di Lorenzo Banducci
In
vista del referendum del 17 aprile sul tema della trivellazione del mare
abbiamo deciso di informarci e informare chi ci segue attraverso una serie di
articoli.
Iniziamo
oggi con un’intervista a Stefano
Iannillo del comitato “Vota SI per fermare le trivelle”.
1- Cosa si
decide il 17 aprile? Che significato ha questo referendum? Quali sono le
ragioni per andare a votare SI?
Il
17 aprile si terrà un referendum per decidere se consegnare a tempo
indeterminato i nostri mari a chi ha avuto già il permesso di trivellazione o
se, come richiediamo con forza noi del comitato “Vota Si per fermare le
trivelle”, questo tipo di permessi possano andare a scadenza naturale ed aprire
una pagina nuova per la storia energetica di questo Paese. Questo referendum ha
un significato politico profondo: la vittoria del SI significherebbe dare una
possibilità alla riconversione ecologica del Paese e al mantenimento degli
impegni presi a Parigi durante la COP21. Quello che è in gioco è il nostro
futuro e quello del pianeta. Votare si significa votare per la difesa del
nostro mare, per la tutela dei nostri territori, per immaginarsi un’Italia
diversa capace di valorizzare il suo territorio e la sua popolazione. Dopo le
dichiarazioni di questi giorni da parte del governo potremmo dire che questo
referendum assume anche un’altra caratteristica: la difesa e la riaffermazione
del principio democratico secondo cui “ è il popolo che decide”.
2- Presentate il
vostro comitato. Da chi è composto? Da dove parte questo progetto?
Il nostro comitato è composto da oltre 200 associazioni ( tra cui Legambiente, Greenpeace, Slowfood, WWF, Rete della Conoscenza, Marevivo, Coordinamento Nazionale no Triv e tante altre) e si propone di costruire la campagna referendaria della società civile. Diciamo della società civile perché il comitato legalmente riconosciuto è composto dalle 9 regioni, che a seguito di numerose mobilitazioni territoriali, hanno proposto i quesiti referendari. Questo progetto parte dalle persone, dalla loro voglia di mobilitarsi e difendere le loro terre e il loro mare da un modello di sviluppo che guarda solo al profitto e mai alla vita, alla bellezza e alle popolazioni.
3- La domanda
più importante che vorrei porre a voi, ma che pongo anche a me stesso, è: qual
è davvero la scelta ambientalista? Davvero il SI al referendum pone le nostre
coscienze al sicuro o c’è da fare un ragionamento più profondo?
La vittoria del si non è la panacea di tutti i mali. La battaglia per la decarbonizzazione dell’economia e per un modello di sviluppo sostenibile non finirà il 18 aprile, avrà bisogno sempre più di attivazione e partecipazione popolare. Soprattutto sarà necessario rendere coscienti le persone che siamo davanti ad un momento storico: se continuiamo a vivere come abbiamo fatto fino ad oggi la crisi climatica, e le sue conseguenze nefaste sul pianeta, sarà inevitabile. Dobbiamo rimettere in discussione il nostro modello sociale ed economico: bisogna immaginarci uno sviluppo diverso che guardi ai territori e alle comunità, che riesca a realizzare un’economia circolare in grado di tutelare l’ambiente dal profitto a tutti i costi. Bisogna, però, dire un’ultima cosa: questa stagione referendaria ( insieme alla mobilitazione del 29 novembre sulla COP21 e l’emergenza smog di dicembre) sta aprendo una finestra mediatica importante su questi temi. Dopo aprile parlare di ambiente e di tutela dei mari e dei territori non sarà più una discussione chiusa in una nicchia di specialisti ma sarà entrata a pieno titolo, e a ragione, tra i più importanti argomenti di confronto e dibattito politico anche in Italia come nel resto del mondo. E questo non può essere che un bene.
La vittoria del si non è la panacea di tutti i mali. La battaglia per la decarbonizzazione dell’economia e per un modello di sviluppo sostenibile non finirà il 18 aprile, avrà bisogno sempre più di attivazione e partecipazione popolare. Soprattutto sarà necessario rendere coscienti le persone che siamo davanti ad un momento storico: se continuiamo a vivere come abbiamo fatto fino ad oggi la crisi climatica, e le sue conseguenze nefaste sul pianeta, sarà inevitabile. Dobbiamo rimettere in discussione il nostro modello sociale ed economico: bisogna immaginarci uno sviluppo diverso che guardi ai territori e alle comunità, che riesca a realizzare un’economia circolare in grado di tutelare l’ambiente dal profitto a tutti i costi. Bisogna, però, dire un’ultima cosa: questa stagione referendaria ( insieme alla mobilitazione del 29 novembre sulla COP21 e l’emergenza smog di dicembre) sta aprendo una finestra mediatica importante su questi temi. Dopo aprile parlare di ambiente e di tutela dei mari e dei territori non sarà più una discussione chiusa in una nicchia di specialisti ma sarà entrata a pieno titolo, e a ragione, tra i più importanti argomenti di confronto e dibattito politico anche in Italia come nel resto del mondo. E questo non può essere che un bene.
4- “Il punto non
è schierarsi pro o contro le trivelle, ma l’invito a creare spazi di incontro e
di confronto”. Con queste parole mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI,
ha voluto smorzare i toni più netti del quotidiano dei Vescovi “Avvenire”, che
invece sembra sposare il SI referendario. Come si fa ad uscire dalla logica dei
SI o dei NO e a sensibilizzare maggiormente le persone sulle tematiche
energetiche ed ambientali? Quanto lavoro educativo e culturale c’è da fare in
partenza? Quanto può essere utile anche l’ultima enciclica di Papa Francesco
“Laudato SI” nell’aprire canali di dialogo fra credenti e non credenti su
questi argomenti?
In primo luogo bisogna dire una cosa: noi siamo partigiani e prendiamo le parti del SI. Non crediamo si possa uscire dalla logica del si o no a questo referendum, si rischia di delegittimare l’unico strumento di democrazia partecipativa previsto dal nostro ordinamento e favorire la più antidemocratica delle posizioni: l’astensione. Oggi se si vuole imprimere un cambiamento al modello economico e produttivo del nostro paese per avvicinarlo alla tutela dell’ambiente e delle persone è importante schierarsi e attivarsi nei propri luoghi per abbattere la campana di vetro che sta provando a silenziare e deformare le informazioni relative al referendum. Il dibattito all’interno del mondo della chiesa è molto interessante: l’enciclica “Laudato SI” apre un ponte di dialogo fondamentale tra credenti e non credenti sulla questione della “difesa della casa comune”. Mi sembra un argomento decisivo per costruire una speranza a questo pianeta e ai suoi abitanti. L’enciclica, a causa dell’urgenza del problema di cui tratta, travalica le distinzioni tra credenti e non credenti e questo mi sembra un fatto decisivo. Inoltre le argomentazioni presenti all’interno dell’enciclica sono più che convincenti e lucide rispetto all’analisi delle storture generate da un sistema economico e sociale che fa delle diseguaglianze e della povertà, insieme alla noncuranza per la natura e il pianeta, il suo tratto distintivo. Ovviamente l’enciclica non parla solo del nostro Paese ma si confronta con tutta la società globale ed è giusto che sia così. Ma è altrettanto evidente che dire “discutiamo del referendum a partire dall’enciclica” significa posizionare la discussione in una direzione ben precisa: valorizzare la tutela della nostra casa comune e quindi dei nostri territori e del nostro mare. E questo non può che fare bene ad un paese in cui la difesa dell’ambiente e dei territori deve ancora entra nel profondo della sensibilità comune e soprattutto uscire dalla dimensione della “colpa individuale” per aprire una riflessione vera sulla compatibilità ambientale non solo dei nostri singoli stili di vita ma anche dei modelli sociali ed economici in cui siamo immersi.
In primo luogo bisogna dire una cosa: noi siamo partigiani e prendiamo le parti del SI. Non crediamo si possa uscire dalla logica del si o no a questo referendum, si rischia di delegittimare l’unico strumento di democrazia partecipativa previsto dal nostro ordinamento e favorire la più antidemocratica delle posizioni: l’astensione. Oggi se si vuole imprimere un cambiamento al modello economico e produttivo del nostro paese per avvicinarlo alla tutela dell’ambiente e delle persone è importante schierarsi e attivarsi nei propri luoghi per abbattere la campana di vetro che sta provando a silenziare e deformare le informazioni relative al referendum. Il dibattito all’interno del mondo della chiesa è molto interessante: l’enciclica “Laudato SI” apre un ponte di dialogo fondamentale tra credenti e non credenti sulla questione della “difesa della casa comune”. Mi sembra un argomento decisivo per costruire una speranza a questo pianeta e ai suoi abitanti. L’enciclica, a causa dell’urgenza del problema di cui tratta, travalica le distinzioni tra credenti e non credenti e questo mi sembra un fatto decisivo. Inoltre le argomentazioni presenti all’interno dell’enciclica sono più che convincenti e lucide rispetto all’analisi delle storture generate da un sistema economico e sociale che fa delle diseguaglianze e della povertà, insieme alla noncuranza per la natura e il pianeta, il suo tratto distintivo. Ovviamente l’enciclica non parla solo del nostro Paese ma si confronta con tutta la società globale ed è giusto che sia così. Ma è altrettanto evidente che dire “discutiamo del referendum a partire dall’enciclica” significa posizionare la discussione in una direzione ben precisa: valorizzare la tutela della nostra casa comune e quindi dei nostri territori e del nostro mare. E questo non può che fare bene ad un paese in cui la difesa dell’ambiente e dei territori deve ancora entra nel profondo della sensibilità comune e soprattutto uscire dalla dimensione della “colpa individuale” per aprire una riflessione vera sulla compatibilità ambientale non solo dei nostri singoli stili di vita ma anche dei modelli sociali ed economici in cui siamo immersi.
5- Se il 17
aprile vincesse il SI cosa cambia per il nostro paese da un punto di vista
ambientale ed energetico? Che cosa proponete per andare oltre le trivellazioni
in mare?
Per
il nostro Paese significherà voltare pagina: mai più svendita del nostro mare
alle multinazionali del petrolio (in cambio di pochi spiccioli e nessuna
garanzia energetica) ma autodeterminazione del nostro futuro energetico. Far
vincere il si significherebbe sapere che entro 10/15 anni (e non dal 18 aprile
come, con estrema falsità e furbizia, sta facendo credere il governo) le piattaforme
in mare non potranno più estrarre né gas né petrolio. Significherebbe quindi
aprire, per la prima volta nella storia del nostro paese, una discussione
pubblica sul nostro piano energetico e quindi sul modello produttivo ed
economico che intendiamo perseguire nei prossimi anni. Per noi significa aprire
uno spazio di possibilità per l’istituzione di una vera e propria democrazia
energetica fondata sulle fonti rinnovabili: un modello energetico democratico
perché distribuito sui territori, autoprodotto, capace di restituire alle
comunità locali potere decisionale in direzione ostinata e contraria rispetto a
chi negli ultimi anni ci ha privato di ogni possibilità di incidere sulla
nostra vita e sul nostro futuro. La nostra produzione di energia elettrica già
si avvale al 40% di energie rinnovabili, alla cop 21 si è riconosciuta la
possibilità tecnica di andare verso il 100% rinnovabile, noi crediamo che
questa debba essere la direzione del nostro paese. Per la sua natura
morfologica, per la sua posizione, per il suo ruolo internazionale, l’Italia
può e deve diventare un paese leader nella trasformazione energetica necessaria
alla lotta contro i cambiamenti climatici.
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