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Esiste un diritto a uccidersi?

di Niccolò Bonetti

La coscienza cristiana sul tema del testamento biologico deve evitare due atteggiamenti erronei: una sacralizzazione esagerata della vita fisica che esprime un attaccamento peccaminoso alla vita terrena e una visione libertaria che invece ritiene la vita umana liberalmente disponibile dal soggetto in modo illimitato. Fra chi ritiene che bisogna continuare ad idratare e alimentare gli individui in stato vegetativo anche contro la volontà che espressero in vita e chi ritiene il suicidio un diritto assoluto della persona umana è possibile percorrere vie intermedie e più umane.
La vita umana è un dono indisponibile di Dio: non è l’uomo a darsi la vita e neppure dipende totalmente da lui conservarla ed è quindi difficile sostenere che egli possa rivendicare un diritto assoluto a togliersela.
Accettare la sofferenza, il dolore e la morte significa accettare la finitezza umana; ogni soluzione eutanasica rischia di configurarsi come fuga dall’umano.
Tuttavia non esiste neppure il diritto a mantenersi in vita ad ogni costo e ci si può chiedere se davvero certe sofferenze atroci siano veramente necessarie, quasi si debba sacrificare la persona alla continuazione della sua vita terrena. Bisogna adottare un modello teleologico, basato sulla misurazione, caso per caso, delle conseguenze positive o negative delle azioni e condurre una responsabile ponderazione dei valori in gioco, valutando il contesto, le circostanze e le conseguenze degli atti messe in atto nella data situazione.
In tale ottica, esaurita ogni altra possibilità, il suicidio assistito e l’eutanasia attiva possono configurarsi, in situazioni estreme e straordinarie, come possibilità moralmente lecite.
Come scrive Karl Rahner:
«Se uno veramente non riesce più a sopportare la propria vita, cioè se a motivo delle condizioni fisiologiche e psicologiche in cui si trova non è più in grado di disporre in modo realmente libero di se stesso, e in tale situazione egli stesso pone termine alla propria vita, costui va a finire nelle mani del Dio misericordioso. In ogni generazione della mia parentela mi è capitato di assistere a qualche conclusione apparentemente arbitraria della vita. Una volta ho dato sepoltura ecclesiastica a un parente prossimo che era morto così, e trovo che ciò è senz’altro conforme allo spirito della religione e della Chiesa».
Questo è il giudizio di moralisti cattolici come Lisa Sowle Cahill, Xavier Thévenot e Giannino Piana. Tale possibilità inevitabilmente solleva problemi estremamente complessi e può risultare un rimedio peggiore del male, specialmente in campo giuridico. Si pensi solamente agli abissi di mostruosità, barbarie e disumanità che si sono aperti dove l’eutanasia è stata legalizzata, come ad esempio nel caso olandese o belga. La legalizzazione dell’eutanasia si presenta nei fatti una pista molto pericolosa; mi pare decisamente più rispettoso della dignità umana e del precetto “non uccidere” percorrere strade alternative come quello delle cure palliative e della sedazione terminale, fermo restando la difficoltà di fondare una condanna morale assoluta di suicidio ed eutanasia.
La vera risposta alla domanda di eutanasia non è la condanna morale o il divieto penale ma costruire una società che accetti la sofferenza (senza masochismo o pietismo) come un aspetto ineliminabile della vita umana e, come tale, fecondo e ricco di significati spirituali, etici e religiosi e realizzi un’assistenza medica olistica che garantisca al malato terminale che la sua vita restante abbia uno standard di vita accettabile e decente.
Ogni persona umana ha un valore assoluto e nei momenti di fragilità e sofferenza va protetta dalla pressione di una società che ha venduto la sua anima ai demoni satanici del consumismo, dell’efficienza e del profitto. Come ci ricorda il Papa: «Ogni anziano, anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sé il volto di Cristo. Non si possono scartare, come ci propone la “cultura dello scarto”! Non si possono scartare»!

La lettura prosegue con gli altri articoli su questo tema, nella rivista Nipoti di Maritain n.2.

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