L’insegnamento della religione nella scuola italiana presenta diverse criticità che è giusto riconoscere per amor del vero, nonostante spesso provengano da ambienti accecati dall’odio anti-cattolico. Prima di tutto, si tratta di una materia esplicitamente confessionale: non a caso, si parla addirittura di “religione cattolica” quasi il cattolicesimo non fosse una confessione cristiana ma una religione a sé stante. Inoltre l’intesa fra Ministero della Pubblica Istruzione e la Conferenza Episcopale Italiana del 1985 stabilisce che «L’Insegnamento della Religione Cattolica è impartito da insegnanti in possesso di idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano (il Vescovo) e da esso non revocata, nominati, d’intesa con l’ordinario diocesano, dalle competenti autorità scolastiche ai sensi della normativa statale»: com’è evidente, questo fatto compromette l’autonomia e la laicità della scuola italiana assoggettando la nomina di alcuni docenti ad un’autorità extrastatale che potrebbe ritirare tale idoneità a suo beneplacito (per quanto in teoria sarebbe possibile il ricorso alla Congregazione per l’Educazione Cattolica).
Bisogna poi considerare che le stesse indicazioni nazionali di un insegnamento che dovrebbe “culturale” (e non religioso) sono predisposte dalla CEI e sottoposte per l’approvazione del Ministero dell’Istruzione in una anomala commistione di ambito ecclesiastico e ambito statale. Inoltre è bizzarro osservare che sia possibile non avvalersi di una disciplina tanto importante per la formazione culturale di uno studente come la religione tanto più che l’analfabetismo religioso in Italia, nonostante l’opera degli IdR, ha raggiunto livelli preoccupanti come mostra ad esempio il “Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia del 2014” a cura di A. Melloni. Quale segno più palese dello statuto incoerente e contraddittorio di questa disciplina?
In aggiunta, esistono persino casi in cui l’IRC diventa una forma larvata di catechesi in cui il docente non si limita a presentare la “religione cattolica” ma fa attiva opera di evangelizzazione nei confronti degli studenti ponendosi come una sorta di longa manus dell’autorità ecclesiastica nella scuola italiana. Tuttavia queste critiche non devono condurre a suggerire la soppressione dell’IRC nelle scuole statali (peraltro impossibile essendo collegato ad una norma concordataria) in quanto un insegnamento di questo genere è presente in gran parte dei paesi europei senza contare che solo un laicismo intollerante (o una visione intimistica della religione) negherebbe storicamente il peso del fenomeno religioso nella cultura e la storia italiana. Come uscire da questa situazione considerate, da una parte, le evidenti criticità dell’IRC e la crescita sempre più consistenti degli alunni non avvalentesi e, dall’altra, la necessità di mantenere e rafforzare un insegnamento di cultura religiosa nella scuola italiana per combattere il dilagare dell’ignoranza religiosa?
A mio parere, l’unica soluzione priva di contraddizioni è sostituire (o, qualora non sia possibile, almeno affiancare) l’insegnamento della religione cattolica con quello della scienza delle religioni che potrebbe essere insegnata da laureati nell’omonima laurea (LM-64) oppure da laureati magistrali in storia, filosofia, antropologia culturale, scienze religiose o teologia purché abbiano conseguito un adeguato numero di CFU su temi storico-religiosi. Infatti la disciplina delle scienze delle religioni ha una sua chiara e solida dimensione scientifica essendo presente in diversi atenei italiani come Roma, Torino e Venezia: essa non richiede necessariamente alcuna pre-comprensione religiosa per essere insegnata rispettando in questo modo la laicità della scuola ma non è nemmeno in sé ostile al fatto religioso essendo per principio avalutativa e anormativa e lasciando la valutazione della veridicità delle rivelazioni religiose alla filosofia e alla teologia. Tale studio del fenomeno religioso dovrebbe essere globale e riguardare ogni sua dimensione senza preclusioni (antropologica, culturale, storica, sociologica, rituale, artistica, intellettuale, ecc.) e potrebbe essere fecondamente fatto dialogare con altre discipline come la storia, la filosofia, l’educazione civica, la letteratura e la storia dell’arte. Ovviamente anche in un insegnamento religioso di questo genere sarebbe corretto assegnare la maggioranza del programma alla fede cristiana visto che, dal punto di vista culturale, è quest’ultima religione (nella sua versione cattolica) ad avere esercitato storicamente in Italia il maggior peso culturale e sociale.
A tali condizioni, essendo cessato il carattere confessionale, sarebbero eliminate alla radice le motivazioni per poter richiedere di non avvalersi di questo insegnamento e, di conseguenza, quest’ultimo dovrebbe essere reso obbligatorio, equiparato in tutto a qualunque altra disciplina e portato a un numero di ore dignitoso.
Niccolò Bonetti
Nato a Lucca nel 1990, dopo la maturità classica ha conseguito la laurea triennale e poi quella magistrale in Filosofia presso l’Università di Pisa, presso la quale ha conseguito anche la laurea magistrale in Storia e Civiltà. È dottorando in Storia delle Società, delle Istituzioni e del Pensiero presso l’Università di Trieste. È impegnato nell’Azione Cattolica, nel centro culturale “P.M. Vermigli” fondato dalla Chiesa valdese di Lucca e nel Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale di cui è vicepresidente diocesano. È stato impegnato nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana, per la quale è stato consigliere centrale. Con Lorenzo Banducci è tra i fondatori di “Nipoti di Maritain”.
L'articolo è stato pubblicato online sulla rivista Nipoti di Maritain n.11 (marzo 2022)
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