a cura della Redazione
Non era sicuramente facile trovare una
mediazione su un tema tanto delicato quale quello del testamento biologico in
un Paese, come il nostro, nel quale vi è la tendenza immediata a rendere ogni
battaglia subito ideologica e scollegata dalle vite reali delle persone. Stavolta
i tempi sono stati maturi per questo storico passaggio e, alla Camera dei Deputati, con un’insolita maggioranza composta da PD e Movimento 5 Stelle, si è
potuta approvare una legge che regola finalmente in modo equilibrato e serio il
consenso informato e le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), tema su cui avevamo dibattuto nel numero 2 della nostra Rivista.
Era necessario coprire questo vulnus nel
nostro sistema legislativo e ci auguriamo che questa norma possa essere
approvata anche al Senato perché pone finalmente al centro del rapporto fra
medico e paziente quella che è una vera e propria relazione di cura. Sia il
consenso informato, sia le DAT infatti sono state concepite affinché davvero
fra il malato e chi ha lo splendido compito di seguirlo si instauri una
relazione piena e autentica basata sulla fiducia e sul rispetto reciproco.
Non possiamo dunque che essere in accordo
con questa legge che prova a porre al centro il malato e la necessità di
accompagnarlo in qualsiasi scelta egli decida di compiere all’interno del suo percorso terapeutico. Ci pare una legge in grado di
combattere tre grandi rischi nei quali si incorre
quando parliamo di “fine vita” e che sono:
1. L’accanimento
terapeutico da considerarsi come un eccesso spropositato e
ingiustificato nelle terapie somministrate a un paziente e a queste è corretto
aggiungere anche idratazione e alimentazione artificiale, perché lo stesso
Magistero riconosce che «in qualche raro caso l’alimentazione e l’idratazione
possano comportare una eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico».
2. L’abbandono
terapeutico da considerarsi come il lasciare solo il paziente
nelle proprie scelte di cura, pericolo imminente se si assolutizza la
sospensione di ogni trattamento.
3. L’abbandono
dell’accompagnamento che si realizza quando nell’itinerario
terapeutico del paziente vi sono troppe macchine e poche persone con il rischio
che egli si senta davvero lasciato solo.
Importante infine rimarcare come
all’interno della legge vi sia stato uno smarcamento netto rispetto alle forme
di eutanasia vera e propria e di come, in ogni caso, il medico avrà la
possibilità di porsi in una sorta di “obiezione di coscienza” rispetto alle richieste
del malato, se ritenute incongrue, di fronte alle quali il medico non ha obblighi personali.
Certamente possono permanere alcuni dubbi
sul contesto in cui è nato il dibattito, riacceso dalla dolorosa vicenda di DJ
Fabo, subito cavalcata dai paladini dell’eutanasia attiva, che forse vedono
questa legge come un “passo” verso quel macabro obiettivo. Così non è per noi,
che invece potremmo considerarla – a patto che la si difenda in futuro da
modifiche individualistiche ed estensive – come un freno ad ogni forma di
suicidio, perché si pongono limiti, si esplicita la volontà del malato nel
rapporto di alleanza terapeutica e della pianificazione delle cure, si tiene
conto degli avanzamenti medici che permettono di discernere la situazione
specifica, in accordo con il fiduciario. Oltre a ciò, oggi per i casi terminali
esistono le cure palliative – sostenute dalla Chiesa – che questa legge
potrebbe garantire ad un maggiore numero di persone, scoraggiando anche in questo
modo il ricorso all’eutanasia, perché il paziente viene accompagnato sino agli
ultimi istanti di questa vita terrena.
Ricordiamo il Patriarca Atenagora e S.
Giovanni Paolo II che, da lucidi, rifiutarono la nutrizione tramite PEG e
ulteriori ricoveri e vollero nascere al cielo cristianamente nel proprio letto, accettando naturalmente sorella morte senza legarsi
irriducibilmente a questa vita con ogni mezzo; presto – si spera – tutti
potrebbero anticipatamente esprimere questa volontà. Qualcuno potrebbe avere
perplessità sul fatto che un conto è la volontà dichiarata quando si sta bene, un altro quella di
quando ci si trova nella situazione specifica, ma la presente legge sembra
offrire gli strumenti per esprimerla, per rinnovarla, modificarla o revocarla
in ogni momento, anche attraverso dispositivi che consentono alla persona con
disabilità di comunicare.
A noi preme soprattutto mettere al centro
la dimensione comunitaria della vita del malato, quindi ben vengano cure
domiciliari, terapie del dolore e ogni conforto spirituale, sulla falsariga
delle Disposizioni sanitarie del paziente
cristiano promosse dalla Conferenza episcopale
tedesca congiuntamente con le Chiese evangeliche di Germania; a prescindere da
tutto, nessuno deve essere abbandonato per poi invocare un presunto “diritto di morire”.
Ci appelliamo ad un dibattito meno
arroccato sugli isterismi di parte, che ogni volta sappia precisare i termini
della questione, evitando di intorbidire le acque parlando indistintamente di
eutanasia, accanimento terapeutico, cure palliative, testamento biologico,
suicidio assistito. Le barricate non servono. Piuttosto,
se proprio si vuole, si cerchi di mostrare con autorità scientifica perché sarebbe bene non
rinunciare all'idratazione forzata, e la coscienza saprà discernere meglio, se
formata e informata. Il punto sulla piena informazione è comunque parimenti
presente nel testo approvato alla Camera. E si insista molto affinché i futuri
LEA mettano in condizione di portare il malato terminale a casa con
l'assistenza domiciliare, perché la dimensione umana, in una prospettiva
personalistica – cioè dell’individuo in relazione con la comunità – non venga
mai meno.
Da cristiani, ci inchiniamo allora di
fronte al mistero della vita, della morte e della libertà, che è quanto di più
prezioso, guardando innanzitutto ad ogni singolo uomo, che partecipa del corpo
di Cristo, prima che alle sue scelte; siamo certi che Dio abiti in lui, nella
sua coscienza e dignità. A noi, anche come cittadini, non resta che il compito di vigilare su come questa
legge verrà approvata al Senato e soprattutto su come verrà applicata
all’interno del nostro Sistema Sanitario.
La Redazione di Nipoti di Maritain
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