” prende infatti il largo in quelli anni nella sua Ajax e nella nazionale olandese.

Il “calcio totale” è stato un sistema di gioco che, basandosi sui principi della flessibilità dei ruoli e di funzione dei giocatori (tutti attaccano e tutti difendono), ha rivoluzionato i concetti statici e quasi militareschi del calcio del tempo dove disciplina in campo e ordine nei ruoli spadroneggiavano nelle altre squadre di club o compagini nazionali.
In quelli anni di rivoluzione sociale e culturale – siamo a cavallo fra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 – il modello calcistico olandese è diventato lo specchio di una società in mutamento radicale. Il “calcio totale” è stato “il 1968 del pallone” e Johan Cruijff ne è stato la punta di diamante.

Ho sempre pensato che il calcio sia ben più di uno sport. Esso si inserisce in modo inscindibile nella società e nella cultura che abita, proprio per merito della sua popolarità.
Sa prendere i vizi e le virtù di ogni popolo, di ogni cultura e li porta con sé all’interno del rettangolo di gioco.

Forse anche per questo guardo alla contemporaneità con un filo di rammarico.

Mi domando che cosa potrebbe rivoluzionare da una parte il calcio di oggi? Che cosa potrebbe cambiare dall’altra la società odierna?

Provo allora a rispondere a queste domande che mi sono posto, perché penso che possano esserci risposte comuni, per quanto possa sembrare impossibile.

La prima risposta non è relativa al “gioco”, ma alla struttura del mondo del calcio e dall’altra parte a quella della società che viviamo. Il calcio, per rilanciare se stesso, deve riuscire a far passare in secondo piano tutti gli aspetti affaristici che lo imbrigliano. Milioni, televisioni, interessi, business. Ormai anche i giornali sportivi spesso affrontano questioni di bilanci dei club, di sponsorizzazioni, di premi sportivi e parlano meno delle questioni di campo e del gioco. Sicuramente gli aspetti economici hanno un valore anche nello sport, ma non possono diventare una delle fette principali della torta. La porzione più importante deve averla lo spettacolo, il divertimento, la passione, lo sport.
Queste affermazioni sono totalmente sovrapponibili alla società contemporanea. Sappiamo quanto il legame con il denaro complichi la nostra vita e aumenti le diseguaglianze fra gli uomini. Una società che mette al centro il profitto è una società che ha fallito in partenza, che non è capace di essere fertile e che arriva a distruggere gli ultimi e gli indifesi pur di arrivare al successo.
Rivedendo dunque la presenza di aspetti strettamente economicistici e affaristici dal mondo del calcio e dalla nostra società potremo dare slancio a un primo cambiamento che rimetta al centro da una parte la passione per il gioco e dall’altra quella per la vita.

Altro aspetto attraverso il quale provo a rispondere a queste domande è più strettamente legato al gioco, da una parte, e alle dinamiche che muovono la società dall’altra.
Il gioco del calcio ha cercato di dare una forte priorità, anche per colpa dei media, alla figura del leader carismatico, sia esso il grande campione in campo o l’allenatore condottiero in panchina, a discapito, troppo spesso, dell’elogio della squadra intera. Tutto questo nonostante, parecchie volte, siano gli stessi protagonisti del gioco a sottolineare l’importanza di tutta la squadra nel conseguire successi anche personali. Ma gli appassionati hanno bisogno del campione, del leader, del condottiero, di qualcuno in cui identificare i successi o gli insuccessi, le cadute o i trionfi. Anche in questo il calcio è diventato specchio della nostra società incapace di far sua la logica del gruppo, l’idea della squadra. La società ha bisogno di trovare l’individuo sul quale caricare o tutte le proprie speranze per salvarsi o tutte le colpe per i fallimenti. Non vi è idea o immagine di corresponsabilità e manca una reale educazione in questo. Lo sport, e nello specifico lo sport di squadra, è arrivato anch’esso a questo punto. Nel calcio lo vediamo con gli allenatori: osannati quando vincono, esonerati appena perdono. Mi hanno colpito molto le parole dell’allenatore del Bayern Monaco Guardiola al termine dell’ottavo di finale di ritorno contro la Juventus in cui sostanzialmente diceva: “Al 90esimo ero un fallito, al 91esimo dopo il nostro gol sono diventato un eroe.” E in quella partita il rovescio della medaglia subito dal giocatore della Juventus Patrice Evra fortemente attaccato dai tifosi sui social network per non aver ben gestito quell’ultimo pallone. Evra che fino alla partita antecedente era leader indiscusso della squadra bianconera.
L’invito dunque per la nostra società e per il mondo del calcio è quello di recuperare raziocinio nel gestire i momenti alti e i momenti critici e soprattutto tornare a quello spirito di squadra che ci potrà permettere di guardare al futuro con speranza e fiducia. Le vittorie sono reali quando siamo consapevoli di raggiungerle insieme e le sconfitte possono essere superate velocemente se ciascuno sa riconoscere le proprie responsabilità.

E in tutto questo il calcio italiano come sta? Il calcio italiano è come il paese che rappresenta: estremamente legato a forme e schemi del passato, incapace di proporre qualcosa di innovativo e originale. Strutture vecchie, squadre che non hanno il coraggio di dare spazio ai giovani e la crisi che non è stata del tutto colta come strumento per innovare o cambiare.
Il nostro gioco conserva però elementi tradizionali importanti che risultano ancora abbastanza efficaci per provare ad essere competitivi a livello internazionale. Mi riferisco su tutti alla solidità difensiva e alla meticolosità tattica.
Ma al giorno d’oggi è anacronistico costruire un sistema di gioco basato solo su questi principi, così come è impensabile che le  strutture istituzionali del nostro paese e le nostre aziende possano essere leader con schemi così poco originali e antiquati.
Per rinnovare il calcio mi hanno molto colpito il coraggio visto da alcune compagini nel provare a fare gioco mettendo in mostra le nostre comunque buone basi tecniche. Vedendo recentemente la Juventus contro il Bayern o anche la nazionale italiana contro quella spagnola si è visto come la rinascita italiana a livello internazionale possa partire da una rivoluzione però inserita nel solco di una tradizione forte. Non saremo italiani se non facessimo un po’ di catenaccio, se non lavorassimo su una fase difensiva attenta e precisa, se non costruissimo le partite attraverso piccoli dettagli tattici. Ma dall’altra parte dobbiamo avere il coraggio di proporre un sistema di gioco moderno basato su un’occupazione corretta di tutti gli spazi e sulla capacità di tenere palla e farla girare con una certa velocità. Immagino un sistema di gioco misto per il calcio del nostro paese. Offensivo e pronto a colpire in certi momenti della partita, capace di difendere e ripartire in altri. La grandezza dei nostri allenatori starà nel saper leggere le singole situazioni della partita e capire quando proporre la prima piuttosto che la seconda fase.
Vedo lo stesso per tutta la nostra società e per le sue istituzioni. Una capacità di innovare conservando la nostra tradizionale qualità per essere in grado di proporre delle eccellenze sempre nuove capaci di diventare nuovi punti di riferimento a livello mondiale. Per ottenere tutto questo sarà fondamentale svecchiare le nostre strutture, allentare la burocrazia, investire nella formazione dei giovani, liberare energie e creatività.

Sono anni che lo pensiamo e che lo diciamo. E’ il tempo di farlo a cominciare dalla nostra quotidianità, dal modo in cui portiamo avanti i nostri compiti lavorativi e professionali, da come ci interfacciamo con gli altri, da quanto investiamo nella nostra formazione e nella nostra crescita.
Potremo forse tornare a sognare da tifosi e da cittadini un calcio diverso inserito in una società migliore meno legata al profitto, più coesa e più creativa.

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