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Contro la cultura della vita e per la cultura della morte


Di Niccolò Bonetti
Mi ha sempre destato una certa perplessità una certa cultura della vita cattolica per cui la vita è un bene assoluto e indisponibile, da difendere a tutti i costi.
Mi è sempre parso un po' pagano elevare la vita biologica ad un valore cosi' alto e un pericoloso cedimento alla cultura contemporanea, incapace di accettare la realtà indifferibile e ineliminabile della morte.
Non critico l'impegno contro l'aborto né contro l'eutanasia attiva , battaglia che ovviamente condivido, ma mi inquieta la difesa strenua della vita biologica quando quelle spirituale,intellettuale,affettiva e relazione se ne sono andate.
Com'è noto, la Congregazione della Dottrina della Fede in risposta ai vescovi americani stabili' che idratazione e alimentazione non costituiscono, in linea ordinaria, accanimento terapeutico.
Al di là di condividere questa tesi o meno, rimane il fatto che l'accanimento a voler mantenere in vita con ogni mezzo o quasi corpi svuotati di vita intellettuale e morale e senza speranza di riacquisirla, mostra un inquietante ed esagerato attaccamento alla vita biologica che il cristiano non dovrebbe avere.
Quando il corpo è ridotto ad un relitto, ad una tomba nel senso platonico del termine, voler conservare la propria vita a tutti i costi non ha niente di cristiano; anzi dimostra un malsano attaccamento alla vita fisica perché ci si rifiuta di lasciare la prigione della vita fisica per la libertà della morte.
Non si accetta che la natura faccia il suo inevitabile corso e si ricorre all'aiuto della tecnica; posizione paradossale per dei cattolici che ,al contrario, in tema di sessualità hanno posizioni da deep ecology condannando quasi ogni forma di intervento della tecnica in materia.
Senza cadere negli aneliti alla morte di Novalis o nella filosofia come preparazione alla morte di Platone,per il cristiano è ,seppur nella sua tragicità, un dies natalis non da temere con con orrore ma da accogliere con gioia e liberazione.
La morte è il necessario transito per la vita piena e integrale e per l'autentico,piena e perfetta felicità.
Il cristianesimo non ha mai assolutizzato e sacralizzato la vita terrena ,elevandola ad idolo pagano,bensì' l'ha sempre relativizzata e sminuita di fronte alla bellezza sublime e accecante della vita nel mondo che verrà.
Non ha senso che quindi i cattolici si dimostrino i più accaniti difensori della sacralità della vita quando i laici dimostrano molto più coraggio nell'accettare la morte ,coraggio paradossale visto che , nella loro prospettiva ,dopo la morte li aspetta il nulla eterno e non come per i cristiani una vita di beatitudine e comunione con Dio.
Che i cattolici siano cosi' secolarizzati da avere più paura della morte di persone non credenti e quindi esposte alla disperazione eterna?
I cristiani credono sempre nella resurrezione della carne o sono ormai totalmente ripiegati totalmente nell'immanenza e nella temporalità in cui la morte è tabù mostruoso e indicibile e non felice passaggio verso la vita in Dio?
Questa vita ,seppur nella sua stupenda e straziante bellezza, è ombra,apparenza,inganno e peccato.
La vita vera e autentica è quella futura.
E' il non credente che dovrebbe "accanirsi" in tutti i modi a mantenersi in vita anche quando non c'è più speranza perché,conclusa questa esistenza  terrena,ritiene che lo aspetti solo l'annichilimento,non certo il cristiano che sa per fede che il Suo Signore lo risorgerà l'ultimo giorno e quindi va  incontro senza paura verso sorella morte.

“Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! “
Col 3,1-3


(Niccolò Bonetti)

Commenti

Nicola Claudio ha detto…
Verissimo...per fortuna non ero in Italia durante il caso Englaro ma c'ero durante il caso welby , che ricordo bene.
.rifiutargli il funerale e' stato uno degli atti piu' sinceramente anti-cristiani che abbia mai visto...se gia' l'uso del termine 'valori non negoziabili' e' diventato una specie di formuletta usata dai 'duri e puri' per giustificare certe posizioni che potrebbero e dovrebbero essere riviste (vedi gli anticoncezionali) ancora piu' allucinante e' l'atteggiamento di chiusura , ostinazione e assoluta mancanza di pieta' di simili prese di posizioni sul fine vita. in cui davvero si ha la percezione di un 'atto di forza' politico che di cristiano ha poco o nulla ( e che viene anzi fatto passare come l'unica presa di posizione possibile per un credente).

Che tu sappia ci sono altri teologi cattolici che hanno criticato gli insegnamenti della Chiesa a riguardo oltre a Kung ?

Nel dubbio, complimenti, bell'articolo!
marzio ha detto…
Mi occupo di etica e di bioetica da tanti anni per cui ho deciso di intervenire a partire dalle sollecitazioni dell'articolo di Nicolò del 18 agosto.
Mi ha sempre colpito chi, nella chiesa cattolica, resta perplesso di fronte al costante insegnamento sulla difesa ad oltranza della vita umana innocente considerandola da sempre un valore “non negoziabile” di fronte al quale occorre non anteporre nessuna altra forma di interesse. In breve la chiesa cattolica ha sempre insegnato che non si può in nessun modo e per nessuna ragione “attentare” alla vita umana innocente senza macchiarsi di una colpa grave dal momento che una tale azione viene considerata tra quelle intrinsecamente illecite e quindi da considerarsi come “male” in ogni circostanza.
Per quale motivo infatti un cattolico dovrebbe avere perplessità su una tale posizione? Come pensare che il rispetto per la vita biologica dell'uomo sia da “pagani” o un “pericoloso cedimento alla cultura contemporanea”? Forse che anche i “pagani” e la cultura contemporanea sono da considerare dei propugnatori delle azioni intrinsecamente cattive e dei valori non negoziabili?
Certamente se la “vita spirituale” se ne è “andata” sarebbe assurdo difendere la vita biologica umana come il primo dei valori da difendere ma queste condizioni (scomparsa della vita spirituale) si verificano solo ed esclusivamente nel caso di “morte” accertata e non in caso contrario.
A me non sembra che il problema del cristiano, così come quello dell'uomo di “buona volontà”, debba essere quello di attaccarsi alla vita biologica sopra ogni cosa, come giustamente rileva Niccolò, ma piuttosto che debba essere quello di difendere e promuovere la vita dell'uomo del quale, la vita biologica, è l'elemento basilare. Difendere la vita biologica di un essere umano innocente e vivo è l'operazione etica fondamentale che la dignità dell'essere umano ci invita ad avere nei sui confronti.
Non comprendo neppure come Niccolò possa criticare la posizione dei cattolici che non accettano che la natura fisica faccia il suo decorso e ricorrano ad invocare l'aiuto della tecnica! I cattolici infatti da sempre hanno cercato di curare la vita biologica pensando di curare la vita umana e non un'altra cosa (prigione dell'anima o altro...) e quindi con l'aiuto della tecnica hanno cercato di dare il loro contributo allo sviluppo delle scienze mediche e a tutti quegli aiuti che potessero impedire, non il decorso naturale della vita, ma il decorso di malattie e di complicazioni varie che mettessero in discussione proprio la stessa vita.
I cattolici non hanno meno coraggio dei “laici” nell'accettare la morte ma semplicemente amano chiamare le cose con il loro nome e là dove, per un' ipocrita pietà verso un certo tipo di vita, si invoca, cercando di causarla, la morte, affermano che si tratta di suicidio o di omicidio se si collabora attivamente a portare avanti un simile progetto.
E' la visione nichilista della vita, così tanto diffusa oggi anche nel mondo giovanile, che, al contrario di quanto sembra sostenere Niccolò, “pretende” o tende a pretendere che si abbia il diritto di decidere quando la nostra vita (se non quella altrui...) merita o non merita di essere vissuta.
Una visione come quella cristiana che vede nella vita umana innocente un “dono” sempre da accogliere e da promuovere (ovviamente anche grazie all'aiuto della tecnica) esige, anche quando essa costa fatica perché si trova in estreme condizioni di debolezza e di fragilità, il coraggio della sua difesa ad oltranza, nel rispetto di tutti gli altri valori che entrano in gioco, e non ammette scappatoie nelle quali si potrebbe rifugiare, non un uomo coraggioso, ma un uomo provato e debole che non sa più cogliere il valore di qualcosa che non dipende da lui ma da Qualcuno che conosce la vita delle sue creature sia prima che durante che dopo una morte biologica che a noi per nessuna ragione ci è dato di volere e tanto meno di perseguire.
E gli altri spunti? Alla prossima.

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