di Lorenzo Banducci
Oggi dedichiamo la nostra attenzione a
una lunga chiacchierata con Giulio Saputo, da poco eletto Segretario Generale
della Gioventù Federalista Europea. Interessanti sicuramente gli spunti di
riflessione proposti sui temi dell’Unione Europea, del suo percorso passato e
del suo futuro. Proveremo a districarci fra luoghi comuni diffusi e segni di
speranza in una prospettiva che per il nostro Continente può essere migliore dell’attuale
presente.
Giulio sei da poco diventato
responsabile nazionale della sezione giovanile del Movimento Federalista
Europeo. In cosa consiste il tuo ruolo? Quanto è lontana ad oggi la prospettiva
di un'Europa federale sempre più unita?
Dopo il Congresso tenutosi a Pisa a
fine maggio, sono diventato Segretario Generale della Gioventù Federalista
Europea. Possiamo dire che la GFE gode di una buona autonomia d'azione rispetto
al Movimento Federalista Europeo, anche se sono praticamente «associazioni
sorelle». Infatti, condividiamo molto spesso le campagne, organizziamo azioni
comuni e ogni membro della GFE, compiuti i 18 anni, è automaticamente anche
membro del MFE. Il mio ruolo è essenzialmente quello di coordinare il
movimento, cercando di aiutare le sezioni a far passare le nostre istanze sul
piano politico per sensibilizzare i cittadini, le istituzioni, i partiti, i
governi e la società civile sulla necessità di avere un'Europa federale.
Ovviamente il nostro impegno si declina anche a livello europeo, in quanto la
GFE rappresenta la sezione italiana della Jeunes
Européens Fédéralistes. Purtroppo non è facile parlare di Europa con
un'opinione pubblica fin troppo disinformata, considerato anche che mantenere
orgogliosamente la nostra autonomia politica ed economica, basandoci sul lavoro
volontario dei militanti e sull'autofinanziamento, ha qualche costo sulla
possibilità di essere più visibili dal punto di vista mediatico. Probabilmente
non siamo così lontani dall'avere un'Europa finalmente democratica, dai
cosiddetti «Stati Uniti d'Europa». Purtroppo quest'ultimo, piccolo, passo che
manca rappresenterebbe la cessione definitiva di sovranità da parte degli Stati
a un organismo sovranazionale e ad oggi manca totalmente la capacità di
leadership e il coraggio per superare quest'ultimo scoglio. Nel frattempo si
allarga il divario tra istituzioni europee (divenute il capro espiatorio
dell'impotenza dei governi degli Stati membri di fronte alle sfide
internazionali o semplicemente della propria incapacità) e cittadini, mentre
siamo di fronte ad emergenze umanitarie ed economiche sempre più allarmanti.
Viene quasi da chiedersi se i nostri capi del governo e i «5 Presidenti»
saranno davvero capaci di «quello sforzo creativo» che chiedeva Schuman per
completare il percorso dell'integrazione alla luce anche della scarsa
lungimiranza presente nei documenti presentati per il vertice del 25-26 giugno.
Quel che è certo è che se si vuole davvero trovare una soluzione a molti dei
problemi globali e i cittadini europei vogliono ancora avere una qualche voce
in capitolo, l'Europa non può permettersi di restare divisa.
Un tema su cui si dibatte molto quando
parliamo di Europa è sicuramente quello della mancanza di solidarietà. Dov'è la
solidarietà dell'Europa di fronte alle questioni dei migranti? Quali aspetti
sono da rivedere delle politiche migratorie dell'UE? Non sarebbe meglio passare
da un approccio di aiuto di fronte all'emergenza a uno - più ad ampio raggio -
di intervento (attraverso la diplomazia o altri strumenti) nelle zone
interessate da conflitti o dove regna l'incertezza governativa? La solidarietà
a volte sembra mancare anche all'interno dei paesi membri dell'Unione. Come si
aiuta davvero la Grecia ad uscire dalla crisi che la attanaglia?
Le grandi ondate migratorie, come la
crisi economica sistemica che stiamo vivendo, sono esattamente alcuni di quei
problemi che possono definirsi «europei» e come tali necessiterebbero di
soluzioni ovviamente europee. E' semplicemente logico. Tralasciando il triste
dibattito sugli slogan populisti, anche allarmisti, e sulle varie bufale che
circolano riguardo ai migranti, è interessante notare come tutti attacchino
indistintamente l’UE e la sua incapacità di gestire l'immigrazione, dimenticando
che l’Unione ha al riguardo una competenza e risorse molto limitate, perché gli
Stati membri non hanno voluto concedergliele. Sono nettamente convinto che la
solidarietà ha dei forti limiti se non è accompagnata da istituzioni che
affrontino efficacemente i problemi, anche perché il rischio è seriamente
quello di tornare decenni indietro a guardare ognuno al proprio «orticello
nazionale» perdendo di vista l'interesse comune europeo. Inoltre c'è da dire
che vi è un'assoluta necessità di una politica estera e di sicurezza europea
unica per affrontare il problema endemico del Medio Oriente e del Nord Africa.
Però solo superando questo approccio intergovernativo che ci ha trascinati in
questo impasse e con l’unità politica l’Europa può provare a stabilizzare le
aree limitrofe svolgendo un ruolo-guida sul piano internazionale per
rilanciarne lo sviluppo. Purtroppo, invece di affrontare il problema
all’origine, l'immigrazione è considerata come una questione di mero ordine
pubblico. Non dobbiamo mai smettere di ricordare che il nostro unico merito è
stato quello di avere la fortuna di nascere dalla parte giusta del mondo. Dopo
l'ennesima tragedia in mare ci siamo quindi spesso chiesti dov'è andata a
finire l'Europa «culla dei diritti umani»? È anche per questo motivo che lo
scorso 20 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato introdotta
dalla Risoluzione dell’Assemblea Generale ONU 55/76 del 2001, come GFE, ci
siamo attivati in molte piazze italiane cercando di portare il nostro
messaggio. Le soluzioni che proponiamo ovviamente non sono semplici da
intraprendere ma vedono due livelli di azione: uno sfruttando i trattati
esistenti e uno che vada oltre. Si dovrebbe iniziare superando il Regolamento
di Dublino III per formare un diritto di asilo europeo unico, passando poi
successivamente alla creazione di un programma di ricerca e salvataggio in
tutta l’area del Mediterraneo con processi di cooperazione rafforzata. In
seguito si potrebbe passare alla costituzione di un esercito e una guardia
costiera europei attraverso la realizzazione di uno Stato federale andando
oltre gli attuali trattati esistenti. Una Federazione europea sarebbe l’unica
istituzione in grado di mobilitare le risorse necessarie per il definitivo
superamento di una situazione intollerabile. Lo stesso discorso vale per il
problema greco, perché non salvare subito la Grecia come gli Stati Uniti hanno
fatto per la California? L'Europa non ha una sua politica economica perché
quest'ultima è ancora gelosamente in mano agli Stati membri, che ovviamente non
hanno né le risorse e né l'interesse per affrontare il problema greco. Questo
perché i governi nazionali, nell'attuale sistema di risoluzione delle
problematiche intergovernativo, rispondono al loro elettorato e difficilmente
possono intraprendere apertamente scelte nell'interesse comune europeo, anche
se sul lungo periodo questo egoismo va contro i loro stessi interessi (basti
vedere quanto sta costando ad oggi la crisi greca rispetto a un salvataggio
iniziale). L’Eurogruppo ancora insiste nell’esigere che Atene rispetti gli
accordi sulle “riforme strutturali”, mentre il governo greco rifiuta di
piegarsi agitando la minaccia di una rovinosa Grexit. Entrambi gli attori
politici fingono che il vero problema non sia -in realtà- la condivisione di
sovranità che si richiede (non solo alla Grecia, ma a tutti i Paesi
dell’Eurozona) per varare una politica fiscale comune, che rappresenta l'unica
via per mettere in sicurezza l'unione monetaria. Infatti, quello che manca
all'Europa per risolvere la crisi greca è un bilancio autonomo rispetto a
quello degli Stati (ricordiamo che bilancio dell'UE attualmente è meno dell'1%
di quello degli Stati membri) che possa garantire il margine per avere una
politica economica e di sviluppo davvero europea. Storicamente non hanno mai
resistito a lungo delle unioni monetarie senza una politica a governarle. Come
si può pensare di andare avanti con 1 moneta per 19 politiche economiche?
E' innegabile come agli occhi
dell'opinione pubblica nazionale l'Europa sia diventata simbolo di austerità,
rigore, norme rigide, lacci che bloccano. Un' Europa che sembra sempre più
legata alle sorti dei suoi paesi ricchi e del Nord. L'Euro - la nostra moneta
unica - è diventato il simbolo di questa idea tanto diffusa fra le persone. Ti
do la possibilità di sfatare un po' di miti su quest'ultimo. E' davvero questa
moneta responsabile della crisi? E' possibile pensare un'uscita dall'Euro? Come
saremo oggi se fossimo rimasti alla Lira?
Occorre innanzi tutto ricordare che
l'attuale crisi economica che ci ha colpiti nel 2008 e da cui fatichiamo a
riprenderci non nasce in Europa, bensì negli Stati Uniti. La causa è una forte
deregolamentazione della finanza che ha permesso una finanziarizzazione
dell’economia e il susseguirsi di una dinamica economica incentrata su consumi
interni a credito, ovvero su una crescita continua di una bolla del debito resa
possibile dal ruolo del Dollaro come moneta di riferimento del sistema
monetario internazionale e dalle politiche accondiscendenti della FED. Non è
cambiato molto nel sistema monetario internazionale e la necessità di
riformarlo per scongiurare nuove crisi che passino dalla volatilità della
finanza all'economia reale è ancora sul tappeto. Agli USA però è riuscito di
scaricare i costi della crisi sulle altre aree avanzate, in particolare
l’Europa, grazie ad una politica economica (dell’Amministrazione Obama) e
monetaria (della Federal Reserve) molto aggressive. L’Europa non aveva e non ha
gli strumenti per affrontare l’impatto di questi shock esterni, poiché la
politica monetaria da sola non basta. Per fare un discorso completo sull'Euro
direi che è necessario iniziare ricordando che molto spesso i commentatori e
gli economisti che siamo abituati a vedere in televisione non possono dare una
seria valutazione se quando parlano di questa moneta non considerano che la sua
reale importanza sta nell'essere una tappa fondamentale di un processo politico
di integrazione continentale che va avanti da dopo la II GM. Considerare l'Euro
senza tutto il processo di unificazione europea è tremendamente fuorviante. La
ricostruzione degli Stati europei occidentali è stata resa possibile dal Piano
Marshall (ERP) fornito dagli USA e il loro successivo sviluppo economico fu il
frutto dell’integrazione europea. Anche se siamo soliti parlare di “miracolo
economico italiano” – così come i francesi e i tedeschi – in realtà fu la
creazione della Comunità Economica Europea e del Mercato comune che garantì ai
Sei Paesi fondatori alti e analoghi tassi di crescita. Questo costrinse gli
altri Stati europei che non ne facevano parte, e che avevano quindi tassi di
crescita molto inferiori, a chiedere di entrarvi. L'Unione europea ha fornito
un mercato unico per permettere lo sviluppo agli Stati nazionali europei
nonostante la sempre più pressante competizione globale degli Stati continente
(BRICS). L’uscita dall’Euro per recuperare la sovranità monetaria non solo
minerebbe il progetto di un’Europa unita nel segno della pace dopo secoli di
conflitti ma farebbe anche piombare l’Italia in un grave disastro economico e
politico. Vogliamo davvero tornare a guerre valutarie, a dazi e a competizioni
sempre più violente annientando tutto quel che rimane della solidarietà europea
cercando di competere con Cina, Stati Uniti o Russia? Senza contare il fatto
che la nuova lira trasformerebbe in carta straccia i risparmi dei cittadini e
gli investimenti delle imprese. Il costo delle importazioni di energia e
materie prime diventerebbe proibitivo (per un paese come il nostro sarebbe un
vero dramma), creando enormi problemi per la produzione industriale, andando
poi ad annullare gli effetti positivi sulle esportazioni. Occorre sempre
ricordare che la possibilità di svalutare la propria moneta ha due facce: se da
un lato si favorisce le esportazioni, dall'altro si rende più oneroso
l'acquisto dei beni. In un mondo interdipendente come questo in cui viviamo,
con il recente aumento del costo delle materie prime dovuto allo sviluppo
dirompente delle economie emergenti negli ultimi dieci anni (petrolio più del 65%,
ottone 85%, zinco più del 70%, ecc.), l'Italia se non avesse avuto l'euro
sarebbe caduta in un vero e proprio shock pari a quello degli anni '70. Si
pensa troppo spesso al rincaro del cambio euro-lira (dovuto in realtà
all'assenza di controlli pubblici) ma si dimentica facilmente la formidabile
difesa che ha costituito l'Euro rispetto al costo delle materie prime. Resta il
fatto che abbiamo una moneta senza uno Stato e senza una politica economica a
governarla. Chi vede nell'attuale Europa un vincolo ha ragione: gli Stati
membri non possono condurre una politica monetaria indipendente e, allo stesso
tempo, non si sono dotati degli strumenti comuni per gestirla sul piano
sovranazionale. Solo uno Stato federale, con un bilancio autonomo e una
politica economica unica, può superare gli squilibri territoriali e rilanciare
lo sviluppo nelle zone economicamente «più deboli». Per uscire dalla crisi e
scongiurare le prossime difficoltà, come ha affermato Tommaso Padoa Schioppa,
si dovrebbe lasciare «agli Stati il rigore e all’Europa andrebbe data la
possibilità di occuparsi della crescita» : solo lanciando un grande piano di
sviluppo a livello europeo (dotato di risorse proprie, ben oltre il Piano
Juncker) si potranno creare benessere e occupazione per tutti i cittadini
europei sfruttando risorse comuni. Proventi di tasse “giuste” come la carbon
tax (sulle emissioni inquinanti) e la tobin tax (sulle transazioni
finanziariie) con l'aggiunta del risparmio dato da un esercito unico e
dall'emissione di titoli di debito pubblico europei, potrebbero finanziare
facilmente investimenti di larga scala, infrastrutture europee, beni pubblici,
lavoro e welfare.
A che punto siamo con il progetto di
integrazione europea? I vari progetti per gli studenti Europei hanno avuto
qualche risultato in questa direzione? Quali potrebbero essere i prossimi passi
(sto pensando ad esempio a una Costituzione condivisa pienamente con radici
forti ben precisate all'interno)? In che modo anche lo sport, la cultura,
l'istruzione potrebbero aiutare in questo percorso?
L’Unione europea dovrebbe uscire dalla
gabbia che si è costruita con le sue stesse mani, strutturandosi finalmente in
un sistema istituzionale che garantisca il controllo democratico sulle scelte
di governo dell’Unione, superando l’attuale squilibrio tra un centro
decisionale percepito come distante e il suo demos. Certamente la cultura e
l’identità stesse sono dimensioni di questo problema politico: oggi abbiamo una
società globalizzata con un’economia interdipendente in cui la possibilità
dell’individuo di scegliere, di valere ancora qualcosa, è limitata dalla totale
assenza di controllo democratico sui mercati o sulle grandi questioni
internazionali. Il dibattito politico, spesso chiuso nei confini statuali, ha
perso di efficacia, alimentando un progressivo distacco tra le democrazie
nazionali e le istituzioni continentali. Che fare quindi?La svolta, nel disegno
federalista, consiste proprio nel creare istituzioni che si spingano fino alla
dimensione internazionale donando finalmente di nuovo un ruolo e una identità
politica ai cittadini. I prossimi passi concreti che l'attuale Unione dovrebbe
compiere sono semplici: fatta l'unione monetaria, bisogna completare al più
presto quella economica e politica. Occorre accettare il fatto che immediatamente
non tutti gli Stati vorranno portare avanti questo progetto, quindi
un'avanguardia di Paesi -con ogni probabilità dell'eurozona- dovranno
probabilmente fare da «battistrada». Ovviamente più che un'Europa a cerchi
concentrici, con diversi livelli di integrazione che permettano anche a paesi
come la Gran Bretagna di rimanere all'interno dell'Unione, sarebbe splendido
anche se venisse aperta una fase costituente. Andrebbe portata avanti
sicuramente o come è previsto dai trattati per le riforme istituzionali (con
una convenzione composta dai membri dei governi, dei parlamenti nazionali e
delle istituzioni europee) o direttamente dal Parlamento europeo o da una
Convenzione eletta ad hoc a suffragio universale.
Ripensando al nostro processo nazionale
di lavoro e di scrittura della Costituzione Italiana è innegabile non trovare
al suo interno l'importanza data dai Padri Costituenti alla vita religiosa e di
fede delle persone. La libertà religiosa è stata talvolta interpretata a
livello Europeo più come l'annullare tutto che come l'aprire a tutte le
religioni, con il rischio di creare una nuova religione atea di Stato in
contrasto con le fedi differenti dei cittadini. Ecco perché su molte questioni
di etica e di bioetica si è - a mio avviso - ascoltato poco le voci e le
sensibilità dei cittadini dei Paesi che compongono l'Unione. Può anche questo
fatto aver contribuito ad allontanare le persone dalle istituzioni europee? Può
esistere una via di mezzo adeguata fra il cesaropapismo di Putin e del mondo
Orientale e il nostro confinamento della fede nella sola sfera privata?
Non c'è dubbio che l'Europa rappresenti
ad oggi un argine nei confronti del fondamentalismo religioso, essendo uno dei
territori al mondo dove più è tutelata la libertà dell'individuo (se si considera
la teoria giuridica). Basti pensare anche alla CEDU (art.9), che teoricamente
dovrebbe proprio fare da trait d'union fra le due aree geopolitiche che mi hai
indicato nella domanda. Se rimaniamo però confinati sull'area dell'Unione
europea, direi che effettivamente stiamo perdendo un'importante sfida sulla
capacità di fornire una vera identità laica alla tutela posta sulla libertà di
professare il proprio credo religioso. Mi spiego meglio, non penso che il
problema sia quello del costituirsi di una religione atea di Stato, ma che non
abbiamo uno Stato e neanche una identità concreta dopo la crisi di quella
nazionale. Non solo, mancando una forte «identità» di cittadini europei, spesso
non riusciamo a fornire più una risposta capace di integrare i nuovi cittadini
-spesso portatori di differenti fedi- nel nostro sistema statuale esistente
(basti vedere tutte le difficoltà che ci sono in Francia). Tutto questo sta
causando le fobie e la ricerca di capri espiatori in minoranze o comunità che
purtroppo non hanno altra colpa se non quella della difficoltà
dell'integrazione in una società che fatica a definire se stessa.
L'Europa è stata ed è tutt'ora
principalmente la realizzazione di un sogno quasi utopistico: quello di portare
la pace in un continente martoriato da guerre. Penso a quella generazione di
politici che - negli anni bui della Seconda Guerra Mondiale e dei totalitarismi
- sognava l'Europa unita. La politica buona si alimenta, per sopravvivere, di
grandi sogni. Cosa può sognare di tanto grande la nostra generazione da
spingerla a lottare con lo stesso ardore dei nostri Padri Fondatori Europei?
Direi che possiamo aprire questa
riflessione con quella famosa citazione di Toynbee che considera le civiltà
come tutti gli organismi umani, quindi «nascono, crescono e muoiono». Gli
europei sono come i greci delle città-stato di fronte all’ascesa dell’Impero
macedone o come gli abitanti degli Stati regionali del Rinascimento italiano di
fronte al consolidamento dei primi Stati moderni in Europa. Possiamo scegliere
se unirci e continuare a svolgere un qualche ruolo nella storia dell'umanità e
della geopolitica globale o farci da parte e vivere ai margini di esse. Due
grandi civiltà europee hanno già perso questa sfida: la Grecia e l’Italia
rimasero solo terra di conquista in balia di altri attori politici per secoli.
Oggi sul piano nazionale il declino degli Stati europei è evidentemente
irreversibile, come possiamo competere singolarmente con attori continentali
come l'India o la Russia? Eppure l'Unione europea è la prima economia e il
secondo centro di risparmio del mondo, dotata della migliore istruzione di
base. Ai giovani direi che c'è una civiltà da salvare, che potrebbe essere un
modello di integrazione pacifico unico per l'istituzionalizzazione dei
conflitti tra gli Stati e, un giorno, per fungere da motore per democratizzare
l'ONU. Eppure per salvare questa idea d'Europa c'è solo un modo, dobbiamo
ricordare che la politica è l’unico vero strumento che abbiamo per cambiare e
migliorare ancora l’attuale stato delle cose, solo la politica rappresenta
l'«azione consapevole degli uomini nella storia». Dovremmo far sì che tutti
comprendano la necessità di portare il proprio granello di sabbia a questa
battaglia decennale per la pace e la democrazia
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