di Lorenzo Banducci
Parlare
di Dio in prima serata nel 2014 e farlo non con il classico punto di vista
catechetico ed ecclesiale risulta veramente particolare.
A
Benigni va il grande merito di averci
provato.
Non
voglio entrare nel merito delle questioni sollevate dall’artista toscano, ma
voglio limitarmi a ragionare sul fatto che finalmente qualcuno affronti tematiche tanto complesse. La
televisione – quella scatola nera che trasmette immagini e suoni nelle nostre
case – ha visto bloccarsi il suo tempo per due serate da un paio d’ore
ciascuna. Così le pubblicità natalizie che ci invitano a comprare e a
consumare, i talk show in cui si parla di tutto in modo confuso e mai
disinteressato, i telegiornali che narrano faziosamente le notizie hanno lasciato
spazio alle profonde domande sull’esistenza umana sollevate dallo show di
Benigni e dai dieci comandamenti che Dio ha lasciato all’umanità.
Sicuramente
Benigni non sarà stato sempre preciso, come è normale che sia, da un punto di
vista teologico, ma noi non possiamo che ringraziarlo per questa opportunità
che ha fornito a milioni di persone.
Ci
ha regalato, a partire da quei pochi secondi di silenzio della prima serata,
uno spazio di riflessione lontano dal caos mondano. La possibilità di fermarci
e porci delle domande sulla nostra esistenza, sulla vita che conduciamo su
questa Terra, sulla morte, su Dio, sul senso più profondo della vita, sulla
libertà, sull’amore. Sono le domande che hanno da sempre interrogato l’uomo e
che, è inutile dirlo, hanno lasciato spazio al rumore assordante generato dall’indifferenza
dell’uomo di oggi.
A me
non spaventa chi ha idee diverse dalle mie, chi ha una visione della vita e del
mondo antitetica alla mia. A me terrorizza chi non ha idee su cui costruire la
propria esistenza terrena. Chi pensa di poter sempre bastare a se stesso,
ritenendo l’altro un mero contorno se non un qualcuno da sfruttare per un
proprio tornaconto. Siamo la società degli individui soli, che non si pongono
domande.
I
dieci comandamenti ribaltano a pieno questa visione umana ci impongono di porci
in relazione con Dio e con gli altri, il nostro prossimo. Sono rivoluzionari
adesso così come lo erano 3000 anni fa e lo saranno per sempre nella storia
umana.
Ecco
perché c’è da essere felici se, per una volta, dieci milioni di italiani hanno
potuto assistere a uno spettacolo di siffatta qualità. Ecco perché c’è da
essere ancor più felici al pensiero che credenti e non credenti insieme si
siano interrogati sul senso più profondo delle domande umane e per un po’
abbiano considerato secondario il resto.
Due
serate non cambieranno la storia, ma sono un piccolo segnale della voglia di
risorgere di una civiltà che sembra assopita, stanca e vecchia, ma che sotto
queste ceneri dimostra di avere una brace che arde, un desiderio profondo di
domande e una voglia di riscatto ancora presente.
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