È
senz’altro corretto affermare che l’Insegnamento della Religione Cattolica
(IRC) in Italia ha attraversato una stagione di grande rinnovamento grazie all’Accordo
di Revisione del 1984, rinnovamento che ha consentito di traghettare la
disciplina da «fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica» (art. 36 del
Concordato del 1929) a insegnamento inserito «nel quadro delle finalità della
scuola» (art. 9.2 dell’Accordo di Revisione del 1984). Una così profonda
ristrutturazione si era resa necessaria a seguito di due grandi eventi: la
Costituzione repubblicana da parte statale e il Concilio Vaticano II da parte
ecclesiale.
Provando
a collocarci dal punto di vista della figura del docente (IdR), è lecito
domandarsi: tale mutamento epocale ha coinvolto anche l’essenza dell’essere
IdR? Quali prospettive di cambiamento dell’attuale assetto si potrebbero
ipotizzare per il futuro? Non è possibile, in questa sede, approfondire quegli
aspetti comunque fondamentali che hanno innovato la figura dell’IdR, come i
nuovi titoli di qualificazione professionale, come l’introduzione di un
apposito status giuridico con la legge 186/2003. Può, invece, risultare utile
riflettere sul requisito fondamentale degli IdR, l’idoneità diocesana all’IRC,
non soltanto per rilanciare un dibattito troppo spesso reticente ma anche per
saggiare, in ottica riformista, la tenuta dell’equilibrismo dell’insieme di
alcuni principi cardine dell’ordinamento costituzionale, entrati più volte in
attrito tra loro.
Presente
fin dal Concordato del 1929, l’idoneità dell’IdR è una componente che, senza
particolari stravolgimenti, è giunta praticamente indenne all’Accordo di
Revisione. L’art. 5 del Protocollo addizionale la definisce come nucleo dell’IdR,
stabilendo che l’IRC sia impartito da «docenti riconosciuti idonei dall’autorità
ecclesiastica». Dal punto di vista strettamente formale, essa comporta, ai
sensi del can. 804 del Codice di Diritto Canonico, che gli IdR «siano
eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per
abilità pedagogica». Nell’orizzonte più ampio tratteggiato dall’art. 22 della
Nota Pastorale della CEI “Insegnare religione cattolica oggi” (1991), l’idoneità
testimonia «la particolare relazione con la Chiesa, […] e un rapporto
permanente di comunione e fiducia», che non si esaurisce nell’ambito della
qualificazione professionale ma ingloba, sostanzialmente, la vita e la
testimonianza cristiana dell’IdR.
Da
ciò si evince con chiarezza come il riconoscimento dell’idoneità dell’IdR sia
elemento di pura competenza canonica, inserito pienamente nell’Accordo di
Revisione e, per questo, di rango costituzionale, poiché ricadente sotto la
copertura dell’art. 7 della Costituzione: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono,
ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono
regolati dai Patti Lateranensi».
Il
riconoscimento statuale dell’autorità ecclesiastica quale organo supremo e
decisionale per il rilascio e la revoca dell’idoneità esibisce negli episodi
riportati, seppur sommariamente di seguito, a modesto parere del sottoscritto,
la ruggine di un sistema antico di riconoscimento basato su prerogative
esclusive e un apparato giurisprudenziale che avverte la necessità di applicare
alcuni principi costituzionali trovandosi, però, monco.
Il
primo episodio fa riferimento alla sentenza n. 6133 del Consiglio di Stato
(sezione VI), del 16 novembre del 2000. In quell’occasione l’IdR appellante
aveva ritenuto illegittimo e contraddittorio l’operato della Curia la quale gli
aveva revocato l’idoneità per non assegnargli una sede scolastica di servizio,
per poi rilasciargli nuovamente l’idoneità con una nomina su un’altra sede
scolastica. Il giudice italiano non poté fare altro che ribadire che le norme concordatarie
hanno affidato in via esclusiva al giudizio dell’autorità ecclesiastica l’idoneità
all’IRC e che ciò comporta l’impossibilità per la giurisprudenza statale di
censurare l’atto.
Il
secondo caso, che ebbe un notevole clamore mediatico, fa riferimento alla
sentenza n. 2803 della Corte di Cassazione (sezione lavoro) del 24 gennaio
2003, pronunciata sul caso di revoca dell’idoneità disposta dall’ordinario
diocesano nei confronti di un’IdR nubile in stato di gravidanza. Anche in quell’occasione,
il giudice nulla poté eccepire sulla non riconferma della docente, dichiarando
che «il potere di controllo dell’Ordinario diocesano sul permanere dell’idoneità
all’insegnamento [è] logico e necessario corollario del potere di
designazione»; quindi non si esclude affatto la possibilità di non conferma
dell’incarico annuale, senza che ciò possa considerarsi lesivo del principio
costituzionale di uguaglianza.
I
casi sopra esposti ribadiscono, da un lato, la posizione dell’idoneità ex-art.
7 della Costituzione ma, dall’altro, sembrano rilevare il soccombere di
principi di pari grado, come il buon andamento della Pubblica Amministrazione
ex-art. 97 evidenziato nel primo caso, e come il principio di uguaglianza
ex-art. 3 richiamato dalla seconda sentenza. La giurisprudenza non può che
allinearsi all’ineccepibilità dell’attuale assetto il quale, però, forse perché
retaggio di quasi un secolo fa, mostra ancora il volto della Chiesa dell’epoca,
instauratrice di presidi e fautrice di alleanze strategiche con chiunque potesse offrire un appoggio alla forza della
pressione cristiana nei confronti della società e della scuola, confondendo la
Chiesa con il Regno di Dio. Non si negano i frutti di bene dell’operato di
tanti IdR, né si sta tentando di racimolare puerili generalizzazioni
anticlericali sul tema. Ma, si spera, nemmeno di cadere nella tentazione, forse
frutto del clericalismo, di identificare la capacità di insegnare una
disciplina dai contenuti cristiani come esclusivamente causata e derivante da
un’attestazione di idoneità.
È
possibile, allora, provare a ipotizzare scenari futuribili? Gli addetti ai
lavori sanno bene che l’idoneità diocesana è strettamente collegata ai
contenuti confessionali della disciplina: ripensare l’idoneità significa
ripensare la confessionalità, e, viceversa, il venir meno della confessionalità
sottrarrebbe l’essenza dell’idoneità diocesana. Resterebbero in piedi, però, la
necessità dei titoli di qualificazione professionale e l’esigenza di un
continuo aggiornamento formativo. Balza agli occhi che l’elemento
immediatamente caducato sia la testimonianza cristiana. Forse proprio quest’ultima
va, quindi, ripensata. Ripensata, non abolita. Non si tratta di un problema di
certificazione formale ma di sostanza, perché si tratta di approfondire il senso
del rapporto tra comunità ecclesiale e IdR, nell’orizzonte di una dimensione
profetica della testimonianza, ancorata più al Regno che ai trattati
internazionali.
Forse
la strada verso l’idoneità all’insegnamento come consapevolezza di un
cristianesimo adulto, cioè di un cristianesimo che sappia accompagnare nel
cammino senza imporsi, è frutto di una Chiesa profeticamente “in uscita”, la
cui portata educatrice va ben oltre quella della Chiesa istituzionale.
Pasquale Nascenti
Nato a Caserta nel 1975, vive e lavora a Roma come insegnante di religione. Ha conseguito la Licenza in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense, il Diploma al Conservatorio “F. Torrefranca” di Vibo Valentia, la Laurea magistrale in Storia delle religioni all’Università Roma Tre. Attualmente è dottorando di ricerca in studi storico religiosi. Ha pubblicato diversi articoli sull’Insegnamento della Religione Cattolica, mentre la sua ultima monografia è sul musicista Nino Rota. Coordina “Supporto IRC/IDR” un gruppo facebook di più di 3.700 docenti.
L'articolo è stato pubblicato online sulla rivista Nipoti di Maritain n.11 (marzo 2022)
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