di Pierre-Israël Trigano
in “www.temoignagechretien.fr”
del 20 giugno 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)
Lungi dal condannare
l'omosessualità, il Levitico invita ad umanizzare la relazione del maschile al femminile
nella coppia.
La multisecolare
persecuzione degli omosessuali in nome della Bibbia, fino al rifiuto violento
della legge che oggi li autorizza al matrimonio, si è essenzialmente costruita
attorno alla lettura di un comandamento del Levitico (Lv 18,22): “Non ti
coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole”.
Letta così, la proibizione è
senza appello. Ed è in questo senso che l'ebraismo e il cristianesimo scomunicano
gli omosessuali, in tutta coscienza. Ma il testo ebraico di questo versetto è,
così come è costituito, uno dei più oscuri della Bibbia. È il segno
indubitabile che è carico di un inconscio portatore di un senso inedito. Considerato
nella sua letteralità, possiamo infatti tradurlo così: “Con un maschio [zékher
o zakàr], tu non coabiterai [verbo al maschile] gli stati di essere
coricato [le “coabitazioni”, i “letti”] di donna
[isshah].” Tanto
vale dire che questo versetto è in gran parte incomprensibile, e che il modo in
cui le Chiese lo traducono è un'estrapolazione della versione greca dei
Settanta, non tradotta dall'originale ebraico.
Se la Torah avesse voluto
avere come bersaglio direttamente l'omosessualità, lo avrebbe fatto in maniera
più chiara, in termini più diretti. Del resto non si vede perché essa avrebbe ignorato
l'omosessualità femminile.
Constatiamo in primo luogo
che da nessuna parte nel testo si trova la parola “come” che stabilirebbe un
paragone tra un rapporto con un uomo e uno con una donna.
Tornare alla letteralità del
testo
Letteralmente, in questo
versetto si tratta per l'uomo di “coabitare” i “letti” di donna. Come vedervi un
qualsiasi riferimento all'omosessualità? Al contrario, questa strana formula
potrebbe evocare delle relazioni sessuali dell'uomo con le donne.
In secondo luogo, la parola
tradotta con “donna”, isshah, appare per la prima volta nella Bibbia in Genesi
2, nel racconto della Creazione della donna. Il suo contrario, designante “l'uomo”,
è ish. Ci si aspetterebbe di trovare questa parola nel versetto per designare
l'opposto della donna. Invece, è la parola zékher (o zakàr), il “maschio” che
troviamo nel testo, che ha per polo opposto la parola neqebàh, la “femmina”.
Queste due parole fanno la loro apparizione in Genesi 1, nel racconto della Creazione
dell'essere umano.
Poiché il Levitico si
riferisce a zékher (o zakàr), il “maschio”, avremmo dovuto
logicamente trovare nel versetto neqebàh, “la femmina”, piuttosto che isshah,
“la donna”. Come comprendere questa differenza?
“Maschio” e “femmina” sono
delle categorie per le quali la Bibbia (Gn 1,27) definisce l'essere umano che è
appena stato creato da Dio: “Maschio e femmina li creò”. La Chiesa si serve del
resto anche di questo versetto per affermare senza appello che solo il
matrimonio “di un papà e di una mamma” è la norma divina per fondare la
famiglia umana.
Ora, bisogna rendersi conto
che “maschio” e “femmina” sono delle categorie animali, e non umane.
Esse caratterizzano una
umanità primitiva che esce ancora con difficoltà dall'animalità.
È precisamente l'emergere di
tale umanità, arcaica, originale, non ancora totalmente realizzata, che Genesi
1 descrive. Certamente vi è scritto che è creata “ad immagine e somiglianza di
Dio”, ma si tratta di un potenziale divino di umanizzazione che non è ancora
attivato all'origine e che è in gioco in tutta l'evoluzione umana.
Maschile e femminile arcaici
Le categorie animali zékher
e neqebàh esprimono lo stato di violenza che caratterizza l'umanità arcaica
da cui sarà difficile per gli esseri umani, uomini e donne, uscire.
La sorprendente potenza
significante dell'ebraico biblico ci aiuta a comprenderlo, in particolare per le
possibilità di rilettura che offre. Infatti, questa lingua è puramente
consonantica e le vocali non sono fissate nei manoscritti originali. La stessa
parola, associata a vocali diverse, assume significati insospettati ad una
prima lettura, e manifesta così sottilmente un “inconscio” dell'esperienza
umana che simbolizza.
È, ad esempio, il caso,
molto sorprendente, per la parola neqebàh, “femmina”, che noi possiamo rileggere
néqoubah, che ha in sé un significato terribile per la condizione
femminile, la “forata”, la “maledetta”! Questa parola ci rivela così senza
alcun dubbio che, nell'umanità più arcaica, ancora animale e “primate”, la
donna è ridotta alla condizione di “femmina”, dominata, schiacciata dai “maschi”,
come oggi ancora nei clan degli scimpanzé, i nostri cugini animali più
prossimi.
Anche se nelle tribù
primitive dette “matriarcali”, le madri hanno avuto un certo potere, non era certamente
così per le figlie, ridotte ad essere oggetti di scambio tra clan, a beneficio
dei “maschi”.
La psicologia dello zékher
Ed ecco precisamente ciò che
ci suggerisce la parola zékher, che designa questi ultimi: pronunciato zakhor,
esprime l'azione di ricordare. Così facendo, lo spirito della lingua
ebraica sembra insegnarci che è la potenza dei “maschi” che organizza il “ricordo”
dell'origine, la fedeltà alle stirpi arcaiche dell'umanità, e quindi la
ripetizione del maltrattamento fatto alle donne di generazione in generazione.
È la psicologia dello zékher,
il maschile arcaico e violento, che desidera mantenere e perpetuare nella
cultura umana le donne e la femminilità nella condizione maledetta di “femmina”
inferiorizzata, violentata e umiliata.
Un'altra caratterizzazione
dei generi emerge in Genesi 2 con le parole ish e isshah, “uomo”
e “donna”. Sarebbe necessario dissipare molti controsensi che la tradizione
(investita, occupata dallo zékher) ha accumulato riguardo a queste
parole. Cosa impossibile da studiare nei limiti di questo articolo.
Constatiamo semplicemente
che significano “sposo” e “sposa”, e sono quindi delle categorie eminentemente
relazionali. Esse designano una umanità finalmente umanizzata, uscita dal suo arcaismo
“animale”, nella quale, quindi, può sbocciare la relazione d'amore. Rivelatore
è il fatto che la parola isshah, “donna”, pronunciato éshéh, significa: “Dimenticherò...”.
Maltrattamento fatto alle
donne
Il “maschio” nell'essere
umano vuole organizzare il ricordo dell'arcaismo violento e inumano dell'origine
animale, mentre la “donna” nell'essere umano “dimenticherà”! È una promessa profetica
portata da isshah. Verrà un tempo di compimento in cui il maltrattamento
fatto alle donne e alla femminilità sarà dimenticato.
A questo punto, il senso del
versetto si chiarisce. Ingiunge all'uomo soprattutto di non entrare nella coabitazione
(sessuale, ma anche in tutti gli ambii della vita di coppia) con isshah, la
donna, con (sulla base di) lo spirito dello zékher, il maschio arcaico
senza amore e violento.
Isshah è la
donna, ma è anche, sul piano archetipico, la femminilità, la capacità di
apertura all'altro e di amore, presente nell'uomo quanto nella donna.
Così, questo versetto, lungi
dal proibire formalmente l'omosessualità, è piuttosto un'ingiunzione divina a
prendersi cura di ogni relazione di coabitazione e di coppia, qualunque sia il
(o la) partner che si ha, di fondarla sull'amore, sulla tenerezza, e quindi di
coltivare lo sbocciare della femminilità in sé e nell'altro, invece di ferirla
sotto i colpi dell'egocentrismo maschile arcaico di onnipotenza. Come si vede,
questa ingiunzione può interpellare sia le coppie omosessuali che
eterosessuali, senza gettare l'anatema su una qualsiasi categoria di esseri
umani.
Interrogativo etico
Il suo interrogativo non è
legalistico, ma etico. Non si accontenta di una applicazione “tecnica” che sarebbe
qui il rifiuto o la repressione dell'omosessualità, come lascerebbe pensare la
traduzione abituale. Ma apre una ricerca etica sulla fondatezza della relazione
che ciascuno, chiunque sia, allaccia con un altro, chiunque sia, in quanto
essere umano.
E questa ricerca è, in se
stessa, un cammino di vita che mira a favorire sempre più l'amore, a dare risalto
alla femminilità (sia degli uomini che delle donne) ferita dallo zékher. Sicuramente
non si può quindi utilizzare la Bibbia ebraica per condannare l'omosessualità.
Tutta la mia ricerca
dimostra che essa veicola nel suo testo ebraico un “inconscio” che aspetta di essere
riscoperto, portatore di un senso che rivoluziona le interpretazioni della
tradizione ebraico cristiana e sovverte la riduzione dispotica e moralistica
della religione. Questo versetto ne è una testimonianza caratteristica.
*Pierre-Israël Trigano è
filosofo e psicanalista. È l'autore di L'inconscient de la Bible
Commenti
I.
L'articolo è FONDAMENTALEMENTE ERRATO perchè attribuisce alla bibbia concetti di psicologia moderna (o, al massimo, anche concetti kabalistici pre-moderni, che sono comunque emersi molto tempo dopo la scrittura originale dei testi biblici).
In realtà bisogna guardare la STORIA e come i passi venivano interpretati nell'antico ebraismo.
La STORIA insegna che gli 'atti omosessiali' erano condannati sin dall'inizio, quindi la interpretazione data sopra dai NdM non può essere corretta, ovviamente.
Da NOTARE che condannare 'atti omosessiali' non è omofobia o perseguitare omosessuali, perchè non è la persona che viene attaccata o condannata, ma certi atti.
E come nel caso di un omicidio: una persona magari uccide per errore o per qualche motivo che ne attenua fortemente la colpa, ma l'atto stesso dell'omicidio rimane grave anche se la persona è innocente (es. omicidio involontario accidentale).
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II
Non concordo con la linea di principio applicata spesso da alcuni studiosi o interpreti della Bibbia: quello di attribuire ad un'assenza di esplicito riferimento nel testo sacro su un particolare tema come contrastante con la fede. E' una forma di letteralismo 'negativo'. Pertanto ciò che non è scritto non è da prendere in considerazione.
Se fosse così allora saremmo ancora in pieno sistema tolemaico. O non potremmo accettare l'esistenza delle malattie del midollo osseo.
Ammettendo il caso, siamo generosi, che questa tesi (discutibile e tirata per i capelli) fosse vera ad ogni modo ciò non toglie che oggettivamente tale orientamento sia in contrasto con il fine stesso della natura umana e che essendo anche la stessa creazione una rivelazione di Dio, il suo contrasto è una sovversione al suo ordine. Quindi la questione è solo spostata ma non risolta.
Aggiunta a un 'ci spieghi' dei NdM:
Molto semplicemente si può riscontrare un'avversione all'omosessualità, plurisecolare, anche in culture che non erano direttamente collegate o influenzate dal pensiero giudaico-cristiano. Anche in tempi recenti. Il nazionalsocialismo o anche lo stesso stalinismo non si rifacevano alla Sacra Bibbia.
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III.
[L]a condanna della sodomia era presente già nella primissima comunità della Chiesa formata dagli apostoli. Condanna che sarebbe stata abbandonata, come mille altre, se fosse stata “solo” una norma del Levitico e non anche un insegnamento di Gesù per il Regno dei Cieli.
Immagino già gli apostoli in cielo: "No cavolo, abbiamo sbagliato tutto! Avete visto l'articolo di Pierre-Israël Trigano pubblicato dai Nipoti di Maritain?! Chi è quell'asino omofobo che ha tradotto il Levitico per noi?!"
((Aggiungerei che S. Paolo ha piegato diverse regole levitiche per accomodare i gentili, come la circoncisione o le norme dietetiche, ma non quelle morali, come la condanna agli atti omosessuali, ndr))
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La Bibbia espressamente condanna l'omosessualità come peccato. Il resto, dire che "non la condanna, ma vuole promuovere la sessualità uomo donna" è un'assurdità: una cosa a cui possono credere solo degli intellettuali. ((Io direi pseudo-intellettuali ndr))
E poi, scusate, ma dove sta la differenza tra "condannare l'omosessualità" e "promuovere il rapporto uomo donna"? E' chiaro che se promuovi uno non promuovi l'altro.
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V.
Non sono un esperto di ebraico né di Bibbia ebraica. Ma una semplice ricerca su internet mi ha portato ai seguenti risultati.
Nel versetto 22 del capitolo 18 del Levitico compare la parola מִשְׁכְּבֵ che ha come radice שׁכב che è presente tantissime volte nella Bibbia nelle parole "giaciglio" e "giacere" (questo verbo secondo le varie coniugazioni). Ora, vediamo l'intero contesto del versetto in questione (Lv 18, 20-23, secondo CEI 08):
<<20Non darai il tuo giaciglio alla moglie del tuo prossimo, rendendoti impuro con lei.
22Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole.
23Non darai il tuo giaciglio a una bestia per contaminarti con essa; così nessuna donna si metterà con un animale per accoppiarsi: è una perversione.>>
Cosa significano tutti questi versi?
Da questa traduzione sembra capire che giaciglio/giacere sia un modo di dire ebraico per indicare i rapporti sessuali.
Proprio in questi versi, la radice שׁכב compare 4 volte. In inglese è resa con il verbo (o anche sostantivo) "lie".
Due capitoli più avanti, Lv 20 versetto 13, c'è scritto:
<<13Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte: il loro sangue ricadrà su di loro.>> che è una condanna esplicita (quindi i nipotini sbagliano quando affermano che essa non esista)!
Anche in questo verso il rapporto è indicato con la radice שׁכב che è presente ben 7 volte in tutto il capitolo e precisamente ad ogni riconferma delle precedenti condanne.
Questa radice è presente altre 7 volte anche in Deuteronomio 22 dal versetto 22 al versetto 29. Anche qui si riferisce a rapporti non leciti (basta cercare)!
Quindi, secondo l'AT, l'unico rapporto lecito tra uomo e donna è quello nel matrimonio e con finalità unitiva e procreativa. Tutte le altre sono condannate.
Anche quando Lv, 18, 22 fosse poco comprensibile, alla luce di questi passi (che prevedono la pena di morte nel rapporto illecito tra uomo e donna, tra uomo e uomo, tra uomo/donna e animali) come si dovrebbe considerare un rapporto sessuale uomo-uomo se non in maniera negativa?
Con questo non voglio fare il fariseo e dire che bisogna ritornare alla pena di morte per tutti i rapporti illeciti, anche perché, come diceva san Paolo, gli omosessuali ricevono già una condanna nel loro corpo, a causa del loro stesso traviamento!
Senza considerare che una sessualità sregolata porta alla "morte" dell'anima e della sua capacità di amare secondo il volere Dio (che forse è peggiore della morte fisica!).
I P.S.: La questione dell'omosessualità femminile non è contemplata nell'AT forse, a mio parere, perché due donne non avevano la possibilità di avere un rapporto penetrativo (come invece li simulano oggigiorno con attrezzi vari e ripugnanti!), ma alla luce dei passi citati, non credo che il giudizio sarebbe diverso. Nella concezione ebraica la donna accoglie il membro virile; da un'altra donna non avrebbe niente da accogliere, dall'animale sì: per questo il primo caso non è contemplato, il secondo sì. Evidentemente, l'omosessualità femminile è una perversione troppo moderna!
II P.S.: Mi scuso se alcuni miei termini sono stati un po' troppo grezzi ed espliciti!
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