C’è un momento strano nel cammino scout Agesci ed è
quello del noviziato: sì, il nome riprende proprio il linguaggio monastico; sì,
l’ispirazione è proprio quella; sì, è un periodo di introduzione e studio. Si tratta del primo momento nella branca rover e scolte,
i più grandi nel nostro scoutismo: dura un anno. Di noviziato in Agesci si
parla – e si sparla – in continuazione, non c’è un tema altrettanto trattato e
maltrattato, anche nella prassi.È speciale e irrinunciabile e può essere una
fonte di riflessione importante anche al di fuori dell’associazione. Cercherò
ora di dare a questa riflessione un taglio ecclesiale, per plasmare un avvio di
confronto su temi scoutisticamente ed ecclesialmente poco trattati.
Il noviziato è un
tempo e come tutti i tempi è prezioso. Lo è il nostro, figuriamoci quello dei
ragazzi. Con un po’ di ironia, potremmo dire che l’importanza del tempo l’ha
capita anche il Papa: in Evangelii Gaudium
Francesco scrive che «il tempo è superiore allo spazio» e coniuga questa
affermazione con un’altra ancora più forte, «avviare processi e non occupare
spazio».
Sembra di essere a
un campo scuola.
Chiariamolo, sono
spunti antichi almeno quanto il cristianesimo: il compito del maestro è quello
di far partire il viaggio, non di correre al traguardo.
A darcene un
esempio è Gesù, Maestro per antonomasia. Pensate a Emmaus: compare a fianco dei
viaggiatori, viaggiatori che si stanno allontanando dalla strada che lui aveva
indicato, cammina con loro tutto il giorno, parla e spiega, toccando il cuore.
E poi celebra con loro, prima di rivelarsi e lasciarli. Ha seminato con
pazienza, ha atteso che i frutti crescessero e camminassero da soli. Li ha
aiutati a discernere nell’ora più buia, ma non si è sostituito a loro.
I Maestri dei
novizi sono un po’ così, con tutte le proporzioni. Lo sono tutti i capi,
intendiamoci, ma in noviziato emerge più chiaramente, si fa urgenza e
quotidianità. Il compito dei Maestri è quello di accendere un fuoco perché
bruci durante tutto il clan e si incendi con la Partenza! Se non è dare
priorità al far partire processi questo…
Il noviziato è un
momento di entusiasmo vivo, ma facile a spegnersi: spetta ai capi nutrirlo e
tenerlo vivo. Sono un po’ come dei cuochi molto bravi, ma sadici: devono far
assaggiare tutto ciò che c’è di buono – buonissimo! – nel menù del clan, senza
saziare. Ai novizi e alle novizie deve restare una fame atroce, insieme alla
golosità di continuare a mangiare quei cibi negli anni successivi e mangiarne
sempre di più. Credo sia una sfida davvero difficile, talvolta improbabile, e
per questo bellissima!
Con un noviziato,
allora, i nostri compiti sono due: generare entusiasmo e pensare prima ai
ragazzi e poi al tecnicismo delle attività. Avviare processi e dare priorità al
tempo, insomma.
Uno degli
insegnamenti che ne discende è l’importanza del volgersi al futuro: seminare
per il domani, far partire oggi qualcosa che magari non vedremo arrivare, ma
che comincia adesso. Priorità del tempo è questa dimensione di attesa
fiduciosa: è tensione educativa. Lo scoutismo vive di questa scelta di “dare
spazio al tempo”: le esperienze dello scoutismo aiutano i ragazzi e le ragazze
a crescere, ad autoeducarsi, a trovare una loro strada accompagnati dai capi. Questi
non sono leader che al bivio impongono scelte, ma educatori-testimoni che
pro-pongono – mettono di fronte ai ragazzi – alcune possibilità e chiedono loro
di confrontarvisi e valutare se sceglierle per la vita.
Il capo lavora
l’albero, ma non vede quasi mai i frutti maturi: lascia che altri possano
goderne. Avvia processi che lo supereranno.
Qui si innesta la
superiorità della realtà sull’idea: è un nodo controintuitivo per la nostra
società, che è sì materialista, all’eccesso, ma proprio per questo a parole
mantiene la fortissima preponderanza dell’idea sulla realtà. E lo facciamo
anche nel profondo delle nostre relazioni. Dopotutto restiamo molto platonici.
Anche lo scout è un
tipo da idee, ma conosce il valore della realtà Lo scouting –
vedere/giudicare/agire – è un circolo che parla continuamente di realtà. Non
sminuisce l’idea, perché di mezzo tiene il giudizio, ma parte e arriva sulla
realtà. La realtà osservata è il principio dell’azione: non trova spazio e
orientamento senza valori e idee, però. Le idee, il giudizio, sono la bussola
per agire sulla realtà. Questa bussola, però, non può essere fine a sé stessa:
deve orientarsi al ritorno nella realtà. Lo scoutismo è essenzialmente azione:
sfugge, però, alla gabbia materialista, perché è azione che ruota attorno a un
giudizio fondato sui valori e sulla riflessione.
Questo fa molta
paura: la realtà è il limite, un limite oggettivo al quale non possiamo
sfuggire. Dobbiamo avere a che fare con la realtà e ci servono strumenti da
impiegare per riuscirci con efficacia. Preferiremmo fuggire in un mondo di idee
– riecco Platone – o in un mondo che le contempli, ma abbiamo a che fare con la
materialità e la sua caducità. Con il limite, anche quello indicibile e
inesorabile. Dare priorità a questo fa paura, ma è l’unica autentica guida
quaggiù.
Il noviziato è
forse il momento in cui questo è più visibile, perché con questo spirito si
affronta la scoperta della branca RS. L’esperienza del noviziato consiste
nell’assaggiare qualcosa che verrà poi, che non è ancora del tutto presente: il
clan. C’è un parallelo con la dimensione del “già e non ancora” evangelico. I
novizi vivono sperimentando ciò che poi faranno compiutamente in clan, eppure
già sono in branca RS a pieno titolo, accompagnati in modo speciale di fronte
ai grandi cambiamenti dello scoutismo che stanno vivendo.
Il noviziato è un
tempo proiettato in avanti, un momento privilegiato del futuro. Ecco perché merita
un’attenzione particolare.
Francesco in Evangelii Gaudium parla di questi temi
riguardo la Chiesa e tutte le sue componenti: da lì ha dato forma ad azioni coerenti
durante il suo pontificato. Credo che noi non siamo abituati a vedere un
passaggio così lineare dal “predicare” all’agire, quindi fatichiamo a percepirlo.
Quasi non ci accorgiamo che accada.
Eppure molte delle
sue azioni sono caratterizzate da questa impronta. Ha riformato il Codice di
diritto canonico per quanto riguarda la nullità dei matrimoni, avviando un
processo che ha rimesso i vescovi al centro del campo pastorale nelle
delicatissime situazioni che toccano i dolorosi momenti della crisi di una
relazione sacramentale; ha ridato ossigeno, spazio e magisterialità al Sinodo
dei vescovi, che fatica a trovare un suo spazio effettivo nella vita della Chiesa
e che comincia così un momento nuovo della vita della sinodalità della Chiesa;
ha rilanciato la sinodalità e l’episcopalità della Chiesa, a cominciare dalla
sua dimensione locale, diocesana, identificandosi fin dal primo giorno come
“vescovo di Roma”; ha chiesto che al centro dell’operato della Chiesa ci fosse
il discernimento, il giudizio del cuore illuminato da Cristo; ha posto nel
cuore del dibattito il futuro, con l’attenzione ai giovani e alle donne, che
questo futuro contribuiscono a costruire con modalità peculiari; ha spiegato
come lotta alle povertà e cura della casa comune siano due aspetti di una
uguale mancanza di attenzione a chi ci è vicino.
L’elenco potrebbe
proseguire e ciascuno di noi potrebbe arricchirlo: pastore nel gregge, che lo guida
con l’esempio stando tra le pecore, Francesco è davvero uno scout nei modi di fare.
Tiene alla parola data, trasforma le parole in azioni, in opere, non si ferma
alla teoria e alla voce. Le parole sono importanti, ma sono le opere a
consentirci di dare ragione della nostra fede.
Vorrei però evitare
la banalità del pensiero che ci spingerebbe a immaginare un papa che si ispira
allo scoutismo: siamo noi scout, invece, che abbiamo colto e portato a modo
nostro nel mondo uno stile di fare le cose che è propriamente evangelico. Gesù
stesso agiva coerente con la sua predicazione e invitava i suoi a fare
altrettanto. Non è certo obbligatorio essere cristiani per essere buoni scout,
ma c’è un modello comune: questo perché stiamo parlando di un sistema operativo
che è originario, connaturato all’uomo, insito nella nostra natura.
Perché è così
importante discutere di questo? Perché è fondamentale tenere a mente questo
insegnamento? Credo che la presenza di questo stile, che è anche un po’ nostro,
nei testi e soprattutto nell’azione pastorale del Papa sia un segno per noi e
per il futuro: significa che c’è una priorità nel mondo e nella società e che
una risposta può - deve - essere seminare e attendere, dare importanza al tempo
più che allo spazio, avviare i processi e non trattenerli. Poiché è già un
nostro modus operandi, significa che dobbiamo investirci di più; poiché è uno
strumento che anche la società ritiene importante, significa che ci serve per
leggere il mondo, per capirlo, per interagire con loro. Non credo sia una
questione di “dare il nostro contributo portando questo nostro modo di fare a
tutti”: dirlo sarebbe un po’ soffrire della nostra tipica sindrome da
“salvatori del mondo”. Credo invece che sia importante perché è uno strumento
che condividiamo con molti altri, che la Chiesa chiede di usare, e che, quindi,
impiegandolo davvero possiamo capire e contribuire al meglio.
Che si parli di
strumenti tipici del noviziato e della branca RS è una nota che merita di
essere approfondita. L’età della tarda adolescenza e della prima giovinezza è
delicatissima per scelte decisive da compiere e strade nuove da percorrere:
sono passaggi epocali, destinati a lasciare un segno indelebile nella vita
adulta. A questo periodo è in dote un riconoscimento universale, non confinato
allo scoutismo: questa universale consapevolezza deve essere considerata come
un riconoscimento della validità delle intuizioni educative dello scoutismo.
Aggiungiamoci che è
un segnale della nostra sostanziale coerenza con il mondo circostante, pur
nella radicale innovazione e differenza dell’approccio educativo: significa che
non stiamo vivendo ed educando su un piano parallelo, che quindi sarebbe
immaginario e irreale, ma che abbiamo i piedi saldamente fissati nel terreno.
Forse sogniamo, ma sogniamo con coerenza e con la capacità di incidere sul
reale.
In fondo, allora,
queste consonanze tra noviziato ed ecclesiologia e pastorale di Francesco sono
un segno tangibile del nostro essere operosi nel mondo: possiamo scegliere di
prenderlo come un complimento e bearci dell’intuizione, oppure utilizzarlo come
un trampolino, prendere la rincorsa e proiettarci in avanti, consapevoli di
camminare lungo una strada sulla quale non siamo soli. In questa lettura
risiede una delle modalità potenzialmente più efficaci del nostro essere
Chiesa. Non lasciamola sfuggire per pigrizia o vanità.
Andrea Bosio
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