di Lorenzo Banducci
“Pensavo
che piovesse non che grandinasse.” Difficile non ripensare oggi a queste parole
(a me le ha ricordate mio padre) pronunciate da Alcide De Gasperi all’indomani
delle elezioni del 1948 che videro una grossa affermazione della DC la quale
seppe andare oltre ogni più rosea previsione della vigilia.
Il
PD ha avuto un risultato elettorale senza precedenti e il suo leader, nonché
Presidente del Consiglio, Matteo Renzi ha avuto un enorme mandato popolare che
dovrà saper esercitare sui due fronti sui quali da qui ai prossimi mesi si
troverà a “combattere”: quello interno (delle riforme italiane) e quello
esterno (del processo di integrazione europea).
Iniziamo
dall’Europa. Questa sconosciuta o poco conosciuta o mal-conosciuta. Essa viene
percepita, come è stato detto e ribadito, dai cittadini dell’intero continente
come una struttura bloccata e incapace di dare davvero benefici concreti a
tutti i popoli che compongono l’Unione. Le richieste del Sud dell’Europa si
sono fatte sempre più pressanti e le vicende di paesi come la Grecia sono
ancora sotto gli occhi di tutti. Cambiare l’Europa si può e si deve fare nei
prossimi 5 anni cominciando a spostare con forza e con coraggio gli ambiti di
intervento delle politiche europee verso questioni che sono percepite come
fondamentali da tutti i cittadini. Il processo di integrazione europea avrà un
suo importante sviluppo con più Europa e non con meno Europa (quest’ultima opzione è già stata paventata da alcuni leader europei). Più Europa significa
più attenzione ai drammi del nostro tempo (ricordati recentemente alla CEI anche da Papa Francesco) quali la disoccupazione (e in particolare quella
giovanile) e l’immigrazione (da vedere come un’opportunità di arricchimento
sociale e culturale e non come una semplice minaccia alla propria “identità
nazionale”). Più Europa significa anche prendere coscienza che uniti siamo
davvero più forti. Uniti in unico Stato composto da Istituzioni elette
direttamente dai cittadini e più libere e autonome di muoversi dai singoli
governi nazionali, rispetto a quelle attuali: gli Stati Uniti d’Europa. Uno
Stato che sappia muoversi con decisione nei confronti di quelle che sono le
grandi questioni che interessano la scena internazionale. Si pensi al
Mediterraneo e al Medio Oriente in cerca di libertà, si pensi all’Ucraina e ai
rapporti con la Russia direttamente ai nostri confini, si pensi ai legami da
condurre con antichi partner quali gli Stati Uniti e con i paesi emergenti
(Cina, Brasile, India ecc.). Si tratta di questioni che difficilmente ogni
singolo paese europeo potrà affrontare da solo con serietà e senza essere
divorato dai giganti che lo circondano.
Il
tavolo di Matteo Renzi (adesso vero leader della sinistra europea) è stracolmo
di questioni quali quelle da me citate, senza dimenticare le tante
problematiche che anche nel nostro Paese vi sono. Voglio qui ricordare solo il
cammino delle riforme istituzionali intrapreso con vigore nelle prime settimane
di governo e adesso arenatosi nei rami del Parlamento. La discussione sul
Senato, sulla riforma delle legge elettorale, sul sistema istituzionale, ma
anche sui costi della politica appare avere avuto un decisivo stop con l’avvicinarsi
alla tornata elettorale appena passata. Non resta che riprendere il filo del
discorso e agganciarlo ad altre problematiche ancora vive nel nostro Paese e
che il governo ha promesso di affrontare in questa complessa fase politica. Sto
qui pensando a una maggiore attenzione alle problematiche dell’istruzione,
della ricerca e della cultura. Tre pilastri su cui si fonda il futuro del
nostro Paese.
Vorrei
ritornare dopo questa parentesi italiana a parlare delle elezioni europee. Ho
usato in precedenza l’aggettivo “storico” accanto al termine “risultato” per
parlare dell’esito di questo confronto elettorale. Provo ora a spiegarvi dove
vedo la storicità in questo passaggio apparentemente normalissimo:
1- Chi
ha votato il PD alle elezioni europee sa di aver votato una forza politica che
pur di sedersi a fianco delle altre sinistre europee di matrice socialista o
socialdemocratica è riuscita finalmente a far passare l’idea che il concetto di
“sinistra” dovesse essere ampliato ad altre forze politiche riformiste non di
natura esclusivamente socialista. Ecco perché il PSE ha cambiato nome e,
aprendosi a nuove forze politiche non ideologizzate, ha deciso di chiamarsi
S&D (Socialisti e Democratici). A conferma di quanto questo passaggio sia
decisivo e ulteriormente necessario anche nei singoli paesi del Continente
basta vedere i risultati non certo positivi dei Socialisti francesi e spagnoli,
dei Laburisti inglesi e dei Socialdemocratici tedeschi.
2- Con
il risultato ottenuto il PD potrà, tramite Renzi, permettersi di fare la voce
grossa sui temi che interessano l’Italia in Europa. In vista del semestre
italiano di presidenza dell’Unione si tratta sicuramente di un ottimo viatico e di una grande occasione da non sciupare per spostare l’attenzione dell’Unione
sui temi che ho nominato in precedenza (lavoro, immigrazione, istituzioni
europee, politica estera, lotta alla finanza che non pone al centro la
persona).
Non
ci resta che aspettare e sperare che la grandine italiana di domenica si
abbatta sull’Europa.
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