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Scontro fra diritti?

di Rocco Gumina

Il recente svolgimento a Palermo del Pride (per gli organizzatori) o del gay Pride (per i denigratori), ha riaperto anche in Italia il dibattito su di un tema molto discusso il quale riesce a dividere intimamente le sensibilità del nostro popolo e che non arriva veramente a concludersi tramite una proposta pacificatrice che sia in grado di rifarsi alla realtà delle cose. Di certo siamo dinanzi ad uno dei temi caldi dell’attualità politica italiana degli ultimi anni (tutti ricorderanno la discussione sui Pacs o sui Dico) che investe emotività, profili culturali, posizioni politiche ed etiche molto diverse fra loro.

Un corpo politico che vuole discutere seriamente su di un tema così lacerante per la propria esistenza è chiamato certamente a mettere da parte spinte sentimentali e prese di posizione a priori, per discutere insieme nella prospettiva della ricerca di una risoluzione anche temporanea della questione alla luce di alcuni necessari presupposti che chiamerei logico - naturali.
Proprio la recente manifestazione palermitana sembra aver riproposto la tematica nell’ottica dello scontro fra diritti. Infatti, da un lato si cerca di difendere quelli della famiglia naturale, dall’altra si tenta di estenderli e darli una volta per tutte come acquisiti senza un minimo di riflessione critica su quello che questo possa comportare. Cosi i primi si ritengono dignitari di diritti da tutelare, i secondi invece discriminati e, animati da un atteggiamento combattivo, operano in vista dell’ottenimento di quello che ritengono spetti loro in un regime di post-modernità e, a parer di questi, di post-cristianità.
A me sembra che non si tratti proprio di uno scontro fra diritti. L’uomo nasce come tale. La legge riconosce quello che egli è per sua natura. Nel corso dei secoli le comunità umane e politiche hanno affermato sempre più ampliamente quello che l’uomo è sin dai primordi della sua storia. Egli preso nella sua realtà naturale, la quale è stata riconosciuta via via nel corso dei secoli dalle legislazioni, deve essere tutelato poiché portatore di diritti in quanto uomo. Si pensi al testo della Costituzione italiana nei primi 12 articoli fondamentali dove possiamo veder esposto il diritto alla piena realizzazione della persona tramite il lavoro, lo studio, la sanità, la libertà, la cultura ecc. Fra essi non appare il diritto alla paternità e alla maternità. Non perché i padri costituenti lo abbiamo dimenticato, ma poiché questo più che essere un diritto è una possibilità che l’uomo e la donna sono chiamati a realizzare nella prospettiva biologica, come in quella educativo – spirituale largamente intesa.
Proprio tale precisazione ci invita a puntellare altre questioni della tematica presa in oggetto. Infatti, se la paternità non è un diritto, ma una possibilità, essa va compiuta alla luce di talune situazioni e non in ogni scenario possibile. La condizione originaria e originante della paternità, come della maternità, è l’unione stabile fra l’uomo e la donna che chiamiamo famiglia. È evidente che esistano altri percorsi possibili per l’esercizio della paternità (si pensi alle adozioni, alle comunità per minori, all’impegno che ogni uomo e ogni donna possono compiere per la crescita di persone bisognose e sfortunate in diversissime situazioni), ma la forma ordinaria è quella che risiede nella famiglia. Pertanto, essa ha in sé per propria natura una caratteristica che la fa essere originale e non imitabile da parte di altre forme di unione umana (nonostante quello che possano pensare e stabilire il Parlamento francese e la Corte suprema americana). Tale sfondo teorico, nel caso di un riconoscimento legislativo delle unioni fra persone dello stesso sesso come già avvenuto in alcuni Stati, sul versante del diritto deve necessariamente porre su piani diversi l’unione fra l’uomo e la donna che chiamiamo famiglia la quale viene sancita dal matrimonio civile e/o religioso, e l’eventuale unione fra persone dello stesso sesso.
In uno scenario come quello della comunità sociale e politica italiana la diversità di voci, di impressioni, di indirizzi e di opinioni appare più che comprensibile. Non lo è altrettanto il clima di scontro a base emotiva e non logico – razionale che spesso alimenta il dibattito su questi temi. Ad esempio dovrebbe essere dato per scontato il fatto che quando si affrontano tali questioni non è mai in dubbio il rispetto per la persona e pertanto va esclusa ogni forma di discriminazione. Ma il non discriminare non comporta automaticamente mettere sullo stesso piano unioni affettive stabili di tipo eterosessuale ed omossessuale le quali non possono avere le medesime caratteristiche e finalità, perché sono “realtà” e dimensioni dell’umano differenti.
Un altro dato certo sul tema è il comportamento pessimo da parte dei diversi rappresentanti istituzionali e partitici della politica locale e nazionale. Si passa, infatti, da affermazioni che preannunciano il giudizio imminente di Dio (vedasi qualche esponente del consiglio comunale di Palermo), a iniziative parlamentari volte a chiarire la partecipazione di un ministro all’evento del Pride palermitano (il nisseno Alessandro Pagano). Al politico rappresentante dei cittadini è richiesto non un atteggiamento di continua campagna elettorale da perpetuare con la strumentalizzazione di tesi conservative o progressiste, ma la capacità di mediazione e proposizione fra più istanze nel tentativo di rimanere ancorati all’uomo in quanto tale e non all’idea di esso che ci siamo fatti cammin facendo. Infatti, i diritti risiedono nell’essere umano e non nelle proposizioni fra le più varie che di questo ci facciamo. Per tale motivo non è ipotizzabile parlare sul tema in questione di “scontro fra diritti”, ma sarebbe opportuno riflettere su di uno “scontro fra comprensioni fondate e alternativamente fondate dell’umano”. Il Presidente USA Obama dopo la sentenza della Corte suprema americana che eguaglia le unioni eterosessuali ed omosessuali  ha affermato che si è compiuto un passo avanti verso l’uguaglianza. Ciò non è vero per il fatto che l’uguaglianza prevede il rispetto e l’accettazione della cosa o della realtà così come appare e si dice, e non come la s’intende orientare alla luce di convincimenti che possono essere relativi al tempo, alla cultura, ad una maggioranza politica.


Commenti

Anonimo ha detto…
Sono d'accordo con questo articolo, scritto in modo pacato ma diretto e preciso.

L'omosessuale che pretende il "matrimonio" di fatto rinnega la propria omosessualità, chiudendo gli occhi all'oggettività della propria situazione.

Lasciando stare Bibbie, San Paoli vari e Papi, valutando dal punto di vista puramente logico
chi può affermare che un insieme uomo-donna sia uguale ad un insieme omosessuale?
La scienza, la medicina, la fisiologia, la psicologia, la psichiatria, la filosofia e sopratutto il buon senso dicono il contrario.

Verifichiamo la possibilità per le persone omosessuali di accedere a tutto ciò, che serve dal punto sociale e burocratico, rifiutiamo ogni tipo di violenza ma il matrimonio è uomo-donna aperto alla prole.

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