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Intervista a Rosario Salamone: Chiesa e società valorizzino gli Insegnanti di Religione

Professor Salamone, come vede gli Insegnanti di Religione oggi in Italia?

Li vedo in difficoltà, come tutti i docenti della scuola italiana. In primis, perché l’Insegnante di Religione vive, abita lo stesso ambiente e condivide lo stesso orientamento di vita, intellettuale e lavorativo. Al pari dei suoi colleghi, non può non essere disorientato rispetto a una miriade di proposte culturali ed educative. Quello educativo è un asse fondamentale – o dovrebbe esserlo – nella formazione dell’insegnante: prima di tutto, di per sé, egli deve avere un asse di orientamento che può nascere dalla sua formazione, dagli obiettivi che intende perseguire, dalla sua capacità di relazione con i giovani. Questa dovrebbe sempre essere asimmetrica: l’insegnante è un adulto formato e in formazione continua e che ha di fronte a sé una platea di individui – i suoi studenti – che sono comunque bambini, pre-adolescenti, adolescenti. Quindi dovrebbe avere quella solidità, quell’impalcatura culturale, etica ed educativa che spesso rappresenta – diciamocelo sinceramente – un punto fragile. L’esperienza e gli anni non possono supplire a tale mancanza originaria sulla quale occorrerebbe riflettere.

A partire dalla revisione del Concordato, non pensa che la questione della confessionalità e quindi della facoltatività dell’IRC – e con la retrospettiva dell’idoneità diocesana – sia da mettere in discussione oggi?

È un nodo sicuramente problematico. La domanda intercetta alcune criticità effettivamente presenti. Il mio punto di vista, per l’esperienza che mi sono fatto, è questo: dall’Intesa in poi, c’è stata una superfetazione di norme che hanno cercato di definire il modo di operare, gli atteggiamenti e i comportamenti degli IdR connessi, un po’ per mimesi, al CCNL degli Insegnanti; era utile approfondire questa dimensione e pure opportuno che assumesse una forma di natura giuridico - contrattuale, anche perché l’IdR va garantito nel ruolo che occupa nella società civile, ma con un mandato di tipo ecclesiale. Tuttavia a volte si è inseguita una deriva, come a voler progressivamente scorporare l’attività dell’IRC da una relazione organica con la Chiesa; si pensi che a Roma, di circa 1100 IdR che ogni anno vengono proposti, almeno 400 non hanno più un rapporto organico con la Diocesi: molti di essi sono docenti di ruolo, c’è un buon numero di insegnanti stabilizzati, mentre invece – sarà un caso? – quelli più freschi di nomina, che hanno avuto modo di avere con l’Ufficio un rapporto più vicino, anche temporalmente parlando, continuano a mantenere una relazione. Però c’è una parte che ha affievolito tale rapporto, quasi a pensare che, una volta assicurato ormai il posto e possedendo i titoli per insegnare, possano andare avanti per la propria strada. Questo dovrebbe far interrogare la Chiesa stessa, perché non è determinato dall’opportunismo degli IdR. Dovremmo chiederci: cosa la Chiesa effettivamente ha fatto per il loro bene e per mantenere questa relazione? Quali esempi ha dato? Quali condotte ha intrapreso? Tutto ciò fa parte di uno stato generale di crisi della incarnazione del tempo storico che noi viviamo come cristiani. È opportuno interrogarsi su questo, come d’altra parte hanno messo in rilievo il Magistero di Papa Francesco, alcuni dibattiti all’interno della CEI e tutta la pubblicistica legata all’argomento nata dalla riflessione di ricercatori e teologi.

In una società sempre più multietnica e multiculturale, da più parti si invoca un insegnamento – questa volta obbligatorio – di storia delle religioni o comunque di competenze interculturali e interreligiose. In questo senso, quale pensa possa essere non solo il futuro dell’IRC ma anche il futuro e l’inquadramento degli IdR?

Qui ci vorrebbero doti di profezia che non ho! Se stiamo alle esigenze che maturano nel tempo storico andiamo verso una riflessione non feconda, secondo me. Sotto questo profilo, visto che viviamo in una “terra sismica” come l’Italia, è come se politicamente e socialmente delle piattaforme terrestri entrassero in collisione tra loro, scatenando terremoti. Una cosa sono le esigenze che la società civile avverte, altra le strutture storiche. Ci sono sismi che sono presenti non soltanto all’interno della società e non soltanto nella relazione tra IdR specializzati e incaricati dalla Diocesi all’interno della normativa vigente. Le normative sono legate alla storicità del tempo e come tali possono anche essere soggette a revisione. Le società cambiano: non possiamo pensare che solamente la Chiesa cattolica abbia l’appalto e l’esclusiva della Religione. Anzi, un’idea – non so quanto sana – che ho è che sarebbe opportuno che nelle Università statali rientrasse a pieno titolo tutta la tematica che riguarda la ricerca nell’ambito della religione, e non solo quella cristiana, che già in parte è presente, ma andrebbe potenziata ancor di più. La ricerca non può essere un monopolio: essa ha come sua condizione fondativa una libertà nel cercare e in correttezza di atteggiamenti, e trasparenza. Non va ignorata la parte più intelligente della Chiesa e della Teologia che offre grande apertura e contenuti per tutti coloro che cercano: accogliere l’esito delle ricerche è utile per tutti. Mi duole sottolineare come spesso molte case editrici cattoliche ripropongono cataloghi vecchi, con proposte culturali non particolarmente fresche. Sarebbe opportuno che anche case editrici laiche aprissero collane al cui interno figurassero gli esiti più interessanti della ricerca teologica.

Per Rosario Salamone – già giovane filosofo, poi docente e in seguito Dirigente Scolastico, ma anche Giudice minorile e oggi Direttore dell’Ufficio scuola della Diocesi di Roma – grazie anche alla conoscenza del panorama italiano, che sappiamo essere variegato, e tenuto anche conto della diversità degli indirizzi di studio, qual è la sua personale idea dell’IRC e quale pensa possa essere il suo futuro?

Sul futuro non rispondo, perché avventurarsi in risposte pionieristiche non sarebbe né possibile né corretto. Sull’idea che invece mi sono fatto direi che c’è una parte interessantissima per vivacità culturale, per competenze varie: spesso gli IdR sono punti di riferimento all’interno delle scuole, ma a volte non hanno la libertà di operare che dovrebbero avere. Basti pensare al limite posto “Buona Scuola” che impedisce loro di essere vicari del Dirigente: tali limitazioni fanno torto all’intelligenza laica, perché sul campo sono delle risorse straordinarie nell’ambito della formazione dei ragazzi. Per esempio, proprio nel momento più nero della pandemia da Covid-19, gli IdR hanno mostrato una grandissima disponibilità di accoglienza nella difficoltà e hanno aperto le braccia a tutti: questa metafora è utilissima in ogni campo per capire la capacità di apertura di una società alle criticità. Sotto questo profilo, la pandemia è stata una lezione magistrale, seppur dolorosissima, che ha dato e sta dando agli uomini. Tornando alle competenze degli IdR, queste vanno ben oltre quelle religiose, perché spesso sanno di letteratura, arte, filosofia, scienze politiche, economia … sono grandissime risorse che andrebbero valorizzate anche attraverso una formazione in servizio capace di sviluppare competenze. Finché restiamo in una campo sostanzialmente di contrapposizioni (confessionale/non confessionale, religioso/non religioso, laico/laicista) questa serie di semafori impedisce la circolazione della cultura e della formazione delle persone, anche quelle affidate agli IdR. Il rapporto degli insegnanti non è solo con le istituzioni, ma si estende per tutti i docenti nel grande tema della formazione e dell’educazione di tutta la società in formazione. Essa è affidata a persone specializzate che offrono contributi diversi e che, come tali, non possono essere mortificati. Per concludere, direi che proprio la formazione in servizio consente di aprire fronti formativi diversi, di far cadere all’interno delle scuole una serie di pregiudizi; basti vedere molti degli IdR in servizio per capirlo. Tuttavia bisogna che cadano anche nella società civile: purtroppo questi steccati spesso sono le ossature rigide, di una visione fortemente giuridica, sindacalizzata, che ha voluto delimitare una serie di condizioni – per garantire anche quello che agli insegnanti spetta, come detto prima – e che però sostanzialmente hanno reso sclerotico il rapporto.

a cura di Rosario Sciarrotta


Rosario Salamone, nato a Catanzaro nel 1949, si è laureato all’Università “La Sapienza” di Roma in filosofia teoretica, svolgendo poi attività di insegnamento nei licei e di ricerca universitaria, in particolare su temi connessi alla filosofia idealistica e all’esistenzialismo. I suoi interessi sono rivolti alle problematiche della formazione, alla letteratura e alla teologia. Ha pubblicato “Lingua e linguaggio nella Filosofia di Giambattista Vico” (Edizioni dell’Ateneo), con il quale ha vinto il primo premio di Filologia moderna all’Accademia Nazionale dei Lincei (1989). Per cinque anni ha collaborato per le pagine romane de “Il Corriere della Sera”. Preside dal 1990, attualmente è Direttore dell’Ufficio della Pastorale Scolastica e dell’Insegnamento della Religione Cattolica del Vicariato di Roma.

L'intervista è stata pubblicata online sulla rivista Nipoti di Maritain n.11 (marzo 2022)


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