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14.08.18. L’angoscia Superba


di Davide Penna

Non si riesce proprio a dormire questa notte a Genova. Sono troppe e troppe fresche le immagini che si rincorrono del Ponte Morandi spezzato, sbriciolato lungo 200 metri di cemento armato caduti come se fossero trucioli di legno. Il dolore, l’angoscia, il respiro corto che accompagna ogni genovese sono segni e ferite che non possono lasciare in pace. C’è un perché? che non si accontenta delle assurde polemiche partitiche già scattate, anche dalla voce di ministri (!!!?). Un perché? che coinvolge te e tutti i tuoi concittadini, amici, parenti, compagni di derby; sì, perché a Genova quel ponte lo abbiamo preso tutti un milione di volte. I tuoi familiari lo hanno preso due giorni prima, tu dovevi prenderlo il giorno dopo, tanti amici lo hanno preso qualche minuto prima o dopo. Ti ricordi di quante volte lo vedevi e ti faceva sempre un po’ impressione… così alto, così maestoso che sembrava il ponte di Brooklyn, così lungo che ti veniva da accelerare per finire di percorrerlo presto e tornare a casa dai cari che come te lo percorrevano sempre. Adesso non più. Sì, al posto di quelle tante persone morte e disperse potevi tranquillamente esserci tu… perché? Tutte queste immagini, tutti questi ricordi, tutti questi pensieri ti strozzano il cuore e la testa e il cuscino è sempre più duro e arroventato, il letto un sasso che ti inghiottisce e non ti lascia riposare. Non c’è riposo da una tragedia del genere. Questo è il nostro Vajont. Questo è il nostro 11 settembre.


Ti risvegli e quel cumulo di macerie e detriti è ancora lì a ricordarti che non è stato un incubo, ma è tutto vero: Ponte Morandi, quello che vedevi tornando a Sampi, ovvero Sampierdarena per i genovesi, che scorgevi maestoso dalle alture di Belvedere e ti sembrava di stare a Detroit con tutte quelle strade che si intersecano tra i monti, che scrutavi pensieroso in via Fillak perché ti sovrastava come un gigante grigio, che ti dava un senso misto di stupore, paura, sicurezza e fiducia (tipici sentimenti contrastanti del genovese) perché pensavi a quanto efficiente possa essere la tecnica umana da realizzare opere così complesse…  è completamente spezzato come le vite di circa cinquanta o forse più persone, come i sogni di famiglie in partenza per le vacanze in questa vigilia tremenda e apocalittica di Ferragosto. Il Ponte simbolo degli anni ’60, della fiducia nello sviluppo, nel futuro, nelle grandi opere, è crollato. E con esso è crollato tutto quello che gli anni ’60 hanno significato, appunto. A vederlo sotto un potente temporale estivo, tra fulmini e lampi, tagliato a metà, ti sembra di vivere un incubo.

Ed è così. Un incubo realissimo. L’inquietudine che non lascia allontanare nessun pensiero dalle macerie del ponte, non è solo per i morti, per gli sfollati, per una città che sarà paralizzata, per la paura di quanto il tutto poteva essere ancora più disastroso… no, la profonda angoscia che sentiamo tutti è dovuta anche al fatto che quanto è successo è un punto di rottura che ha cambiato per sempre la storia di Genova e dei genovesi. Una storia che deve essere riscritta con coraggio, umiltà e lavoro, tutte caratteristiche che segnano nel profondo questa città la quale, per la sua storia travagliata e maestosa, ha dovuto passare continui momenti di cadute profonde e paurose, e resurrezioni forti e maestose. Pensare al Novecento, alla medaglia d’oro per la resistenza (l’unica città europea in cui i soldati nazisti hanno firmato la resa al cln cittadino), agli anni ’60, alle alluvioni del ’70, ’94, del 2011, del 2014.  Ma oggi questo futuro non lo riesci a vedere, la disperazione è troppo grande. Oggi è il giorno del pianto e dell’angoscia, ed è giusto che sia così. Sì, le lacrime di oggi potranno diventare il seme della speranza, perché solo tanti cuori che sanno angosciarsi per tragedie comuni potranno, uniti, costruire il futuro e scrivere una nuova pagina. Ti ritrovi allora a contattare la Protezione Civile per offrirti volontario, ti rechi al Centro Civico di Sampierdarena dove hanno allestito un punto di accoglienza per sfollati, e trovi una macchina di soccorsi all’opera da ore con efficienza, coraggio, forza di volontà che esce da quello spirito indomito e rude dei genovesi, così mugugnoni ma così generosi. Questo ti dà speranza, una speranza vera, impastata di lacrime e sangue dei morti e senso di completa fragilità nei vivi.

Eppure… eppure senti già il rumore dei politicanti e dei ministri arrivare, senti già il puzzo della polemica e della rivendicazione partitica. «È colpa di questo, piuttosto che di quello, loro devono pagare… i cittadini hanno bisogno di risposte»… no! I genovesi adesso non vogliono risposte, perché non esistono a dolori e interrogativi così grandi. Lasciateli stare i genovesi. Difendiamoli i genovesi, anche da loro stessi quando non riescono a vivere e ad affrontare il dolore senza tormentarsi con polemiche che, ad oggi, non hanno alcun senso né sono segno di vero amore per il bene comune.

Genova risorgerà? Senz’altro? Quando? Non si sa. Adesso è il tempo di ingoiare fino in fondo il groppo della paura, dell’angoscia, della assoluta fragilità della nostra esistenza. Solo da qui, da questo venerdì santo tutto genovese potremmo risorgere.

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