Passa ai contenuti principali

Diventare Padri per scegliere tra volontà e bene dei propri cari

di Vincenzo Fatigati
Uno dei punti focali del film Million Dollar Baby è rappresentato dalla scena in cui Frankie, l’allenatore di Maggie, la pugile inchiodata in stato di paralisi permanente su un letto dopo essere stata vigliaccamente colpita nell’ultimo incontro di pugilato, svela il significato del termine “mogusha”: mio sangue, mio tesoro. Il richiamo cristologico è evidente (come segnalava Fabio Ferzetti su Il Messaggero del 17 febbraio 2005) e ci permette di rileggere tutta la narrazione dal suo epilogo: Maggie muore a 33 anni, ed è quindi «fatta della stessa sostanza del padre», legata da un rapporto quasi filiale, benché sia di tipo putativo. Ma la prova più alta e difficile di paternità consiste nell’assecondare la volontà dell’allieva/figlia, somministrando una dose massiccia di adrenalina, in modo da permettere di non soffrire: e morire.
La definizione del ruolo paterno, in questa prospettiva, ha una funzione salvifica e quasi redentrice. Frankie è, da una parte, un padre naturale (un “non-padre”) fallito, non ricevendo risposte alle lettere che scrive alla sua figlia naturale; dall’altra, è un maestro condizionato troppo dal senso paternalistico: per paura paterna non permetterà al suo allievo migliore, “Big Willie”, di combattere per il titolo, indirizzandolo verso un altro manager. Solo quando accetterà di dare una possibilità a Maggie riuscirà a sintetizzare queste due figure di padre/maestro, dove il ruolo di maestro permettere di diventare vero padre. Il prete, a cui “confessava” i propri dubbi, non riesce a rispondere alle domande di Frankie: «Cos’è lo Spirito Santo?», «Cos’è l’Amore filiale?». Anzi, al contrario, mostrando l’elencazione di una dottrina svincolata dall’esperienza, accresce i sensi di colpa: sarà solo la dialettica instaurata dall’incontro con Maggie che permetterà di costruire la dimensione paterna; non certo l’enunciazione di una dottrina in modo didascalico. E l’eutanasia, quindi, risulterà essere il più alto (?!) gesto d’amore del padre (?).
Prima di parlare del Catechismo cattolico, proviamo un attimo a rileggere la dialettica tra responsabilità e autorità genitoriale in maniera radicalmente opposta, offrendo una prospettiva diversa. Emerge insistente un quesito: cosa scegliere tra comandamento e responsabilità di un padre? Nella nostra articolazione della risposta già offriamo una definizione dell’amore, ponendo una nuova questione di Antigone, dove da una parte c’è la legge religiosa e dall’altra quella del padre naturale. Una sorta di Edipo rovesciato: solo uccidendo il padre/celeste/religioso potrebbe ritornare a diventare un vero padre, esercitando l’amore per la figlia. O meglio, cercando di interpretare secondo gli spunti offerti dal racconto del sacrificio di Isacco, arrivando ad un assurdo etico: cosa bisogna scegliere tra la volontà (“assurda”) di Dio/Padre e l’istinto paterno di salvare il proprio figlio? Scelta che, laicamente, è tra legge divina e carità umana.
Cosa succederebbe se un medico, andando contro la volontà di un Testimone di Geova, offrisse cure mediche ad un paziente per salvare la sua vita? Si veda la Sentenza n° 42111/2007 della Sez. III della Cassazione Civile, che nega il risarcimento del danno al paziente, pur evidenziando il discrimine. Quali sono, o possono essere, i limiti del soggetto in merito alla Dichiarazione Anticipata di Trattamento (DAT), il cosiddetto “testamento biologico”?
Il Catechismo è abbastanza chiaro sulla DAT, esplicitando da una parte il rifiuto (CCC 2277) di predisporre forme mascherate di eutanasia per alleviare il dolore, ma anche la possibilità in certi limiti di poter interrompere l’accanimento terapeutico (CCC 2278). Ma questo non sposta di un millimetro la questione di un padre/medico che vede la propria figlia/paziente in stato vegetativo: cos’è la vita? Chi è in stato vegetativo è davvero “vivo”? E se è in coma, lo è ugualmente? Qual è il confine tra interruzione del trattamento terapeutico e omicidio? Quali sono le libertà del soggetto quando, in possesso delle sue piene facoltà mentali, deve decidere della propria fine, in casi eventuali che non riesce neanche a immaginare? Come un padre può interpretare, realizzare allo stesso tempo la volontà e il bene della propria figlia?
Non sono domande che si possono risolvere in poche righe e in maniera categorica, o didascalica, dicevamo prima. In Italia non esiste ancora una regolamentazione completa sul testamento biologico, mentre in altri sistemi giuridici, come in quello tedesco, si arriva a nominare un fiduciario. Tuttavia in Italia esistono norme che tutelano il “consenso informato”; si veda al riguardo l’art. 32 della Costituzione e l’art. 5 della Convenzione di Oviedo adottata dal Consiglio d’Europa nel 1997. Inoltre gli articoli 30 e 32 del Codice di deontologia medica affermano il diritto al consenso informato.
Il Parlamento italiano negli anni scorsi ha discusso un disegno di legge sul testamento biologico (Legge Calabrò) che venne approvato in prima lettura, ma poi non fu più confermato e decadde. In tale ddl Calabrò il rapporto medico-paziente era impostato in una prospettiva quasi “genitoriale” e “paternalistica”, che spostava la questione su un piano pragmatico, valutando le circostanze del momento. Da una parte infatti il DDL escludeva alcuni trattamenti (idratazione e nutrizione artificiali risultavano sempre obbligatorie) e dall’altro si prevedeva che il testamento biologico fosse una sorta di orientamento che può essere disatteso dal medico secondo scienza e coscienza; in Germania esiste invece la figura del tutore che ha le stesse funzioni putative. La proposta, insomma, era quella di affidarsi ad una figura di garante che conosce i nostri bisogni e la nostra volontà cercando di trovare una sintesi tra legalismo volontaristico/religioso e carità (intesa quale bene del proprio caro). Nelle proposte C.3970 e C.3599, rispettivamente del Movimento 5 Stelle e dei deputati civatiani di “Possibile”, si parla nuovamente della figura del fiduciario, anche se la volontà del paziente ha un maggiore peso vincolante e può anche spingersi al rifiuto dell’alimentazione forzata.
A mio avviso, bisogna sia porre dei limiti alla libertà del paziente, sia dall’altro avere la sensibilità di assumersi la responsabilità di scegliere, seguito dalla carità e amore, il bene del paziente, secondo il momento e la circostanza.
Sembra quasi che, in certi contesti, per esercitare l’amore paterno occorra ribaltare il motto evangelico – proprio come nella scena finale di Million Dollar Baby – seguendo il vero comandamento della propria coscienza: sia fatta la volontà del figlio!

La lettura prosegue con gli altri articoli su questo tema, nella rivista Nipoti di Maritain n.2.

Commenti

Post popolari in questo blog

Curzio Nitoglia, un cattivo maestro

di Andrea Virga Questo articolo, come quello su Don Gallo 1 , non avrebbe reale ragione d’essere. Anche qui, le gravi affermazioni dottrinali del sacerdote in questione non meriterebbero più d’uno sberleffo, vista la loro palese incompatibilità con la retta dottrina. E tuttavia, anche qui è il caso di un prete consacrato – e stavolta tuttora vivente – che attira proseliti, specie fra i giovani, grazie alle sue opinioni estremiste ed ereticali, con il risultato di diffondere in lungo e in largo i suoi errori. Per questo, ritengo che sia il caso di dedicare una mezz’oretta a mettere in guardia i meno provveduti, che magari preferiscono internet ad un buon padre spirituale, rispetto a questo personaggio: Don Curzio Nitoglia. Il paragone con Don Gallo, però, non riesca troppo offensivo al defunto sacerdote genovese, che aveva almeno il merito di essere molto attivo in ambito sociale e di non aver mai lasciato la Chiesa (cosa non troppo difficile, visto il permissivismo dei suoi super...

Il noviziato Agesci: tempo e idea tra scoutismo e Chiesa

C’è un momento strano nel cammino scout Agesci ed è quello del noviziato: sì, il nome riprende proprio il linguaggio monastico; sì, l’ispirazione è proprio quella; sì, è un periodo di introduzione e studio.  Si tratta del primo momento nella branca rover e scolte, i più grandi nel nostro scoutismo: dura un anno. Di noviziato in Agesci si parla  –  e si sparla  –  in continuazione, non c’è un tema altrettanto trattato e maltrattato, anche nella prassi.È speciale e irrinunciabile e può essere una fonte di riflessione importante anche al di fuori dell’associazione. Cercherò ora di dare a questa riflessione un taglio ecclesiale, per plasmare un avvio di confronto su temi scoutisticamente ed ecclesialmente poco trattati. Il noviziato è un tempo e come tutti i tempi è prezioso. Lo è il nostro, figuriamoci quello dei ragazzi. Con un po’ di ironia, potremmo dire che l’importanza del tempo l’ha capita anche il Papa: in Evangelii Gaudium Francesco scrive che «i...

Commento al Vangelo 25 novembre 2018 - Cristo Re: Gv 18,33-37

Il quarto vangelo coglie l’occasione del colloquio tra Gesù e Pilato - che nessuno probabilmente udì - per coinvolgerci in un confronto sulla regalità di Cristo. Da un lato, la prospettiva imperiale: il “re dei giudei” crea problemi politici. Ma il pericoloso rivoluzionario è proprio quell’uomo consegnatogli dai giudei? Il governatore Pilato, che giudeo non vuol essere, ne dubita: «Tu, indifeso persino dai tuoi amici, proprio tu saresti il re dei giudei? Cosa avresti fatto? Ci sono davvero delle prove credibili contro di te?». Non ci crede. Gesù, insomma, non gli pare affatto un pretendente al trono. Dall’altro lato, Gesù domanda chi gli ha suggerito che lui sarebbe sovrano. Lo Spirito di Dio o l’Accusatore? Entrambi lo sanno! I Romani che temono una congiura contro Cesare o i sommi sacerdoti che temono il Messia che renderà vano il loro ruolo? I primi stiano tranquilli, gli altri un po’ meno... Gesù dice che il suo regno non è un regno come gli altri che si estendono geogr...