di Lorenzo Banducci
“Sono tutti che mangiano alle nostre
spalle, questi!” E’ cominciato così per me il V Convegno
Ecclesiale della Chiesa Italiana dal titolo “In Gesù Cristo, il Nuovo
Umanesimo” e che ha avuto luogo a Firenze dal 9 al 13 novembre.
Le
parole virgolettate le ho sentite pronunciare da una signora che, rivolta ai
nostri Vescovi, guardava la processione che da una delle quattro basiliche
fiorentine (S. Maria Novella, SS.ma Annunziata, Santa Croce e Santo Spirito)
avrebbe portato gli oltre duemila delegati alla Cattedrale di Santa Maria in
Fiore come apertura del convegno.
Non
voglio qui commentare o rispondere alle parole della signora, ma penso che sia
importante riprenderle per evidenziare il contesto esterno con cui si è
ritrovata la Chiesa Italiana in questa assise celebrata a metà del decennio in
corso.
I
convegni ecclesiali nazionali hanno sempre avuto lo scopo di fare una verifica
del cammino della nostra Chiesa Nazionale a partire dal Concilio Vaticano II,
dagli anni ’70 in avanti.
L’attuale
crisi diffusa dei vari sistemi istituzionali che compongono il nostro tessuto
sociale, civile e religioso non ha ovviamente risparmiato la nostra Chiesa che
si trova anch’essa coinvolta a pieno nella sfiducia che certi scandali e
polemiche non contribuiscono certo ad attenuare.
In
questo contesto non facile, la Chiesa Italiana ha provato a rimettere in
discussione il proprio cammino riponendo al centro primariamente Cristo, il
vero uomo.
Un
aiuto decisivo nella settimana fiorentina è arrivato da Papa Francesco e dal
suo meraviglioso discorso nella Cattedrale di Santa Maria in Fiore. Il Papa ci
ha veramente lasciato una guida importante in vista dei lavori nei giorni
successivi e ci ha aiutato a cambiare in modo radicale il nostro modo di
approcciarci a questo convegno e, più in generale, alla realtà diocesana che
avremo trovato al rientro nelle nostre comunità.
Papa
Francesco ci ha invitato ad essere umili
(L’ossessione di preservare la
propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte
dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non
coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta
di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre), disinteressati (Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore
e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo
Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per
essere uomini secondo il Vangelo di Gesù. Qualsiasi vita si decide sulla
capacità di donarsi. È lì che trascende sé stessa, che arriva ad essere feconda)
e beati (Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e
povertà. Ma anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa
beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del
condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio
quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso
le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute
con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una
grandezza umile).
Importanti
e storici sono stati anche gli altri richiami del Papa nel suo discorso.
Innanzitutto
quello di non ricercare per forza e incessantemente il legame con il potere, anche
se questo fosse utile alla Chiesa. Poi quelli di mettere al centro del proprio
cammino l’attenzione per i poveri e lo stile del dialogo (da non confondere con
il negoziare, ma da intendersi come il fare le cose insieme).
Quanto
detto dal Papa ci ha spronato a lavorare incentrando le nostre attenzioni a
questo stile proposto dal Pontefice. E’ su uno stile diverso: primariamente
sinodale, poi inclusivo, attento agli ultimi e ai fragili, disposto a costruire
partendo da relazioni feconde. E’ a partire da questo che si possono costruire
nuove proposte pastorali anche da parte delle nostre associazioni. Siamo
invitati a far tesoro di quanto prodotto durante i giorni di Firenze, per
cambiare nel nostro piccolo il volto della Chiesa, per ribaltare l’immagine
della Chiesa che mangia alle spalle della gente e trasformala in una Chiesa che
prende sulle spalle le persone per avvicinarle a Dio.
Commenti