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Carlo Maria Martini, il Cardinale.


di Lorenzo Banducci

“La crescente capacità della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili. Senz’altro il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona. Il punto delicato è che per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. In particolare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete, anche dal punto di vista giuridico salvo eccezioni ben definite, di valutare se le cure che gli vengono proposte sono effettivamente proporzionate. Del resto, questo non deve equivalere a lasciare il malato in condizione di isolamento nelle sue valutazioni e nelle sue decisioni secondo una concezione del principio di autonomia  che tende erroneamente a considerarla come assoluta. Anzi è responsabilità di tutti accompagnare chi soffre, soprattutto quando il momento della morte si avvicina. […] Dal punto di vista giuridico, rimane aperta l’esigenza di elaborare una normativa che, da una parte, consenta di riconoscere la possibilità del rifiuto (informato) delle cure, in quanto ritenute sproporzionate dal paziente, dall’altra protegga il medico da eventuali accuse (come omicidio del consenziente o aiuto al suicidio), senza che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell’eutanasia. Un’impresa difficile, ma non impossibile.”


 
Con queste parole quasi profetiche, visto l’esito conclusivo della sua permanenza terrena, il Cardinal Martini parlava, nell’ultimo libro scritto insieme al senatore Ignazio Marino dal titolo “Credere e conoscere”, delle “decisioni ultime” che ci fanno rimanere senza parole e riempiono i nostri cuori di un’infinità di domande.

 
Il Cardinal Martini ha saputo, con la sua vita e con il suo esempio, essere una figura sempre capace di mettersi in ascolto e in dialogo con il Mondo e con l’altro. Un profeta che ci mancherà in una Chiesa che necessita, ora più che mai, di fiaccole che illuminino le tenebre ed il proprio cammino. Un uomo di pensiero e di ricerca. Quella Ricerca (scritta con la “r” maiuscola) che per chi, come me, frequenta la FUCI non è un qualcosa di astratto e impercettibile, ma rappresenta uno stile e un modo di essere.


Nato a Torino nel 1927 entrerà nella Compagnia di Gesù nel 1944 all'età di 17 anni. Consegue il dottorato in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana nel 1958, con una tesi dal titolo Il problema storico della Risurrezione negli studi recenti. Prosegue gli studi in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico, dove nel 1962 gli viene assegnata la cattedra di critica testuale e nel 1969 viene nominato rettore. Nel 1978 papa Paolo VI lo nomina invece rettore della Pontificia Università Gregoriana.
Eletto arcivescovo di Milano il 29 dicembre 1979 da papa Giovanni Paolo II.
Nel 1983 è creato cardinale con il titolo di Santa Cecilia da papa Giovanni Paolo II.
Nel 1986 diventa presidente Consiglio delle Conferenze dei Vescovi d'Europa, carica che manterrà fino al 1993.
Nel 1987 avvia nella diocesi l'iniziativa, conclusasi nel 2002, della Cattedra dei non credenti, occasione di incontro e di dialogo tra cristiani e non credenti, rivolta nelle intenzioni di Martini a tutti i "pensanti" senza distinzione di credo.
Nel 1989 riceve la laurea honoris causa dalla Pontificia Università Salesiana per il suo programma pastorale sull'educazione, presentato nella lettera pastorale Educare ancora del 1988.  Nel 2002 riceve una seconda laurea honoris causa, sempre in Scienze dell'Educazione, dall'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Massimo propulsore dell'ecumenismo tra le varie Chiese e confessioni cristiane da parte cattolica, sollecita a Milano la fondazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese Cristiane. Al contempo promuove in maniera coraggiosa rispetto al magistero il dialogo tra Cristianesimo e ebraismo, segnando in materia una svolta non solo a Milano e in Italia, ma in Europa e in Occidente.
 
L'11 luglio 2002 vengono accettate dal papa le dimissioni per sopraggiunti limiti di età, presentate secondo le norme del Codice di diritto canonico al compimento dei 75 anni. Diventato arcivescovo emerito di Milano (gli succede il cardinale Dionigi Tettamanzi), fino alla fine del 2007 vive prevalentemente a Gerusalemme, dove riprende gli studi biblici.
In quanto cardinale elettore, partecipa al conclave del 2005, che elegge papa il cardinale Joseph Ratzinger (papa Benedetto XVI). In tale occasione, viene indicato dai media come uno dei "papabili" sostenuto dall'ala più progressista del collegio cardinalizio.
Rientra in Italia, definitivamente, nel 2008 e si stabilisce presso l'Aloisianum di Gallarate, per poter curare il morbo di Parkinson di cui è affetto, malattia che rapidamente lo costringe al silenzio e all'immobilità.

 
La sua vita e anche la sua morte dovranno, per forza di cose, far riflettere tutta la Chiesa, ma non oggi; oggi non ci resta che pregare in silenzio per questo grande uomo.

(Lorenzo Banducci)

 

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