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Visualizzazione dei post con l'etichetta accanimento terapeutico

Testamento Biologico: per noi è una buona legge

a cura della Redazione Non era sicuramente facile trovare una mediazione su un tema tanto delicato quale quello del testamento biologico in un Paese, come il nostro, nel quale vi è la tendenza immediata a rendere ogni battaglia subito ideologica e scollegata dalle vite reali delle persone. Stavolta i tempi sono stati maturi per questo storico passaggio e, alla Camera dei Deputati , con un’insolita maggioranza composta da PD e Movimento 5 Stelle, si è potuta approvare una legge che regola finalmente in modo equilibrato e serio il consenso informato e le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), tema su cui avevamo dibattuto nel numero 2 della nostra Rivista . Era necessario coprire questo vulnus nel nostro sistema legislativo e ci auguriamo che questa norma possa essere approvata anche al Senato perché pone finalmente al centro del rapporto fra medico e paziente quella che è una vera e propria relazione di cura . Sia il consenso informato, sia le DAT infatti sono state c

In ascolto del malato

di Lorenzo Banducci Mi è impossibile – data la mia esperienza, sia personale sia collegata alla professione – parlare di un tema delicato quale quello del testamento biologico senza accennare al ruolo che il medico o, in generale, l’operatore sanitario deve avere nello stare vicino a chi soffre. Stare accanto al malato significa essenzialmente mettersi in ascolto della condizione di estrema sofferenza che sta vivendo la persona vicino a noi, accompagnandola un passo alla volta nel cammino terapeutico di qualsiasi natura esso sia (di cura, palliativo ecc.). È su questo aspetto che si gioca un duplice tema che mi è più caro sottolineare in queste righe più che quello del presunto “diritto di morire”. Da una parte occorre, perché si realizzi sempre più questo legame fra colui che cura e colui che soffre, che le strutture sanitarie, di qualsiasi livello esse siano, abbiano la capacità di porre al centro la persona nella sua integrità trovando il coraggio di andare oltre due grand

Brevi osservazioni sulla dichiarazione anticipata di trattamento

di Raffaele Dobellini Sono attualmente in discussione presso la Commissione Affari sociali della Camera sedici proposte di legge sul c.d. testamento biologico o dichiarazione anticipata di trattamento. Tra queste due espressioni andrebbe preferita la seconda. L’espressione “testamento biologico” , infatti, può essere interpretata come sostegno alla tesi secondo la quale il bene vita sia «davvero subordinato alla mera volontà potestativa della persona e che questa sia comunque l’unica legittimata ad attribuire a tale bene un qualsivoglia valore» [1] . Il r ilievo assunto dalla DAT origina, per un verso, dalla necessità di evitare che sia un giudice a dedurre la volontà del paziente in stato c.d. vegetativo, ricorrendo ad improbabili testimonianze di terzi, dall’altro, dalla natura relazionale-personalistica, che oggi si attribuisce al rapporto tra medico e paziente, che ha permesso di superare la «primazia del medico sull’alleanza terapeutica» [2] . La DAT risulta necessaria, p

Esiste un diritto a uccidersi?

di Niccolò Bonetti La coscienza cristiana sul tema del testamento biologico deve evitare due atteggiamenti erronei: una sacralizzazione esagerata della vita fisica che esprime un attaccamento peccaminoso alla vita terrena e una visione libertaria che invece ritiene la vita umana liberalmente disponibile dal soggetto in modo illimitato. Fra chi ritiene che bisogna continuare ad idratare e alimentare gli individui in stato vegetativo anche contro la volontà che espressero in vita e chi ritiene il suicidio un diritto assoluto della persona umana è possibile percorrere vie intermedie e più umane. La vita umana è un dono indisponibile di Dio: non è l’uomo a darsi la vita e neppure dipende totalmente da lui conservarla ed è quindi difficile sostenere che egli possa rivendicare un diritto assoluto a togliersela. Accettare la sofferenza, il dolore e la morte significa accettare la finitezza umana; ogni soluzione eutanasica rischia di configurarsi come fuga dall’umano. Tuttavia non

Nipoti di Maritain 02/2016

È uscito il secondo numero di Nipoti di Maritain, che può essere letto gratuitamente e scaricato dal portale issuu.com Nipoti di Maritain continua a crescere in numero di articoli, di autori e di qualità del dibattito. Questa volta si parla di  testamento biologico, dialogo con i musulmani e ruolo del diaconato per la Chiesa di oggi. Con un’intervista esclusiva alla diaconessa evangelica Wiebke Johannsen o e tante interessanti rubriche. Scoprilo qui al link https://issuu.com/nipotidimaritain/docs/nipoti_02  

Call for papers - Nipoti di Maritain n. 02

Cari Amici,  stiamo raccogliendo articoli per il secondo numero della rivista di Nipoti di Maritain. Vi presentiamo i quesiti su cui si articolerà il dibattito: Ambito etico/morale : « Un cristiano, nel proprio testamento biologico , che cosa può e/o non  può scrivere? » Ambito politico/sociale : « Quale tipo di fraternità e dialogo è possibile tra cristiani e musulmani ?  Hai esperienze da raccontarci? » Ambito pastorale/ecclesiale : « In che modo il diaconato , anche femminile, potrebbe servire meglio  alle necessità odierne della Chiesa? » Accettiamo interventi di risposta di 600 parole circa da farci pervenire all’indirizzo inipotidimaritain6@gmail.com entro il 15 settembre 2016 . 

Può esistere una giustificazione cristiana dell'eutanasia (2°parte)

di Giannino Piana (Prosecuzione dell'articolo pubblicato ieri) Osservazioni per un bilancio critico La provocazione di Küng, le cui argomentazioni vanno seriamente discusse, ci fa in ogni caso intuire che la questione dell'autodeterminazione di fronte alla morte è una questione complessa, meritevole come tale di attenta riflessione. Le ragioni a favore dell'autodeterminazione, comprese quelle di ordine teologico, sono tutt'altro che peregrine. Le argomentazioni contrarie, le quali fanno appello alla radicale indisponibilità della vita umana perché «dono» di Dio o perché dotata di una costitutiva «santità», risultano insufficienti: esse si collocano infatti a livello metaetico o parenetico, e in quanto tali non possono rivestire un carattere assoluto né tanto meno venire immediatamente trasposte in ambito normativo. La tradizione morale cristiana conosce del resto l'esistenza di consistenti eccezioni al divieto di uccidere, soprattutto sul terreno d

Può esistere una giustificazione cristiana dell'eutanasia? (1°parte)

di Giannino Piana in “Micromega” n. 4 del maggio 2013 L'eutanasia è una pratica presente in tutte le società e le culture - dalle più remote a quelle attuali - che ha assunto (e assume) tuttavia connotati e significati diversi a seconda delle modalità con cui viene eseguita e delle motivazioni che giustificano ad essa il ricorso. Senza entrare nel merito di un'indagine storica (e antropologica), che ci porterebbe lontano e che esula peraltro dall'intento di questo saggio, si può dire che l'eutanasia è oggi comunemente intesa come quell'insieme di azioni o di omissioni intenzionalmente e direttamente finalizzate a porre fine alla vita o ad accelerare la morte di un malato che versa in condizioni disperate. L'eutanasia risulta dunque motivata da un atteggiamento di pietà nei confronti di una persona che vive in una situazione particolarmente penosa e che si intende in tal modo sottrarre a ulteriori sofferenze. Questa restrizione dell'area semantica

Vita, disporne liberamente

In questo intervento affronto tre problemi: 1) quale fondamento possiede l’assunto che la propria vita è assolutamente indisponibile? 2) nel rapporto tra Persona e Tecnica (medica e biologica) non stiamo entrando in una zona di rischio e confusione? 3) esiste un obbligo assoluto di curare e di curarsi a qualsiasi costo? Basta aver articolato le domande per coglierne l’onnipresenza nei dilemmi biopolitici dell’ora, concernenti la futura legge sulla fine della vita, la portata delle indicazioni anticipate di trattamento, il rapporto medico-paziente, il dettato della nostra Costituzione in merito.

Sulle questioni più "calde" della società e della Chiesa, la voce coraggiosa e profetica del card. Martini

Adista - 31 agosto 2012 Negli ultimi anni, il cardinale Carlo Maria Martini affrontò i temi spinosi della modernità e della Chiesa in numerosi libri, colloqui ed interviste. Nel volume scritto insieme al medico e senatore del Pd Ignazio Marino nel volume  Credere e conoscere , (Einaudi, 2006), affermò sull' omosessualità : «In alcuni casi la buona fede, le esperienze vissute, le abitudini contratte, l’inconscio e forse anche una certa inclinazione nativa possono spingere a scegliere un tipo di vita con un partner dello stesso sesso». «Non è male che, in luogo di rapporti omosessuali occasionali, due persone abbiano una certa stabilità e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli». Matrimonio no, insomma, ma riconoscimento di alcuni diritti fondamentali, sì. Unioni civili  - «Non condivido le posizioni di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili»: «Se alcune persone, di sesso diverso oppure dello stesso sesso, ambiscono a firmare un patto per dar

Carlo Maria Martini, il Cardinale.

di Lorenzo Banducci “La crescente capacità della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili. Senz’altro il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona. Il punto delicato è che per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. In particolare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete, anche dal punto di vista giuridico salvo eccezioni ben definite, di valutare se le cure che gli vengono proposte sono effettivamente proporzionate. Del resto, questo non deve equivalere a lasciare il malato in