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Cominciare e Ricominciare: Lettera pastorale 2018/2019 del vescovo Gero Marino (Savona-Noli)


Avevamo dato già spazio alla lettera dell'anno pastorale 2017/2018 del vescovo Calogero  "Gero" Marino della diocesi di Savona-Noli. Per il 2018/2019 cominciare e ricominciare” sono le parole che ha scelto per la sua seconda lettera pastorale. La ha voluta condividere con le sorelle e con i fratelli nel Signore che «di mese in mese» gli sono «sempre di più diventati cari». Cominciare rimanda alla nascita e all’iniziazione cristiana: «freschezza, meraviglia e anche timore»; ricominciare è bellezza, fatica e riconciliazione: «Ci è data la grazia di un ri-inizio e di una ripartenza».

La novità della vita cristiana nello Spirito
Interrogandosi su chi sia il cristiano, la risposta che evita tradimenti o riduzionismi moralistici, rituali o culturali – «Satana è il grande riduttore», ricorda il vescovo – sta nella novità della vita che Dio ci dona gratis: «Chiunque è nato dallo Spirito» è cristiano, come spiegava Gesù a Nicodemo. Spirito non contrapposto al corpo, bensì ciò che ci fa vivere fraternamente in Cristo. L“uomo inedito” di cui parlava Padre Balducci, nato per grazia dal battesimo, porta a compimento l’uomo vecchio, trasfigurandolo, divinizzandolo, portandolo «dall’immagine alla somiglianza» di Dio. Gero Marino cita le tre nascite di Filosseno di Mabbough, vescovo siriano del V secolo: «dal grembo materno», «dalle acque del Battesimo», e «l’esperienza battesimale interiorizzata attraverso il pieno abbandono della libertà al Bene che precede e chiama». La terza nascita porta alla tenerezza del cuore, un passaggio – mai definitivamente raggiunto – in cui «tutto dipende da Dio e tutto dipende da me: tutto è grazia e tutto è libertà, nell’avventura della trasfigurazione», alla luce dello Spirito che trascende il fiore e lo illumina, facendolo splendere in bellezza.

Non si nasce cristiani, ma lo si diventa in una relazione 
Cristiani allora non si nasce per cultura o per tradizione, ma «si diventa per grazia», partoriti dalla Chiesa madre e generativa. L’anzianità dei fedeli, le incombenze soprattutto amministrative dei presbiteri e le «forme liturgiche e linguistiche poco attente alla sensibilità dell’uomo di oggi, in particolare dei giovani» non ci scoraggino: certamente tutto può essere ripensato a patto di custodire il fuoco, ma soprattutto «sarà la qualità delle relazioni a rendere generative le nostre comunità». Relazioni che traggono fuori le parrocchie dalla loro pretesa autosufficienza, immaginando coraggiosamente e tutti insieme nuove esperienze, in un respiro più grande che sia all’altezza dei tempi nuovi, complessi e bellissimi. A partire dal ripensamento sinodale di «percorsi, modalità e tempi della iniziazione cristiana», che (anziché ripiegarsi sul proprio passato) sia sempre più in grado avviare processi e soprattutto accompagnare, nel senso di «coltivare e custodire»: farsi compagno, dare inizio e far durare, come il contadino. Ad esempio «ciascun catechista dovrebbe “adottare” alcuni ragazzi (non troppi, 4 o 5), e le loro famiglie, e diventare amico della loro vita: propongo di provarci».

La Riconciliazione in una Chiesa inclusiva, ospitale e generativa
Con la parabola del Padre Misericordioso illustrata da Rembrandt, in cui il Padre «si rivela madre nell’atto del perdono». Quell’Amore più grande che ci precede sempre permette alla nostra libertà di ricominciare, come Pietro, che nella sua vita ha avuto il coraggio di un «paziente e spesso doloroso lavoro di rielaborazione e guarigione, che ci chiede di non rimuovere le ombre che ci abitano e di non dimenticare troppo facilmente ferite e fallimenti». Dalla rielaborazione del passato – accolta in «una Chiesa inclusiva e ospitale» verso tutti i “ricomincianti” – «può nascere una visione: che è ciò che ci manca, ma che è indispensabile per costruire il futuro». Offre poi quattro punti sul «cantiere della Riconciliazione». In primis, «perdonare non è condonare» una volta per tutte sostituendo la giustizia con la misericordia, ma inaugura un cammino di cambiamento dei criteri, di strada e di scelte; la giustizia di Dio si rivela così nella misericordia. Il vescovo si impegna a confessare ogni venerdì pomeriggio e suggerisce ai presbiteri di fare altrettanto segnalando la disponibilità degli orari per ascoltare le confessioni. Il secondo punto è che «non esistono “vuoti sacramentali”», perciò sono numerose le occasioni di perdono (per peccati non gravi) nel cammino di conversione tra un sacramento e l’altro, tempo da vivere con creatività: l’atto penitenziale, il Padre nostro, un atto di dolore personalizzato, un’opera di misericordia, il pellegrinaggio al fonte battesimale. Terzo punto è il «colloquio penitenziale», non frettoloso elenco di peccati, ma un incontro che parte dal ringraziare Dio (confessio laudis), per poi riconoscere i peccati e ciò che ostacola sulla via del bene (confessio vitae) e infine credere nella misericordia di Dio (confessio fidei). L’«esame di coscienza», punto “conclusivo”, viene visto a partire dal «confronto con la Parola di Dio»; per la confessione è bello esaminare «la nostra vita nel cono di luce» delle Scritture. Inoltre l’abitudine a farci due domande al tramonto di ogni giornata ci agevola l’esame di coscienza del sacramento della Riconciliazione: «Quanto ho amato oggi? Quanto mi sono lasciato amare?».

Due testi, due preghiere
La lettera pastorale termina con due testi – Nel miracolo della nascita (dal Dottor Živago di Boris Pasternak) e Il coraggio di cambiare (da I promessi sposi di Alessandro Manzoni) – e con due preghiere: Lasciami entrare (di Luigi Verdi, della Fraternità di Romena) e la Preghiera nel tempo della prova (del pallavolista Kirk Kilgour). Ad esse associa il suo sogno per la costruzione di una Chiesa «generativa e inclusiva»; sapendo che «mani affidabili di Dio» è il nostro futuro, «ci si affida, e si cammina insieme, in semplicità … ».

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