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Religione, formazione e pensiero: l’insegnamento del “potenziale inespresso”

Nel tempo fragile e frammentario che viviamo, il senso del portare alla luce una rinnovata consapevolezza del sapere tra i giovani ha tra i migliori potenziali strumenti l’Insegnamento della Religione Cattolica. Ma chi oggi si ritrova a che fare con l’IRC ha davanti a sé molti dubbi. L’interrogativo è dettato dalle prospettive stesse della disciplina: è confessionale ma lontano da un approccio catechetico alla religione cristiana, e mai deve essere un esercizio di proselitismo; allo stesso tempo, però, è chiamato a vivere il suo peculiare magistero in nomine ecclesiae (Codice di Diritto Canonico §804-805). Qui trova la radicale e paradossale chiarezza del compito affidato. Tale chiarezza, però, non gode di uno status giuridico equivalente alle altre discipline; al di là dello scarso numero (e in calo per motivi anagrafici) di docenti “di ruolo”, è il valore dell’IRC a stare mezzo passo indietro: non fa media e non è materia d’esame. A questo si aggiunge che il docente è tenuto (o è ridimensionato?) a vivere solo un’ora di lezione per classe a settimana nelle scuole secondarie, in contesti che ne richiederebbero almeno due.

Vorrei soffermarmi su alcuni aspetti intrinseci alla dinamica educativa dell’IRC. Certamente si possono intravedere nella relazione quotidiana con ragazze e ragazzi che sono veri e propri mondi, e che se realmente incontrati nelle loro identità – nel rispetto e nella pluralità delle differenze – aprono scenari culturali impensabili. Spesso le ore di IRC sono uno spazio di confronto di vita su argomenti disparati, in quanto i ragazzi nel docente una figura educativa sui generis, capace di una sintesi esistenziale efficace e comprensiva. Egli parla di una realtà che riguarda una verità universale dell’essere umano: la sua dimensione religiosa, al di là dell’eventuale convinzione di fede. In quanto esperienza dell’humanum, ha una precisa educabilità che può conoscere una varietà di interpretazioni, a partire dalla preziosa tradizione cristiano-cattolica. Un punto però non è più rinviabile: per dotare di rinnovata energia e credibilità l’IRC occorre recuperare un profondo valore testimoniale. Questo elemento ha due presupposti che sono allo stesso tempo i suoi obiettivi più urgenti: 

1) una maggiore qualità della scelta dei docenti a opera degli uffici preposti, guidati da persone che ascoltino il battito del cuore della scuola e riconoscano testimoni credibili;

2) una più qualificata formazione filosofico-teologica che eviti il divario ISSR-Facoltà Teologiche, il quale crea percorsi formativi di “serie A” e di “serie B” che influenzano negativamente la percezione della disciplina e dei suoi saperi. In tale direzione è interessante, pur embrionale e migliorabile, la proposta dell’Associazione Teologica Italiana.


In poche parole, l’inespresso potenziale sta tutto nel mettere seriamente in atto quanto auspicato e indicato dai canoni 804-805: garantire al docente una formazione che non schiavizzi le scelte e non precluda la possibilità di continuare a studiare e a specializzarsi. Per far questo è necessario far tramontare l’obbligo, anacronistico e sterile, della frequenza accademica nei corsi di studi teologici. È anacronistico: studiano teologia non più esclusivamente candidati in formazione al presbiterato o alla vita consacrata, ma anche un significativo numero di laiche e laici, inespressa risorsa per un credibile annuncio ecclesiale, culturalmente strutturato, realmente contestuale. È sterile: pur in un mondo social e invitato a cambiare nella situazione pandemica, molte realtà universitarie di ambito teologico restano allergiche a corsi online che potrebbero ampliare il numero dei docenti in formazione, secondo gli auspici della costituzione apostolica Veritatis Gaudium (2018). Perciò l’IRC è l’insegnamento del potenziale inespresso. Perché possa esprimersi, occorre investire – da parte, in primis, della Conferenza Episcopale Italiana – risorse per valorizzare talenti altrimenti sterilizzati. Tale insegnamento ha pieno diritto ad aver voce nello scenario educativo italiano: il Concordato del 1984 ha riconosciuto pieno valore alla formazione di una “cultura religiosa”, nel senso di una rete che abbracci le dimensioni conoscitive e antropologiche, nella complessità della realtà. L’IRC ha una carica esplosiva che permetterebbe di costruire la persona nella sua profondità, coltivando orizzonti e interrogativi di senso. 

Un maggior numero di ore di lezione in classe (due potrebbe già essere un buon obiettivo) potrebbe giovare molto. Ciò permetterebbe ancora di più di dare tempo alla narrazione dell’esperienza vissuta (Erlebnis) e alla sua consapevolezza. È proprio di ogni esperienza non solo di essere coscienza, ma anche il quid di cui essa ne è coscienza. Si tratta cioè di vivere l’esperienza con il coinvolgimento pieno della vita, entrando nella sua dinamicità fino in fondo. Questo è l’aspetto insostituibile che il docente IRC è chiamato a vivere e a far vivere. La sfida nella sfida è rinnovarsi nella tradizione; lo slancio per una diffusa formazione si tradurrebbe in un più serrato scambio tra il darsi e il dirsi in un più aggiornato sapere teologico, compagno di cammino dell’uomo.

Qui si attua il progetto di rinnovamento sinodale, che è anche trasmissione del teologare insieme. L’insegnamento non può essere stantio o chiuso alle altrui esperienze religiose, se vive a pieno titolo in un contesto di laicità. Come infatti è desumibile dalla sentenza 203/89 della Corte Costituzionale, l’Ordinamento italiano riconosce il principio della laicità, che non è indifferenza o ateismo ma salvaguardia della libertà religiosa, «a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini». A tal fine la Repubblica italiana può, per questa sua natura laica, fare impartire legittimamente lo specifico Insegnamento della Religione Cattolica.

Eppure le altre religioni, cresciute numericamente negli ultimi decenni, meritano legittimi spazi. In tal senso, il divario formativo nei confronti delle minoranze religiose può essere contrastato attuando le vigenti Indicazioni Nazionali dell’IRC; peraltro, gli studenti di altre fedi già offrono all’IRC una ricchezza inestimabile. È inoltre doveroso approfondire e far conoscere il pensiero teologico delle diverse religioni, così come, specie nei Licei, è fatta conoscere la ricca complessità del pensiero filosofico o della letteratura. Confrontarsi con i maestri e le gradi questioni della teologia mostrerebbe ancor meglio la profondità di tale insegnamento. E far esplodere, convintamente, il potenziale inespresso che possiamo mettere in atto con rinnovata competenza e capacità.

Giovanni Francesco Piccinno

Nato a Nardò (LE) nel 1989, dopo la Laurea in Filosofia a Lecce presso l’Università del Salento ha proseguito gli studi filosofici a Firenze e successivamente ha conseguito la Laurea Triennale e Magistrale in Scienze Religiose presso l’ISSRM “Don Tonino Bello” di Lecce. Attualmente sta conseguendo il Baccellierato in Teologia presso la Pontificia Università Urbaniana in Roma. Docente di Religione Cattolica della Diocesi suburbicaria di Albano e catechista, si interessa in particolare di questioni di Teologia Fondamentale e Dogmatica e del dialogo tra teologia e cultura contemporanea. 

L'articolo è stato pubblicato online sulla rivista Nipoti di Maritain n.11 (marzo 2022)


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