di Raffaele Dobellini
Sono attualmente in discussione presso la
Commissione Affari sociali della Camera sedici proposte di legge sul c.d.
testamento biologico o dichiarazione anticipata di trattamento. Tra queste due
espressioni andrebbe preferita la seconda. L’espressione “testamento biologico”, infatti, può essere interpretata come sostegno alla tesi
secondo la quale il bene vita sia «davvero subordinato alla mera volontà
potestativa della persona e che questa sia comunque l’unica legittimata ad
attribuire a tale bene un qualsivoglia valore»[1].
Il rilievo assunto
dalla DAT origina, per un verso, dalla necessità di evitare che sia un giudice
a dedurre la volontà del paziente in stato c.d. vegetativo, ricorrendo ad
improbabili testimonianze di terzi, dall’altro, dalla natura
relazionale-personalistica, che oggi si attribuisce al rapporto tra medico e
paziente, che ha permesso di superare la «primazia del medico sull’alleanza
terapeutica»[2].
La DAT risulta necessaria, però, proprio perché l’autodeterminazione del
paziente si esplica appieno solo nel caso di pazienti capaci di intendere e di
volere, «mentre risulta di difficile applicazione in tutti i casi in cui il
paziente sia in condizione di fragilità e vulnerabilità e abbia difficoltà nel
manifestare chiaramente le proprie volontà»[3].
Se il sanitario non è più il deus ex
machina dell’attività terapeutica, non è, però, neanche un mero ed asettico
esecutore dell’altrui volontà. Permarrà sempre una zona grigia in cui il
sanitario sarà chiamato ad esercitare la propria valutazione. Proprio
l’importanza attribuita all’alleanza terapeutica non può che condurre, infatti,
a negare la piena vincolatività di una DAT che escluda qualsiasi tipo di
terapia, soprattutto se il medico è consapevole che il dichiarante non abbia
adeguatamente tenuto conto del possibile sviluppo della scienza medica o dell’evoluzione
della propria malattia.
Ciò
detto, si possono indicare alcuni requisiti di validità della DAT che il legislatore
dovrebbe tenere in considerazione: 1) dichiarazione di soggetto maggiorenne
capace di intendere e volere ed adeguatamente informato; 2) forma scritta con
data e firma certe; 3) specificità delle situazioni cliniche considerate e dei
tipi di terapia rifiutati; 4) conformità delle dichiarazioni al nostro
ordinamento (nessuna introduzione surrettizia dell’eutanasia); 5) deve valere
il principio di precauzione (in dubio pro
vita), assumono valore quindi le revoche informali e deve persistere
l’attualità della dichiarazione; 6) assenza di miglioramento della situazione
clinica e della terapeutica, nessuno infatti rifiuterebbe i miglioramenti della
scienza; 7) «il divieto per il rappresentante legale del minore o dell’infermo di
mente, di rifiutare le cure del rappresentato, poiché questo ha soltanto il
potere-dovere di agire per la salvaguardia della vita e salute del
rappresentato medesimo […] (non essendo legittimo, ad es., per il nostro
ordinamento il prelievo di rene, consentito dai genitori, dal figlio minore per
trapiantarlo sul fratello gemello, come è avvenuto altrove)»[4].
La DAT, sebbene
rispettosa di detti requisiti, rimane pur sempre uno strumento. Sarà il
legislatore a dover evitare che diventi uno strumento sterile, che contribuisca
ulteriormente a lasciar soli coloro che vivono una fase particolarmente
dolorosa della propria esistenza. L’alleanza terapeutica, infatti, può peccare
di astrazione, oscurando le difficoltà e le fragilità del malato. Al tempo
stesso, tuttavia, il medico deve essere aiutato a porre una particolare
attenzione «alle esigenze del caring, affinché il rifiuto o la
rinuncia del paziente a cure necessarie alla sua sopravvivenza rimanga
un’ipotesi estrema»[5].
Si dovrà inoltre riflettere sul fatto che
l’alleanza terapeutica deve coinvolgere anche i familiari del paziente. «La relazione che lega medico e paziente
è inevitabilmente asimmetrica: la partecipazione dei familiari all’alleanza
terapeutica potrebbe portare un contributo positivo»[6].
Le proposte di legge
presentate attualmente alla Camera presentano molti tratti comuni. Ad avviso di
chi scrive, la legge in materia di DAT dovrebbe esplicitare il rifiuto per il
nostro ordinamento dell’accanimento terapeutico, dell’eutanasia,
dell’assistenza e/o aiuto al suicidio e dell’abbandono terapeutico, oltre che
ribadire l’importanza dell’accesso più facile alla terapia del dolore. Andrebbe
rimesso solo al dichiarante l’eventuale rifiuto dell’alimentazione/idratazione
artificiale. Si dovrebbe, quindi, espressamente escludere la possibilità di
ricostruire la volontà del rifiuto del trattamento sanitario da strumenti che
non siano la DAT. Il fiduciario, eventualmente nominato, non può essere
considerato l’unico depositario della volontà del malato, ma anche i familiari
devono essere consultati, soprattutto nei casi dubbi. Il vero casus belli rimane la totale
vincolatività o meno delle dichiarazione per il sanitario. Da quanto su
affermato deriva chiaramente che la legge in materia di DAT non può che
prevedere la parziale vincolatività della stessa. Il medico curante, il
fiduciario, i familiari dovrebbero infatti poter chiedere ad una Commissione
etica di disattendere quanto previsto dalla DAT nel caso in cui sia possibile
ricorrere ad un innovativo trattamento sanitario o nel caso in cui la
dichiarazione non risulti sufficientemente chiara. Una legge che immagini la
DAT come assolutamente vincolante risulterebbe non conforme al principio di
precauzione e vanificherebbe il senso dell’alleanza terapeutica. In dubio semper pro vita.
La lettura prosegue con gli altri articoli su questo tema, nella rivista Nipoti di Maritain n.2.
NOTELa lettura prosegue con gli altri articoli su questo tema, nella rivista Nipoti di Maritain n.2.
[1] F. D’Agostino, “Postilla al parere
«Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione
paziente-medico» del Comitato Nazionale di bioetica”, 2008.
[2] P. Stanzione – G. Salito, L’indisponibilità del bene della
vita tra autodeterminazione e norma, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010.
[3] L. Nepi,“Recensione di «Doveri
e diritti alla fine della vita» - Edizione Studium” in Iustitia, Anno LXIV n. 2/11.
[4] F. Mantovani,“Relazione al
Convegno dell’Accademia nazionale di Lincei su «Testamento biologico e libertà
di coscienza»” Roma, 12-13 aprile 2012.
[5] Comitato
Nazionale di bioetica, Rifiuto e rinuncia
consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico, 2008.
[6] D.
Farace, “Le
dichiarazioni anticipate di trattamento – Notazioni a margine del disegno
di legge n. 2350”. Link:
http://www.treccani.it/diritto/approfondimenti/diritto_civile/2_Farace_dichiarazioni_anticipate.html
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