di Rocco Gumina
Nel pomeriggio di sabato
28 febbraio, è stato presentato a Caltanissetta il volume Servire e non servirsi. La prima regola del buon politico (Rubbettino
2015) che raccoglie alcuni articoli e interventi di Luigi Sturzo. L’iniziativa,
organizzata dal Centro Studi “A. Cammarata”, ci permette di riflettere
sull’attualità del messaggio e della testimonianza politica di una delle più
grandi figure del cattolicesimo italiano del XX secolo.
Anzitutto, è bene chiarire
che si può tornare a discutere di Sturzo per almeno tre validi motivi. Il primo
è legato alla ricerca scientifica ovvero alla comprensione sempre più oggettiva
del suo pensiero; il secondo si allaccia alla necessità di ricordare. Infatti,
è molto utile ripassare nella propria mente e nel proprio cuore la vicenda e le
idee di uno dei padri della politica nazionale; il terzo motivo, quello che mi
pare il più profondo e il più significativo, consiste nella prospettiva del
trarre dal pensiero sturziano degli insegnamenti per l’attuale situazione
socio-politica. Per realizzare quest’ultima operazione, occorre in primo luogo contestualizzare
la figura di Sturzo nei vari orizzonti sociali, politici e culturali – che
questi ha vissuto – i quali si discostano profondamente dalle dinamiche del
nostro tempo.
Sturzo è stato fra i
principali interpreti teorici e operativi dell’enciclica sociale Rerum novarum di Leone XIII scritta in
un frangente storico caratterizzato, per i cattolici, sia dal non expedit sia da una fase, in uscita,
di scontro molto duro con la modernità. Successivamente, il sacerdote calatino
fondò il Partito Popolare Italiano in un orizzonte sociale e religioso a
maggioranza cristiano-cattolica nonostante lo sviluppo sempre più marcato del
socialismo, del comunismo, del laicismo e dell’anticlericalismo. Poi ci fu
l’avvento del fascismo con la privazione della libertà. Finita la guerra,
Sturzo tornò dall’esilio in un’Italia contraddistinta da una situazione
socio-politica alla ricerca di un ordine nuovo dopo il crollo del vecchio mondo
liberale che per la sua debolezza aveva prodotto il totalitarismo fascista. In
questi anni di ricostruzione, che diedero vita al boom economico, la società
italiana si avviava a divenire sempre meno cristiana con una presenza dei
credenti che dalla maggioranza della popolazione diveniva minoranza.
Interpretare Sturzo nel
suo contesto ci permette di trarre, dalla sua lezione, alcuni insegnamenti
validi per il nostro tempo. Fra questi, a mio parere, ne emergono su tutti
dieci:
- 1) è impossibile
ipotizzare teoricamente e praticamente la scissione fra morale e politica. Ciò
induce al rifiuto di ogni macchiavellismo nella prassi politica;
- 2) netta formulazione
della laicità e dell’aconfessionalità circa la partecipazione dei cattolici
alla società attraverso aggregazioni partitiche. Dunque distinguere, una volta
per tutte, il piano religioso dell’unità fra i cattolici da quello politico
contraddistinto dalla pluralità di opzioni operative;
- 3) tendere sempre al
primato di Dio nell’azione politica. Infatti, il credente impegnato per la
ricerca del bene comune non può dimenticare che Dio è il fine assoluto della
propria azione. Di conseguenza, la politica raffigura un mezzo naturale per
giungere a tale fine;
- 4) distinzione fra
Chiesa e Stato. Per Sturzo la società umana è caratterizzata dalla diarchia di
poteri rappresentata dalla Chiesa che ricerca il fine spirituale e dallo Stato
il quale tende al bene comune. Pertanto, la Chiesa non potrà occupare lo Stato
con l’integrismo. Viceversa, la comunità politica non dovrà distruggere la
Chiesa con il laicismo. Queste istituzioni, invece, devono concorrere ciascuna
secondo le proprie finalità al miglioramento delle condizioni di vita degli
uomini;
- 5) rifiuto di qualsiasi
forma di totalitarismo esplicito o implicito poiché la politica non è tutto. Ciò
significa tendere a istituzioni politiche che sappiano rispettare e garantire
il giusto equilibrio fra individuo e comunità. Difatti, se si privilegia troppo
l’individuo si giunge ad un liberalismo politico ed economico liberticida; se,
invece, si considera esclusivamente la comunità si tende al totalitarismo
esplicito o implicito;
- 6) la libertà, compresa
come fattore intimo della persona umana, ha una naturale propensione alla
responsabilità sociale. Quindi, si tratta di interpretare la libertà tra
autonomia, intesa come ricerca legittima della piena realizzazione personale, e
responsabilità, contraddistinta dal pieno rispetto e riconoscimento dell’altro;
- 7) netta critica verso
ogni tentativo di concretizzare un partito cattolico. Infatti, la cattolicità
appartiene al piano religioso per il quale tutti gli uomini potenzialmente
possono essere cristiani. Il partito, invece, è una parte del sistema
politico-sociale che si incontra e scontra con altre parti della comunità;
- 8) i cattolici devono
essere sempre più attenti alle dinamiche del mondo sociale, economico e
politico. Ormai nel nostro tempo, non si tratta più di leggere ogni giorno la
bibbia e il giornale, ma – oltre a ciò – occorre impegnarsi nell’amplissima
dimensione della politicità che prevede l’attività per la tutela dell’ambiente,
contro la criminalità organizzata, per la promozione culturale, per la
conoscenza e il mantenimento del patrimonio artistico italiano, per i
lavoratori, per la ricerca del bene comune, per il rinnovamento dei partiti e
dei sindacati ecc.;
- 9) comprendere la
politica come una dimensione del vivere umano che è in continua riforma.
Pertanto, il politico non tenderà alla realizzazione in terra della Gerusalemme
celeste ovvero ad una città perfetta e immutabile, ma dovrà sforzarsi di costruire
una legislazione e delle istituzioni capaci di leggere, di prevenire e di
limitare i problemi sociali;
- 10) l’azione politica
contiene in sé un fine, oltre l’evidente e il temporaneo, che supera ogni
possibile positività dell’iperattivismo del “fare”.
I dieci insegnamenti per
l’oggi della nostra politica che ci vengono dalla lezione sturziana conducono
ad alcune riflessioni su come e dove investire tale positiva e attuale eredità.
Innanzitutto, il pensiero di Sturzo ci invita a rinverdire la nostra democrazia.
Essa non può essere interpretata nella prospettiva utopica, credulona e
implicitamente totalitaria di un certo modo di intendere la partecipazione
democratica. Inoltre, la testimonianza di Sturzo sollecita a prendere in
considerazione la questione dei cattolici chiamati a ritornare in modo decisivo
ad occuparsi e a produrre cultura politica. Difatti, i credenti non possono
limitarsi al semplice orizzonte del “fare” pratico, ma sono interpellati a
fondare quei contenitori in grado di produrre pensiero e formazione per le
future generazioni. Infine, Luigi Sturzo si configura come una sorta di
“memoria pericolosa” per la cattolicità italiana, poiché la sua testimonianza
pone seri interrogativi alle comunità credenti italiane sulla formazione
religiosa e politico-sociale dei cristiani nei decenni passati e nel presente.
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