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Nuova politica industriale per riformare il lavoro

di Lorenzo Banducci

Diamo spazio oggi a un’intervista esclusiva al professor Faioli docente di diritto del lavoro a Roma sul tema tanto dibattuto in queste ore del Jobs Act.


1- Professor Faioli si è parlato tanto in questi giorni della riforma del mercato del lavoro. Ci potrebbe spiegare brevemente in cosa consiste?

Il Governo intende modernizzare ulteriormente il mercato del lavoro italiano. È una tendenza che ha caratterizzato alcuni governi di questi ultimi venti anni, dalla riforma Treu in poi, e che è stata fortemente determinata da alcune linee di politica europea che sono volte a combinare flessibilità con sicurezza (flexicurity) e sostenere forme di decentramento contrattuale. La visione di questo Governo sulle regole del lavoro è, però, più interessante. In termini sintetici si afferma che nel medesimo contesto temporale, da una parte, si insisterà sulla semplificazione di alcuni istituti giuridici (regole sulle assunzioni, razionalizzazione delle ispezioni e delle sanzioni, estensione di schemi di sostegno al reddito a lavoratori non ancora protetti, ridefinizione di alcune flessibilità interne e esterne del contratto individuale, una primaria forma di salario minimo, etc.) e dall’altra, come afferma il Ministro Padoan - il che almeno nella mia prospettiva è ciò che davvero conta – si completerà il lavoro sulla impostazione di una nuova politica di sviluppo economico-industriale.

2- Il dibattito si è concentrato finora sul tema dell’articolo 18. Secondo il governo rivedere tale punto dello statuto dei lavoratori (tramite il cosidetto contratto a tutele crescenti) consentirebbe, a coloro che si affacciano nel mondo del lavoro, di veder diminuito il fenomeno, ormai fuori controllo nel nostro paese, del precariato. La posizione dei sindacati invece tende ad essere sostanzialmente opposta. Cosa ne pensa lei? Esistono valide proposte alternative a quella proposta dal governo per rilanciare il mercato del lavoro senza, per questo, dover fare passi indietro su diritti ormai acquisiti?

La domanda non mi piace. Mi perdoni la franchezza, ma non è questo il punto. Il conflitto tra visioni (Governo/Sindacato/Imprese) è nella natura delle cose. Se non ci fosse una naturale collisione tra gli interessi di questi soggetti, dovremmo preoccuparci seriamente. In ogni caso si noti che la Riforma Fornero ha complicato le cose sull’art. 18. Osservando la giurisprudenza del 2013-2014 sul regime disegnato dalla Riforma Fornero, si comprende con facilità quali sono gli attuali problemi applicativi dell’art. 18. Si deve puntare su una rimodulazione della norma che combini la protezione del lavoratore con le esigenze organizzative del datore di lavoro, e ancora con la rapida definizione della lite. Il superamento di quelle specifiche complicazioni è, da quanto capisco analizzando il disegno di legge delega, il punto nodale della riforma del Governo. Si aggiunge a ciò il profilo critico della cd. tutela progressiva per i giovani nell’ambito di contratti individuali. Questa è una scelta normativa che non può non essere giocata – non solo della potenziale legge delega, ma anche nella decretazione attuativa – contemporaneamente sul fronte delle politiche attive (inserimento/reinserimento nel mercato del lavoro) e delle politiche passive (sostegno al reddito nell’alternanza lavoro/non lavoro).

3- Come è regolato il mercato del lavoro negli altri paesi occidentali? Da quali esperienze virtuose potremo prendere spunto per riformare il nostro?

Studio da alcuni anni il modello tedesco. Senza pretendere in alcun modo forme di “trapianto” normativo/giuridico, si possono certamente osservare schemi che hanno due obiettivi: da una parte, la promozione della partecipazione dei lavoratori, con contestuale ridefinizione della funzione della contrattazione collettiva decentrata (azienda/territorio), e dall’altra, il sistematico e coerente assetto di politiche attive (sistema pubblico/privato di promozione dell’occupazione – centri per l’impiego). Ma tutto ciò – ed è quasi ovvio – è posto dai tedeschi in un quadro di politiche industriali che alimentano l’occupazione e sostengono le aziende nella difficilissima competizione globale in settori strategici per il paese.  Se fosse possibile sintetizzare il modello tedesco, si potrebbe dire che le riforme del mercato del lavoro sono dentro un progetto di politica industriale. Ed questo, a mio avviso, è il tema con cui confrontarsi in Italia.

4- Si nota un silenzio abbastanza diffuso da parte del mondo cattolico su questa riforma che dovrebbe avere un’importantissima portata dal punto di vista sociale nel nostro paese. Tranne alcune prese di posizione isolate non vi è un fronte compatto capace soprattutto di rilanciare con delle controproposte convincenti. Mi verrebbe da dire che siamo più bravi a dire dei “no”, come sui cosiddetti temi etici, ma che siamo incapaci di condurre noi proposte alternative valide. Quale può essere la giusta mediazione da ricercare fra il diritto della persona/lavoratore ad avere un posto di lavoro stabile e dignitoso che gli consenta di progettare in modo adeguato la propria vita e il diritto dell’imprenditore a gestire al meglio la propria azienda nella libertà di investire con nuove assunzioni, ma anche di rivedere tali investimenti nei momenti di difficoltà e crisi?

Per formazione e metodo non riesco a dividere visioni sul lavoro in base dell’appartenenza a una certa religione o orientamento di fede. La domanda è, però, intricante. Rigiro la questione: non è che in questi ultimi anni l’elaborazione sul pensiero sociale della chiesa sia stata resa marginale in ragione di uno spostamento di attenzione verso temi etici-individuali? In altre parole, non sarebbe ora di impostare su un nuovo metodo, anche con il supporto o la cooperazione tra aggregazioni come le vostre e alcuni centri di ricerca, l’elaborazione su questi temi sociali e giuridico-economici?

5- Quali altri punti dovrebbe toccare, secondo lei, in concreto una complessiva riforma del mercato del lavoro in Italia? Si parla tanto di burocrazia, lotta alla corruzione, investimenti ecc. Quali sono i più impellenti?


Nel Jobs Act manca una visione europea del mercato del lavoro. Il che accade ovunque al momento, anche in Germania e in Francia. Dovremmo, invece, iniziare a pensare a un sistema unico e armonizzato europeo di sostegno al reddito (rinvio alla lettura del mio intervento con proposta di un JOBS COMPACT europeo in www.nelmerito.com). Il semestre italiano potrebbe essere una buona occasione per sostenere questa idea su cui già la Commissione lavora da qualche tempo. Lì sarebbe l’inizio della vera svolta per il futuro. 

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