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La formazione dei pastori e dei laici

di Pierino Boselli

Il tema della formazione liturgica di pastori e laici appare indispensabile alla luce dell'icona additata da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte.


Al n. 16 egli ricorda che non basta parlare di Cristo ai credenti d'oggi , ma bisogna farlo loro vedere. Impresa ardua, ma possibile a quanti sanno diventare contemplatori di questo volto. Solo guidati da una simile spiritualità si può accogliere Cristo nella celebrazione del suo mistero, vivendo nell'attesa della piena manifestazione alla sua ultima venuta.
Questa prospettiva accattivante si deve purtroppo confrontare quotidianamente con alcuni scogli derivanti proprio da una inadeguata formazione liturgica dei pastori e dei laici. Lo affermano lucidamente i nostri vescovi nel documento Comunicare il vangelo in un mondo che cambia al n. 49, sottolineando come la trasmissione del vero senso della liturgia sia uno dei problemi più difficili. Alcuni tra i pastori e i laici più che impegnarsi per far cogliere nella celebrazione l'evento sacramentale,«sembrano preoccupati o di tornare a vecchi formalismi o di avventurarsi nella ricerca ingenua dello spettacolare». La formazione, in questo contesto, emerge più che mai urgente per esplicitare - dicono i vescovi - «la rilevanza della liturgia quale luogo educativo e rivelativo della fede».

1. Le indicazioni del concilio Vaticano II
La seconda parte del I capitolo della costituzione liturgica parla espressamente della necessità della formazione liturgica dei laici e dei pastori. Al n. 14 Sacrosanctum concilium indica come possa addirittura risultare inutile condurre i laici alla partecipazione ai riti senza una adeguata e previa formazione liturgica.
Peraltro è tutt'oggi incombente per i pastori il dovere della formazione liturgica del popolo cristiano. Prima di avvicinare la liturgia al popolo perché vi partecipi, è necessario avvicinare il popolo alla liturgia mediante una formazione costante, convinta e completa. Senza la formazione si corre il rischio di celebrare non l'evento pasquale, ma noi stessi.
In questa prospettiva emerge come l'assenza di formazione dei pastori vanifica la formazione dei fedeli. La formazione dei pastori, richiamata in SC 18, li aiuterà a non rincorrere ricette prefabbricate, sempre pericolose nel campo liturgico in quanto l'assemblea - convocata in forza del battesimo - deve celebrare ed esprimere nella concretezza della vita la ricchezza del mistero. Sarebbe interessante verificare fin dove i pastori, seguendo i suggerimenti del n. 19, siano convinti della necessità prioritaria della formazione liturgica dei fedeli, così che questi ultimi possano veramente esprimere nella celebrazione la loro dignità battesimale.

2. La situazione attuale
L'impressione generale è questa: la liturgia più che essere coltivata come soggetto della formazione, è percepita come oggetto di animazione. Spesso il celebrare è percepito come occasione per recuperare o rafforzare l'identità del proprio gruppo, per trovare nelle comuni emozioni un senso di appartenenza alla propria realtà particolare che certamente è molto sbiadita a livello ecclesiale. Si è ancora fermi alla deviante affermazione «perché la festa siamo noi», ignorando così l'essenza del celebrare che sta nel proclamare «la nostra festa è Cristo».
La formazione liturgica aiuta i singoli e le comunità a percepire che la celebrazione non è in vista del ritrovare noi stessi o la nostra autoidentificazione, ma per far sì che ci incontriamo con la vita di Dio che si è manifestata in Cristo e che, attraverso la mediazione rituale, ci viene donata perché ognuno si nutra di essa.
È chiaro che per avere assemblee veramente celebranti occorre dare urgente priorità ad una formazione permanente non solo per i laici, ma anche per i pastori: presbiteri e vescovi. Questa formazione dovrebbe coinvolgere tre ambiti indispensabili:
> Formazione biblica: senza questa è impossibile entrare nel mistero; si continueranno a moltiplicare riti e devozioni, ma si rimarrà sempre più carenti di autentiche celebrazioni. Giovanni Paolo II ricorda come la «lectio divina faccia cogliere nel testo biblico la Parola viva che interpella, orienta, plasma l'esistenza» (NMI 39).
> Formazione alla preghiera: intesa non solo come un dire le nostre cose a Dio, ma innanzitutto come un dare a lui la vita perché - visitata dal mistero celebrato - diventi sempre più un inno di lode al Padre e un impegno ad «esprimere nella vita il mistero celebrato nella fede».

> Formazione mistagogica: vissuta come ripresa costante dei contenuti, dei gesti, dei segni e della dimensione rituale della celebrazione perché non ci si limiti a porre gesti secondo un copione stabilito o scelto in base al proprio gusto, ma a vivere l'evento liturgico come momento fondativo della fede, della vita ecclesiale e dell’autentico rapporto tra la chiesa e la storia degli uomini.






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