Professor Salamone, come vede gli Insegnanti di Religione oggi in Italia?
Li vedo in difficoltà, come tutti i docenti della scuola italiana. In primis, perché l’Insegnante di Religione vive, abita lo stesso ambiente e condivide lo stesso orientamento di vita, intellettuale e lavorativo. Al pari dei suoi colleghi, non può non essere disorientato rispetto a una miriade di proposte culturali ed educative. Quello educativo è un asse fondamentale – o dovrebbe esserlo – nella formazione dell’insegnante: prima di tutto, di per sé, egli deve avere un asse di orientamento che può nascere dalla sua formazione, dagli obiettivi che intende perseguire, dalla sua capacità di relazione con i giovani. Questa dovrebbe sempre essere asimmetrica: l’insegnante è un adulto formato e in formazione continua e che ha di fronte a sé una platea di individui – i suoi studenti – che sono comunque bambini, pre-adolescenti, adolescenti. Quindi dovrebbe avere quella solidità, quell’impalcatura culturale, etica ed educativa che spesso rappresenta – diciamocelo sinceramente – un punto fragile. L’esperienza e gli anni non possono supplire a tale mancanza originaria sulla quale occorrerebbe riflettere.
A partire dalla revisione del Concordato, non pensa
che la questione della confessionalità e quindi della facoltatività dell’IRC –
e con la retrospettiva dell’idoneità diocesana – sia da mettere in discussione
oggi?
È
un nodo sicuramente problematico. La domanda intercetta alcune criticità
effettivamente presenti. Il mio punto di vista, per l’esperienza che mi sono
fatto, è questo: dall’Intesa in poi, c’è stata una superfetazione di norme che
hanno cercato di definire il modo di operare, gli atteggiamenti e i
comportamenti degli IdR connessi, un po’ per mimesi, al CCNL degli Insegnanti;
era utile approfondire questa dimensione e pure opportuno che assumesse una
forma di natura giuridico - contrattuale, anche perché l’IdR va garantito nel
ruolo che occupa nella società civile, ma con un mandato di tipo ecclesiale.
Tuttavia a volte si è inseguita una deriva, come a voler progressivamente
scorporare l’attività dell’IRC da una relazione organica con la Chiesa; si
pensi che a Roma, di circa 1100 IdR che ogni anno vengono proposti, almeno 400
non hanno più un rapporto organico con la Diocesi: molti di essi sono docenti
di ruolo, c’è un buon numero di insegnanti stabilizzati, mentre invece – sarà
un caso? – quelli più freschi di nomina, che hanno avuto modo di avere con
l’Ufficio un rapporto più vicino, anche temporalmente parlando, continuano a
mantenere una relazione. Però c’è una parte che ha affievolito tale rapporto,
quasi a pensare che, una volta assicurato ormai il posto e possedendo i titoli
per insegnare, possano andare avanti per la propria strada. Questo dovrebbe far
interrogare la Chiesa stessa, perché non è determinato dall’opportunismo degli
IdR. Dovremmo chiederci: cosa la Chiesa effettivamente ha fatto per il loro
bene e per mantenere questa relazione? Quali esempi ha dato? Quali condotte ha
intrapreso? Tutto ciò fa parte di uno stato generale di crisi della
incarnazione del tempo storico che noi viviamo come cristiani. È opportuno
interrogarsi su questo, come d’altra parte hanno messo in rilievo il Magistero
di Papa Francesco, alcuni dibattiti all’interno della CEI e tutta la
pubblicistica legata all’argomento nata dalla riflessione di ricercatori e
teologi.
In una società sempre più multietnica e
multiculturale, da più parti si invoca un insegnamento – questa volta
obbligatorio – di storia delle religioni o comunque di competenze
interculturali e interreligiose. In questo senso, quale pensa possa essere non
solo il futuro dell’IRC ma anche il futuro e l’inquadramento degli IdR?
Qui
ci vorrebbero doti di profezia che non ho! Se stiamo alle esigenze che maturano
nel tempo storico andiamo verso una riflessione non feconda, secondo me. Sotto
questo profilo, visto che viviamo in una “terra sismica” come l’Italia, è come
se politicamente e socialmente delle piattaforme terrestri entrassero in
collisione tra loro, scatenando terremoti. Una cosa sono le esigenze che la
società civile avverte, altra le strutture storiche. Ci sono sismi che sono
presenti non soltanto all’interno della società e non soltanto nella relazione
tra IdR specializzati e incaricati dalla Diocesi all’interno della normativa
vigente. Le normative sono legate alla storicità del tempo e come tali possono
anche essere soggette a revisione. Le società cambiano: non possiamo pensare che
solamente la Chiesa cattolica abbia l’appalto e l’esclusiva della Religione.
Anzi, un’idea – non so quanto sana – che ho è che sarebbe opportuno che nelle
Università statali rientrasse a pieno titolo tutta la tematica che riguarda la
ricerca nell’ambito della religione, e non solo quella cristiana, che già in
parte è presente, ma andrebbe potenziata ancor di più. La ricerca non può
essere un monopolio: essa ha come sua condizione fondativa una libertà nel
cercare e in correttezza di atteggiamenti, e trasparenza. Non va ignorata la
parte più intelligente della Chiesa e della Teologia che offre grande apertura
e contenuti per tutti coloro che cercano: accogliere l’esito delle ricerche è utile
per tutti. Mi duole sottolineare come spesso molte case editrici cattoliche
ripropongono cataloghi vecchi, con proposte culturali non particolarmente
fresche. Sarebbe opportuno che anche case editrici laiche aprissero collane al
cui interno figurassero gli esiti più interessanti della ricerca teologica.
Per Rosario Salamone – già giovane filosofo, poi
docente e in seguito Dirigente Scolastico, ma anche Giudice minorile e oggi
Direttore dell’Ufficio scuola della Diocesi di Roma – grazie anche alla conoscenza
del panorama italiano, che sappiamo essere variegato, e tenuto anche conto
della diversità degli indirizzi di studio, qual è la sua personale idea
dell’IRC e quale pensa possa essere il suo futuro?
Sul futuro non rispondo, perché avventurarsi in risposte pionieristiche non sarebbe né possibile né corretto. Sull’idea che invece mi sono fatto direi che c’è una parte interessantissima per vivacità culturale, per competenze varie: spesso gli IdR sono punti di riferimento all’interno delle scuole, ma a volte non hanno la libertà di operare che dovrebbero avere. Basti pensare al limite posto “Buona Scuola” che impedisce loro di essere vicari del Dirigente: tali limitazioni fanno torto all’intelligenza laica, perché sul campo sono delle risorse straordinarie nell’ambito della formazione dei ragazzi. Per esempio, proprio nel momento più nero della pandemia da Covid-19, gli IdR hanno mostrato una grandissima disponibilità di accoglienza nella difficoltà e hanno aperto le braccia a tutti: questa metafora è utilissima in ogni campo per capire la capacità di apertura di una società alle criticità. Sotto questo profilo, la pandemia è stata una lezione magistrale, seppur dolorosissima, che ha dato e sta dando agli uomini. Tornando alle competenze degli IdR, queste vanno ben oltre quelle religiose, perché spesso sanno di letteratura, arte, filosofia, scienze politiche, economia … sono grandissime risorse che andrebbero valorizzate anche attraverso una formazione in servizio capace di sviluppare competenze. Finché restiamo in una campo sostanzialmente di contrapposizioni (confessionale/non confessionale, religioso/non religioso, laico/laicista) questa serie di semafori impedisce la circolazione della cultura e della formazione delle persone, anche quelle affidate agli IdR. Il rapporto degli insegnanti non è solo con le istituzioni, ma si estende per tutti i docenti nel grande tema della formazione e dell’educazione di tutta la società in formazione. Essa è affidata a persone specializzate che offrono contributi diversi e che, come tali, non possono essere mortificati. Per concludere, direi che proprio la formazione in servizio consente di aprire fronti formativi diversi, di far cadere all’interno delle scuole una serie di pregiudizi; basti vedere molti degli IdR in servizio per capirlo. Tuttavia bisogna che cadano anche nella società civile: purtroppo questi steccati spesso sono le ossature rigide, di una visione fortemente giuridica, sindacalizzata, che ha voluto delimitare una serie di condizioni – per garantire anche quello che agli insegnanti spetta, come detto prima – e che però sostanzialmente hanno reso sclerotico il rapporto.
a cura di Rosario Sciarrotta
L'intervista è stata pubblicata online sulla rivista Nipoti di Maritain n.11 (marzo 2022)
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