di
Manuel Versari
L’esistenza dell’uomo è oggi rappresentata da una sempre più fitta
rete di relazioni. L’ampiezza e l’intensità di tali relazioni hanno
oltrepassato, oggi, i confini di ogni nazione, mentre l’accelerazione e la
facilità di questi rapporti richiedono di adeguarsi a contesti sempre più
differenti. Da una parte, dunque, un ampio spazio per ciascuno, con sempre
minori barriere e sempre maggiori stimoli; dall’altra, il bisogno di legami
affettivi, gli unici in grado di fornire certezze e sicurezza. Insomma, un
panorama che si fa avventuroso al punto di perdersi.
Ho
cercato, basandomi su un’alchimia tra Scienze Educative e un mio personale
pensiero, di analizzare l’importanza dei singoli ruoli in una relazione
famigliare, perché esprimano al meglio le loro personali capacità dentro un
piano che è quello dell’insieme. Tutto ciò senza la presunzione di insegnare
niente a nessuno, ma esclusivamente con l’intento di una riflessione su cui poi
ognuno farà il suo ragionamento.
Vorrei
partire, dunque, dalla figura del PADRE.
Credo
sia utile, però, tenere distinti i due termini, genitore e padre. Il genitore è
colui che genera un figlio e oggi sappiamo che questo scopo lo si raggiunge con
un atto d’amore, ma anche con gesti che ledono l’amore e in troppi casi la
donna. Chi genera, concorre volente o nolente a far nascere la storia di una
vita.
Generare
è questione di una “ginnastica d’organi” che poi finisce. In questo
caso un genitore maschile non è padre, non lo è ancora. La paternità è
un’acquisizione continua, una questione che si esprime nelle relazioni con chi
è stato generato. E si può diventare padre persino di un figlio che non si è
generato. Il padre, chiunque converrebbe, deve essere essenzialmente presente.
Eppure le statistiche affermano che, in media un papà trascorre meno di cinque
minuti al giorno in modo autenticamente educativo con i propri figli. Non è
solamente questione di tempo dunque, ma di effettiva comunicazione. Esserci,
discorrere con i figli del lavoro e dei problemi, invece di limitarsi a
conversazioni formali, imparando a notare tutti quei piccoli e grandi segnali
che i ragazzi inviano continuamente. Un padre è un modello, che lo voglia o no.
In primo luogo per valori come l’onestà, la lealtà e la benevolenza. Nella
società, la nostra, esistono realtà senza un padre, con un padre assente, con
un padre dedito solo al denaro. Esistono anche padri che seppelliscono i figli
di oggetti, riempiendo la loro bocca di slogan perché non possano gridare che
hanno bisogno di avere un contatto vero ed autentico invece che un palliativo
simbolico. Vogliono un padre, magari rotto e non un motorino nuovo. Un padre
per vivere e per crescere, un padre per diventare padre. Fare il papà significa
prima di tutto essere un uomo che vuole aiutare un altro a diventare uomo.
Tutti in famiglia si aspettano protezione da questa
figura. Un papà protegge anche imponendo delle regole e dei limiti di spazio e
di tempo, dicendo ogni tanto "no". Un padre incoraggia e dà forza. Il
papà dimostra il suo amore con la stima, il rispetto, l'ascolto, l'attenzione.
Di qui nasce nei figli quell'atteggiamento vitale che è la fiducia in se
stessi. Un papà insegna a comportarsi costruttivamente, a contare sulle proprie
forze ma nello stesso tempo a superare la vergogna di chiedere sostegno quando
si sperimenta di non farcela da soli; a vivere con coraggio, a saper godere
delle cose senza essere schiavi delle cose; a dedicare tempo
a se stessi, per entrare in contatto con l'anima, il mondo, e per chi è
credente soprattutto con Dio.
Nel
passato il padre era il portatore dei "valori", e per trasmettere i
valori ai figli bastava imporli.
Oggi
bisogna dimostrarli. Spesso, però, la vita moderna ci impedisce di farlo. Come
si fa a dimostrare qualcosa ai figli, quando non si ha neppure il tempo di
parlare con loro, di stare insieme tranquillamente, di scambiare idee,
progetti, opinioni, di palesare speranze, gioie o delusioni? Non
esistono e non possono esistere formule perfette. Il compito del padre, del
singolo padre, non può che essere messo a punto da quel padre in relazione a
quel figlio dentro quella precisa famiglia. Una concretezza che rende ridicola
ogni formulazione manualistica. Credo di aver invece tratteggiato la figura del
padre entro quei limiti che mai andrebbero oltrepassati e di aver descritto
alcune indicazioni che le Scienze Educative danno, in modo che ogni padre si
possa riconoscere nel desiderio di costruire con amore le risposte ai propri
bisogni e a quelli del figlio. La paternità rappresenta forse la più grande
conquista per un uomo. E non c’è mai un limite per essere totalmente
soddisfatti. I miei studi e la mia attenzione per il mondo giovanile e per i
comportamenti umani in generale non potevano che servire a raccontare, con
passione, il fulcro delle difficoltà di molti padri che non esistono e sovente
stazionano sotto lo stesso tetto con un figlio “rotto”. Bisogna dire, però, per
essere giusti e anche positivi che esistono anche moltissime storie di genitori
e figli che non fanno notizia, di padri che svolgono questo compito in maniera
felice, con i figli che sono a loro legati anche quando si allontanano per fare
nuove esperienze, poiché la paternità non è un circuito da cui non si può
uscire, ma una guida. E allora il padre può andare in luoghi dove non è nemmeno
mai stato e fare esperienze mai fatte attraverso il figlio, e realizzare che la
paternità si concretizza appieno nei figli dei figli.
“Non
arrogatevi il diritto di prendere decisioni al posto dei vostri figli, ma
aiutateli a capire i loro bisogni, e non si spaventino se ciò che amano
richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è più insopportabile una vita
vissuta per niente.” (S. Ambrogio, IV sec.)
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