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Il miglior frutto di questa crisi: l'illusione dell'autonomia


di Emanuele Macca

Siamo travolti da un'ondata di crisi economica che ha il suo epicentro in quella del sistema finanziario. Essa come un'onda tellurica si è espansa gradualmente ma senza sosta fin nelle nostre case e in particolare nelle quarte settimane delle famiglie del ceto medio.
Coloro che mai avrebbero immaginato di dover chiedere aiuto e sostegno ai Centri d'Ascolto delle Caritas e ai Servizi Sociali del Comune di residenza, coloro che compiono gesti di violenza contro se stessi o coinvolgendo terzi sono il segnale tangibile di una crisi sociale che è anche una crisi umana e della persona in quanto tale.


Questo periodo della nostra storia, a mio avviso, sta mettendo in luce soprattutto il lato fragile del progresso che abbiamo costruito. Un progresso fondato sì sul sistema finanziario (cioé su ricchezze molto volatili) e pure sul lavoro (che dovrebbe nobilitare l'uomo); ma un progresso che ci ha anche trasformato in persone che per scelta o per necessità hanno smesso di lavorare per vivere ed hanno incominciato a vivere per lavorare.

Ci si è illusi che col lavoro si poteva acquistare non solo l'indipendenza ma anche l' “autonomia”. Tra i due concetti c'è una bella differenza perchè se l'indipendenza è quell'aspirazione a poter fare le cose che in coscienza si ritengono importanti ed utili senza dover sempre chiedere il permesso a “papà e mammà”, l'autonomia è qualcosa di più forte anche ideologicamente. Essa è “la condizione di chi detta legge a se stesso, fa da sé le proprie leggi, è libero e indipendente, si governa con regole proprie. Perché l’autonomia sia possibile e si realizzi ci sarà bisogno di un alto grado di autosufficienza, di autarchia: a u t à rc h e i a in greco voleva dire bastare a se stessi. Solo chi basta a se stesso riuscirà a crearsi le proprie regole di vita e di comportamento.” (1)

Possiamo noi illuderci davvero di arrivare a bastare a noi stessi? Non lo dico solo in un'ottica di non ricerca del legame con Dio, ma proprio in un'ottica socialogica orizzontale.
“Grazie al lavoro e se guadagno sempre di più dovrò chiedere sempre meno favori ai parenti o ai vicini di casa.” (Ma – aggiungo – dovrò sempre più inchinarmi ad ogni volontà ed abuso del datore di lavoro per non rischiare di restare senza.)  “Lavorando e mettendo da parte i soldi, posso garantirmi una vecchiaia senza dover pesare su altri.” “Siccome le persone sono intrinsecamente cattive, degli altri è meglio non fidarsi e quindi devo darmi da fare io per conquistare a furia di sgomitate la mia vita”.
Ci sono indubbi dati di realtà in queste osservazioni ma ci sono anche anche tanto fatalismo e credo alcuni errori concettuali che si danno per scontati.

Con grande lucidità ha scritto su “Aggiornamenti sociali” il gesuita Stefano Bittasi : “Nessuno potrebbe sopravvivere a questo mondo senza avere fiducia. Nessuno di noi possiede la quantità necessaria di informazioni o di competenze necessarie per poter fare le proprie scelte e avere la completa garanzia di portare a compimento con successo i propri progetti senza il concorso dell'azione altrui. Anche se non ce ne rendiamo conto pienamente, la fiducia negli altri, nella realtà attorno a noi, precede persino la nostra intenzionalità di averne o il ritenere che qualcuno ne sia degno.” (2)
Per fare un esempio banale quando andiamo dal panettiere a comprare del pane ci fidiamo del fatto che egli non l'abbia avvelenato!
A un livello più strutturale, se alcune generazioni hanno avuto la garanzia di una pensione e del  diritto alla malattia retribuita è perchè lo Stato ci ha garantito un sistema sociale costruito dalle nostre tasse, dalle tasse a cui ha contribuito il nostro vicino! In sostanza lo Stato funge da collettore, da intermediario tra noi, i nostri vicini e i nostri connazionali. Esso non ha eliminato però il rapporto tra noi come individui, avrebbe dovuto solo migliorarlo a livello organizzativo. Laddove non c'era lo Stato si sono inserite le assicurazioni private che con minori obblighi e più arbitrarietà svolgono la stessa funzione.
 
Purtroppo questo sistema ha ingenerato un grande fraintedimento : ci ha dato l'illusione di essere diventati autonomi perchè lavoriamo e abbiamo iniziato a lavorare non solo per vivere ma per mantenere la nostro autonomia. “Possiamo tranquillamente guardare con indifferenza e anche con astio il nostro vicino perchè tanto non avremo mai bisogno di lui!”

In questa società di scatolette che non comunicano tra di loro scopriamo poi che quando il sistema dimostra di non essere infallibile in realtà non siamo altro che monadi solitarie che sentono cadere su se stesse il peso di una vita che non ha dato i frutti sperati.

Per esperienza ho notato che laddove ci sono comunità che mettono al primo posto la relazione tra persone e non l'autonomia si respira un'aria diversa : si vive!


(1)  http://www.minimumfax.com/upload/files/filigrana/assaggio_35_berardinelli.pdf
(2)http://www.aclitrentine.it/acli/images/aste/vita_cristiana/Fiducia%20(maggio%202010).pdf

Commenti

Renato ha detto…
Nessun uomo è un'isola... « Quello che faccio viene dunque fatto per gli altri, con loro e da loro: quello che essi fanno è fatto in me, da me e per me. Ma ad ognuno di noi rimane la responsabilità della parte che egli ha nella vita dell’intero corpo » (Thomas Merton)

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