di Lorenzo Banducci
Sono
convinto che le immagini diffuse nei giorni scorsi dell’ultimo concerto
dell’orchestra nazionale greca, chiusa per mancanza di fondi, abbiano colpito
l’immaginario collettivo di molti.
E’
vero sono state sicuramente molte le aziende chiuse in questo periodo di crisi
economica e molte anche le storie commoventi di persone che hanno perso tutto e
si sono ritrovate con soltanto la solitudine e la disperazione. Molte le storie
di suicidi, di dolore, di morte che fanno da contorno ai nostri anni e che
rimarcano il segno della fragilità del genere umano che al cospetto di una
crisi tanto profonda continua spesso a rifugiarsi nell’avidità e nella difesa
di piccoli privilegi.
Come
mai allora sono rimasto tanto frastornato dalla notizia della chiusura di
un’orchestra nazionale?
La
Grecia è indiscutibilmente la culla della nostra civiltà e di buona parte della
nostra cultura.
Incredibile, se ripenso ai miei studi classici, il ruolo che
aveva una forma di arte, quale ad esempio il teatro, nella Grecia Antica. I Greci
consideravano il teatro non come una semplice occasione di
divertimento e di evasione dalla quotidianità, ma piuttosto come un luogo dove
la polis si riuniva per celebrare le antiche
storie del mito, patrimonio comune della
cittadinanza, che lo spettatore greco conosceva, insieme a tutte le informazioni
specifiche sullo spettacolo. Ciò che non poteva sapere era come le vicende del
mito, codificate dalla tradizione, sarebbero state nuovamente interpretate e
declinate dal drammaturgo. Lo spettatore greco si recava a teatro per imparare
precetti religiosi, per riflettere sul mistero dell'esistenza, per rafforzare
il senso della comunità civica.
L'evento
teatrale aveva dunque la valenza di un'attività morale e religiosa,
assimilabile ad un vero e proprio rito.
Il
teatro era per i greci uno spettacolo di massa, molto sentito e vissuto da
parte dei cittadini di ogni classe sociale e condizione economica: esso era
infatti un rituale di grande rilevanza religiosa e sociale, considerato uno
strumento di educazione nell'interesse della comunità, tant'è che da Pericle in poi è la tesoreria
dello stato a rimborsare il prezzo del biglietto (circa due oboli al giorno).
Sta
in questo ultimo punto la differenza chiave fra i nostri tempi e la Grecia
Antica. La differenza fra Pericle e Samaras, fra Atene e l’Unione Europea. Gli antichi si permettevano il “lusso” di
investire sulla cultura, noi non possiamo più nemmeno sognarlo. "Di cultura non si campa" ci siamo sentiti ripetere un'infinità di volte.
Fare retorica
su questi temi sarebbe facile e piuttosto scontato. Spero solo che la cultura
non venga ancora a lungo dimenticata dai nostri governanti. Le lacrime di quei
musicisti, per me violinista amatoriale, sono un ricordo che sicuramente
porterò nel cuore come quello di una ferita che la storia impiegherà molto
tempo per rimarginare.
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