di Giorgio Mandoli e
Lorenzo Banducci
Montagne candidamente imbiancate sullo sfondo. Un profondo
avvallamento. I boschi con alberi spogli dalle parti. Una serie di edifici non
troppo grandi sparsi in un territorio non così vasto. Tutto questo compone,
come in un quadro, il Monastero di Bose e rende reale il sogno di Enzo Bianchi
che ha saputo vedere, partendo da un insieme di cascine, un luogo in cui
mettere in piedi una comunità monastica, un luogo in cui avvicinarsi a Dio.
C’è chi s’immagina la vita del monaco come piena di
rinunce, dove ci si priva delle proprie qualità e si rimane perennemente
vestiti di bianco. A Bose non è così.
La comunità monastica di Bose (Piemonte, provincia di
Biella), ha organizzato anche quest’anno un corso per i giovani a cavallo di
capodanno. A queste giornate hanno partecipato circa 100 persone, dai 17 ai 30
anni, provenienti da tutto lo Stivale. Attraverso la preghiera, le lezioni
tenute dai monaci e il tempo libero, abbiamo meditato sul futuro, inteso come
elaborazione a partire dai propri sogni e desideri, che hanno bisogno però di
un forte lavoro interiore per essere applicati. Il principale relatore, Luciano
Manicardi (monaco della comunità), ha esordito infatti così: “non vi racconterò il futuro del lavoro, ma
di come il lavoro interiore può creare futuro”.
Su queste premesse si è basata l’esperienza di questi
giorni (dal 27 dicembre all’1 gennaio) che abbiamo deciso di passare a Bose per
festeggiare la notte di San Silvestro.
A Bose si vivono davvero i 5 sensi (menzionati in una
relazione di Luciano Manicardi). C’è la vista.
La vista della natura quasi incontaminata: dalle montagne ai boschi, dai prati
al cielo. La vista di tanti bei volti carichi di speranza e nei quali si legge
la voglia di costruire un futuro bello per loro e per coloro che li circondano.
C’è l’olfatto. Il profumo inebriante
dell’incenso nella Chiesa di Bose dove nel raccoglimento si percepisce la
presenza del Signore. I profumi della natura, delle piante e del tempo meteorologico
(dalla pioggia, al vento che porta i profumi della montagna). C’è il tatto. E’ fatto di strette di mano a
chi si è appena incontrato e di abbracci a chi abbiamo imparato a conoscere in
questi giorni e che sicuramente ci ha dato qualcosa su cui riflettere, qualcosa
che porteremo via con noi. C’è l’udito.
Fatto di ascolto del silenzio. Un silenzio che a Bose si vive in modo davvero
forte e che consente di ascoltare se stessi. Ma l’udito si rende utile anche
nell’ascolto delle belle parole dei relatori, nell’ascolto di chi vive con noi
l’esperienza ed infine nell’ascolto della Parola di Dio durante la Liturgia
delle Ore. C’è infine il gusto. I
sapori diventano esperienza di vita. Si gustano i prodotti preparati dai monaci
stessi e si impara a vivere, anche il momento dei pasti, per confrontarsi e
condividere pensieri.
È bene marcare il fatto, a scanso di equivoci, che questi
giorni di capodanno “alternativo” non ci hanno tolto il divertimento di
stappare lo spumante, ma ci hanno invece preparato a farlo con pienezza. Il
classico “party” in casa si è trasformato in una festa di musica con tutta
l’Italia dei giovani, da Torino a Bari, che cantava nella sala dell’
accoglienza del monastero. Il cenone è stato una condivisione con prodotti
rigorosamente tipici del luogo e la messa per Maria Madre di Dio è stato una
vera e propria “Eucaristia”, in cui poter davvero ringraziare il Signore
dell’anno appena passato e affidargli il prossimo.
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