Siamo
venuti a conoscenza in questi ultimi giorni di un progetto che ha preso piede
nella regione Friuli all’interno di alcune scuole. Si tratta de “il gioco del
rispetto. Un’attività che, secondo le autrici, avrebbe come scopo quello di
formare insegnanti e bambini sul tema dell’educazione e del rispetto di genere.
Ci ha molto
colpito tale progetto, perché su alcuni media ha scatenato un dibattito
importante con interpretazioni opposte a seconda di chi forniva il proprio
punto di vista. Vi forniamo qua due esempi:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/12/trieste-allasilo-gioco-per-i-media-lezioni-porno/1499660/
http://it.radiovaticana.va/news/2015/06/15/padre_denuncia_indottrinamento_gender_in_scuola_a_trieste/115149
http://it.radiovaticana.va/news/2015/06/15/padre_denuncia_indottrinamento_gender_in_scuola_a_trieste/115149
Per
aiutarci nella comprensione, anche in vista della manifestazione del 20 giugno
a Roma che si pone in contrasto anche a iniziative come questa, abbiamo provato
a dialogare direttamente con le autrici nella speranza che il dibattito che ne
emerge possa essere fecondo per tutti.
In cosa
consiste precisamente il “gioco del rispetto”? Che origine ha questo progetto e
quali scopi si prefigge? Davvero avete intenzione di utilizzare questo
strumento per portare la famigerata “ideologia gender” all’interno delle scuole
del Friuli?
Il Gioco del rispetto
consiste in un percorso formativo rivolto alle e agli insegnanti della scuola
dell'infanzia che vogliono approfondire il tema dell'educazione al rispetto di
genere, e cioè su come far crescere bambini e bambine liberi di esprimere se stessi
e di formare la propria personalità senza condizionamenti stereotipati in base
al genere.
Lo scopo è quello di
lavorare sulla consapevolezza di insegnanti - e di riflesso bambini e bambine -
che la propria identità di genere è qualcosa che ciascuno di loro ha a
prescindere dalla cultura e dalla società in cui vivono, che un maschio è e
resta maschio anche se stira una camicia, così come una femmina è e resta
femmina anche se gioca a calcio.
Per quanto ne sappiamo
noi, l'ideologia gender non esiste, almeno non se vogliamo rimanere su un piano
scientifico e codificato di discussione. Se invece si intende la queer theory,
secondo cui l'identità sessuale sarebbe un costrutto sociale e non un dato
naturale, in ogni caso avremmo ben poco da dire, se non che il nostro progetto è
assolutamente estraneo al tema, e anche a quello dell'omosessualità, che
infatti non trattiamo da nessuna parte.
Il Gioco del rispetto
parla di uomini e di donne, nasce nell'ambito della lotta alle discriminazioni
contro le donne e vuole promuovere una società futura in cui le donne a parità
di mansioni guadagnino quanto gli uomini, in cui non perdano il lavoro a
seguito della maternità, in cui non rischino lo stupro camminando da sole in un
parcheggio e in cui non siano più vittime di violenza domestica. E crediamo che
questo risultato possa essere raggiunto se insegniamo alle bambine a credere in
tutte le loro capacità (non solo a farsi belle) e ai bambini a dare spazio e
ascolto anche alle loro emozioni. Ovviamente la violenza non si sconfigge solo
con il gioco del rispetto, perché ci vogliono azioni sistemiche su più fronti,
ma sicuramente il gioco aiuta a combattere gli stereotipi che creano terreno
fertile per le discriminazioni alla base della violenza.
Cosa pensa
del polverone sollevato da alcuni media cattolici sulla vostra proposta e dalle
strumentalizzazioni di alcuni politici? Anche contro di voi sarà scatenata il
prossimo 20 giugno una manifestazione di piazza a Roma ad opera di alcuni
gruppi cattolici. Come vedete questa cosa? Immaginavate tanto clamore?
Penso che ci
sia una gran paura di perdere un certo "primato" nell'educazione
delle coscienze. E probabilmente anche qualche vantaggio economico. Questo per
quanto riguarda i vertici ecclesiastici. Poi arrivano sentinelle e attivisti
vari, con cui non siamo mai riuscite ad avere un confronto serio e approfondito
sul tema. Nel loro caso le principali argomentazioni sono di lotta contro
l'educazione sessuale nelle scuole (argomento che noi non tocchiamo) e lotta
contro le unioni civili tra omosessuali (altro argomento che non trattiamo).
Eppure il Gioco del rispetto rimane per loro il principale nemico da
combattere, e torna quindi il sospetto che sia perché si tratta semplicemente
di un progetto educativo che un'associazione privata e laica porta nelle
scuole. Mi ha colpito a questo proposito uno dei primi articoli usciti su Vita
Nuova di Trieste, in cui si scriveva che Il gioco del rispetto è un progetto
apparentemente innocuo, ma sotto sotto, in realtà, nasconde l'ideologia del
gender. Mi domando come sia possibile nascondere "sotto sotto", una
cosa abbastanza radicale come il potersi scegliere il sesso che si vuole.
Per quanto
riguarda il clamore, sicuramente inatteso e per quanto mi riguarda
assolutamente ingiustificato, direi che a conti fatti ci ha portato un notevole
beneficio in termini di visibilità e di opportunità di sviluppo del progetto. E
anche la manifestazione del 20 giugno non farà altro che aumentare -
indirettamente - la diffusione del nostro pensiero.
Qual è la
differenza fra la lotta contro la “discriminazione di genere” (obiettivo che vi
prefiggete) e l’annullamento totale delle differenze fra i generi? In che modo
si può far capire all’opinione pubblica l’importanza del primo scopo senza
rischiare di scivolare nel secondo?
Beh, mi pare
che la differenza sia abbastanza evidente, a meno che non vogliamo affermare
che la discriminazione di genere è necessaria per mantenere i sessi diversi. E
in effetti girerei la domanda: ci può essere differenza tra maschi e femmine
senza che le donne vengano discriminate? Io direi di sì, ma non sono tanto
sicura che molte persone siano d'accordo.
In ogni caso
trovo molto grave che ultimamente la lotta alla discriminazione sia messa in
discussione per paura di "effetti collaterali". La discriminazione è
un male sociale tremendo, oltre che una vergogna per gli esseri umani. La
discriminazione si basa sulla disuguaglianza di trattamento e confondere la
lotta alla disuguaglianza con la lotta alla differenza è un errore grossolano,
superficiale e molto pericoloso, quando commesso in malafede.
Ho trovato
molto interessanti le domande che avete posto a me e a coloro che seguono
Nipoti di Maritain. Mi piacerebbe che ci forniste le vostre risposte a queste
domande. Provvederemo noi a rigirarle ai nostri lettori anche tramite la pagina
Facebook del blog.
- Qual è
la posizione della Chiesa in merito al ruolo e alla figura del padre? Quali
sono le indicazioni per una "buona" paternità?
Credo che un
buon padre sia un uomo che sia presente nella vita del figlio o della figlia e
che se ne occupi in tutti gli aspetti pratici e spirituali. Un buon padre
prende in braccio il neonato dopo il primo vagito e gli fa sentire la propria
presenza. C'è quando la madre allatta. C'è quando c'è da cambiare il pannolino.
C'è quando si deve mettere una tutina. C'è quando si deve mettere a letto. E
poi c'è quando si devono muovere i primi passi, spiegare come è fatto il mondo,
consolare quando c'è lo sconforto e incoraggiare a migliorare sempre. Io credo
che il cattolicesimo ci racconti di un padre così e noi non potremmo che essere
d'accordo.
Il padre
"stereotipato" invece non è presente. Il padre stereotipato lavora e
porta la pagnotta a casa. Il padre stereotipato non è in grado di cambiare un
pannolino. Torna a casa tardi dal lavoro e a volte non vede suo figlio per
giorni di fila. Il padre stereotipato insegna a giocare a calcio il sabato
pomeriggio, ma quando il figlio piange, chiama la mamma. A me il padre
stereotipato non piace e credo sia giusto lavorare per scardinare questo
stereotipo, per portare invece alla luce quello che dovrebbe essere una reale e
positiva figura paterna.
I figli si
fanno in due, come amano ricordarci i nostri amici sentinelle, eppure solo uno
dei due se ne occupa, oggi. Nel gioco
del rispetto lasciamo liberi i bambini di giocare a fare i papà, cercando di
esprimere quello che sentono. Questo è visto con sospetto da molti, eppure il
messaggio mi pare assolutamente in linea con quello cattolico. Ma, azzardo, mi
pare che di "buoni cattolici" ce ne siano pochi.
- Qual è
la posizione della Chiesa in merito al ruolo della donna? O meglio: che cosa,
secondo la Chiesa, anche in senso molto tradizionale, caratterizza la donna,
rendendola diversa dall'uomo?
Innanzitutto
diamo per scontato il dato naturale: siamo tutti d'accordo che maschi e femmine
sono biologicamente diversi tra loro. Per il resto, vorrei avere veramente una
risposta autorevole da chi è più esperto di me sul pensiero della Chiesa. Per
quanto riguarda me e anche il pensiero che sta sotto il Gioco del rispetto,
dico che la donna non può definirsi diversa dall'uomo "perché si fa
bella". Se pensiamo alla figura femminile di Maria, non possiamo dire che
era una donna "perché faceva le faccende domestiche". E Giuseppe? Può
essere definito uomo solo perché lavorava? Io credo sia molto limitante la
stereotipizzazione dei ruoli. Perché i ruoli non hanno nulla a che vedere con
l'identità. Se Giuseppe si fosse fatto bello sarebbe stato meno uomo? Se Maria
avesse lavorato sarebbe stata meno donna? È di questo che si ha paura tirando
in ballo la teoria del gender? Che se le donne lavorano e gli uomini si fanno
la ceretta, non saremo più in grado di distinguere maschi dalle femmine e la
nostra specie si estinguerà? Il maschile e il femminile sono veramente
riconducibili a questi semplici dettagli comportamentali? A me pare svilente
questa prospettiva. Mi pare molto triste che la mia femminilità dipenda da come
uso il ferro da stiro e che la mascolinità del mio compagno dipenda da come gioca
a calcio.
- Allo
stesso modo, che cosa caratterizza l'uomo, rendendolo diverso dalla donna? Una
certa parte di mondo cattolico che dibatte ultimamente sul Gioco del rispetto, è
consapevole di utilizzare argomentazioni a supporto di scelte del mercato
capitalistico più che a supporto di considerazioni dettate dalla natura o dai
testi sacri?
Mi riallaccio
al tema della paternità. Nella nostra società molti padri vorrebbero fare i
padri ma non possono perché il nostro sistema economico e lavorativo si regge
su una visione distorta della famiglia, in cui gli uomini lavorano 12 ore al
giorno e le donne fanno al massimo le segretarie e poi vanno a casa a crescere
da sole i figli. E mi meraviglio di come molti cattolici la scambino per
"naturale", quando invece è assolutamente "aziendale".
Dalla nostra
pagina Facebook abbiamo criticato l'eccessiva genderizzazione di giochi e
ipersessualizzazione delle bambine. Il marketing ha sete di nuovi target a cui
vendere prodotti sempre più differenziati e si creano distinzioni anche dove,
per natura, non dovrebbero essercene. Un uovo di Pasqua può essere "da
maschio" o "da femmina"? Era necessario distinguerli? Il
dentifricio per uomini è un prodotto che risponde a un bisogno naturale? Il
fatto che bambini e bambine giocassero assieme ai LEGO era veramente così
disdicevole da richiedere la creazione di una versione dedicata solo alle
bambine? È veramente utile allo sviluppo cognitivo delle bambine, anticipare
l'uso di trucchi e scarpe col tacco? Tutto questo mi sembra molto distante
dall'insegnamento cristiano, il cui messaggio principale è forse che di fronte
a Dio siamo tutti uguali, uomini e donne. Ma mi sembra che ci sia invece un
grande affanno verso l'iper differenziazione, anche quando non necessaria, se
non alle casse delle multinazionali.
È interessante
però leggere i commenti di molti cattolici a queste nostre critiche: una difesa
a oltranza della "naturale" propensione che le bambine hanno a
truccarsi e agghindarsi o i bambini a picchiarsi tra loro. A me pare siano
molto molto distanti dal pensiero cristiano.
Commenti
D'altronde è bene che ci sia accorti che certe competenze non siano innate, pronte a saltare fuori quando ti fai un amico, ti trovi un(a) ragazza/o o hai un figlio, ecc. Esperti? in dosi moderate.
Potrebbe spiegarmi meglio la ragione della sua delusione? Significa che si aspettava una soluzione migliore al problema della discriminazione delle donne? Perché da quello che scrive sembrerebbe di sì, ma non è chiaro. In effetti trovo un po' strano l'accenno da un lato alla delusione delle aspettative e dall'altro il "preferisco non commentare" scritto nella sezione "commenti" di un post.
Quindi, se vogliamo costruire un dialogo io ci sono, ma ho bisogno di elementi su cui confrontarmi.
Riguardo invece alle considerazioni sul fatto che esistono già delle leggi che puniscono stupro e omicidio, dico che una società civile deve preoccuparsi non solo della sanzione, ma anche e soprattutto della PREVENZIONE. Violenze, stupri, femminicidi, mobbing, rappresentano un enorme costo economico per tutti e punire il crimine non è sufficiente: bisogna lavorare per eliminarne le cause. Gli stereotipi culturali che hanno portato il neocatecumenale Arguello a dire che il femminicidio è colpa delle donne, sono terreno fertile per il perpetuarsi di questi delitti e va quindi fatto un lavoro educativo importante. Non più su di lui, ormai, ma sicuramente sulle nuove generazioni.
Veramente non si affermava che le bambine pensano solo a farsi belle, ma che non dobbiamo INSEGNARE loro soltanto a farsi belle, in quanto bambine. Le forzature arrivano sempre e solo dal mondo adulto. Le bambine non preferiscono "da sole" farsi belle. A meno che qualcuno (per esempio la cultura in cui crescono) non dica loro che è giusto che sia così. Tutto il discorso sulla presunta idiozia di bambini e bambine è offensivo e nessuno ha mai affermato questo.
Si scade nella banalità: ma chi al mondo insegna alle bambine esclusivamente a farsi belle? E cosa significa che le forzature arrivano sempre e solo dal mondo adulto? E' ovvio che sia così, l'educazione dei bambini (ne ho tre) è ciò che qui viene fatto passare con l'accezione negativa di forzatura: condividere i giochi con gli altri, essere generosi, rispettosi, responsabili, tutte queste cose richiedono "forzature", così come assicurarsi che i bimbi dedichino il giusto tempo allo studio, all'igiene, fino agli orari per andare a letto la sera. Lei le chiama forzature, io la chiamo educazione. Lei è stata bambina, quindi - secondo la sua linea di ragionamento - ha subìto le "forzature" oppressive del mondo adulto : eppure questo non le ha impedito di portare avanto ciò che ritiene giusto. Lei che risposte si da su questo? E perché mai dovrei lasciare ad altri il compito educativo, partendo dal presupposto (tutto da dimostrare) che le mie "forzature" siano cattive e le altre siano buone/migliori? Insisto sul fatto che bisogna spiegare ai bambini *perché* è importante fare qualcosa e dargli dei valori, cosa completamente assente nel programma che ho visto qui esposto. Concludo facendo presente che in passato mia moglie ha perso il lavoro a causa della prima maternità, per decisione di *donne*. Il rispetto quindi non è un problema di sesso/genere, ma di valori (=perché è importante per la società tutelare le donne incinta?). A conferma dell'esempio personale da me riportato, ho trovato a caso un link di oggi qui (buona lettura e buona riflessione): http://firenze.repubblica.it/cronaca/2015/07/13/news/la_direttrice_alla_commessa_speravo_tu_fossi_sterile_-118942491/