di Lorenzo Banducci
La
vicenda di Erich Priebke, capitano delle SS durante la Seconda Guerra
Mondiale in Italia condannato all’ergastolo per aver contribuito alla
pianificazione e alla realizzazione del terribile eccidio delle Fosse Ardeatine,
oltre a lasciarmi alquanto basito per l’irresponsabile gestione condotta da
parte dello Stato Italiano da un lato e del Vicariato di Roma dall’altro spinge
me ad intraprendere una riflessione sul significato del Rito Cristiano delle Esequie
e su quella tanto discussa norma del Diritto Canonico che ne vieta la
celebrazione in alcune circostanze.
1.
Le
esequie cristiane
“Le esequie cristiane sono una celebrazione liturgica della Chiesa. Il
ministero della Chiesa in questo caso mira ad esprimere la comunione efficace
con il defunto come pure a
rendere partecipe la sua comunità riunita
per le esequie e ad annunciarle la vita eterna”. Con queste parole il
Catechismo della Chiesa Cattolica definisce chiaramente il significato del Rito
Cristiano delle Esequie. Decisivo diventa dunque il ruolo della comunità
cristiana (e fra esse vi è inserita a pieno titolo anche la famiglia) che si
pone in preghiera per il defunto chiedendo al Padre il perdono dei peccati e l’accoglienza
della persona cara in Cielo: “ti raccomandiamo, Signore, il tuo servo (la
tua serva) N., perché, lasciato questo mondo, viva in te; con il tuo amore
infinitamente grande nel perdono, cancella i peccati che, per la fragilità
della carne, ha commesso in questa vita. Per Cristo nostro Signore.”
Stando a questo diventa molto difficile negare, a chiunque e
qualora ne sia fatta richiesta, il diritto di ricevere le esequie
ecclesiastiche, purchè vengano rispettate con chiarezza le regole poste dalla
Chiesa in ordine alla verità e alla dignità della liturgia e di coloro che ne
prendono parte.
2. Il diritto canonico
Inserito
nel suddetto contesto teologico-liturgico si pone il Codice di Diritto Canonico
che dice in maniera esplicita: “Se prima della morte
non diedero alcun segno di pentimento, devono essere privati delle esequie
ecclesiastiche: 1) quelli che sono notoriamente apostati, eretici, scismatici;
2) coloro che scelsero la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie
alla fede cristiana; 3) gli altri peccatori manifesti, ai quali non è possibile
concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli.”
Stando dunque alla decisione
presa dal Vicariato di Roma Priebke sarebbe rientrato nel terzo punto per non aver mai negato l’Olocausto
e non essersi mai pentito della strage delle Fosse Ardeatine. Sarebbe
interessante a mio avviso analizzare le motivazioni per le quali sia stata
introdotta una norma del genere che di fatto non tutela minimamente i diritti
della famiglia del defunto che vorrebbe solo poter pregare per la persona
cara.
3. Da
Welby a Priebke, storie di funerali vietati
La
scelta del Vicariato di Roma è stata a mio avviso motivata dalla presenza di un
precedente in tale tematica. A Piergiorgio Welby, malato da tempo e senza
prospettive di guarigione, si rifiutarono i funerali dopo che fu aiutato a
morire da parte dei medici. Anche in questo caso la famiglia di Welby
(cattolica praticante) aveva fatto richiesta di ricevere un funerale cristiano, ma il
Vicariato di Roma espresse la sua contrarietà in materia e negò il rito delle
esequie al defunto.
Con
un precedente di tale portata e che fece tanto scalpore a livello mediatico
risultava difficile prevedere una scelta diversa nella situazione di Priebke.
4. Riformare
la norma
I
casi dei funerali negati a Welby e Priebke, per quanto differenti fra loro,
potrebbero aprire scenari interessanti nel prevedere la possibilità di una
riforma del diritto canonico in tale materia. E’ difficile infatti coniugare la
norma attuale del codice di diritto canonico, che nega le esequie in certe
circostanze precise, con il significato teologico-liturgico del rito stesso delle
esequie. Sarebbe, a mio avviso, importante valutare con attenzione la richiesta
della famiglia che ha tutto il diritto di rivolgere un’ultima preghiera al
defunto anche se fosse il più spregevole dei peccatori; l’autorità religiosa
dovrebbe esprimersi solo riguardo alle modalità del rito delle esequie e, per
evitare “lo scandalo dei fedeli” e i rischi legati all’ordine pubblico,
prevedere forme rituali alternative (private o regolamentate in maniera chiara
con la famiglia del defunto).
C’è
bisogno di una Chiesa meno rigida di fronte a un fatto, quale quello della
morte, che interroga ancora tutti, credenti e non credenti, e che richiede
profonda umanità e capacità di ascolto e accoglienza. Una migliore gestione dei
casi Welby e Priebke avrebbe evitato che sulla Chiesa Cattolica si gettassero
avvoltoi famelici quali i laicisti da una parte e i lefebvriani dall’altra
pronti a colpire la “barca di Pietro” solo per tutelare propri interessi personali.
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