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La forza e il coraggio di avere e manifestare un pensiero


di Marzio Paoli
 
Viviamo in tempi di crisi o, per usare la famosa espressione della Arendt, “oscuri”.

I motivi, per pensare questo, sono molti ma, per rendersene conto, può bastare riflettere sulla incapacità quasi generale di avere un pensiero e delle idee da manifestare e confrontare. Quando si invitano le persone a riflettere e fare proposte su temi fondamentali e attuali, ci si imbatte in un’ assenza spaventosa di un pensiero “allenato” a fare il suo “mestiere”, e quello che è più sconcertante è che si ha quasi paura e una grande sfiducia a riflettere insieme agli altri.

Si ha l'impressione che esprimere idee e ragionare insieme , per cercare di comprendere meglio il senso del nostro vivere presente e futuro, sia qualcosa di inutile se non di pericoloso. D'altra parte le poche esperienze che in genere si fanno a livello di ascolto, dialogo, confronto e discussione sono quasi sempre scoraggianti un po' in tutti gli ambienti, chiesa compresa. Dove si trovano infatti spazi seri e continuativi dove potere fare questo anche nella chiesa? E, senza generalizzare, dove sono stati attivati quegli spazi che anche il nostro Arcivescovo intendeva promuovere in ogni parrocchia nelle sue linee pastorali di alcuni anni fa?



Mi congratulo quindi con i giovani che hanno dato vita a questo blog e per il loro coraggio con il quale manifestano il loro pensiero in maniera veramente libera ed aperta sia dal punto di vista umano che cristiano. Mi auguro di cuore che possiate essere di stimolo anche ai meno giovani affinché si possa lavorare tutti in tale direzione.

Un particolare apprezzamento anche per la qualità dei temi affrontati che, pur molto delicati, non vengono mai “sfuggiti” o elusi nei loro aspetti e nelle loro conseguenze più complesse .

Bravi davvero.



Approfitto di questo spazio che gentilmente mi viene concesso, per entrare ancora nel merito dei vostri interventi in materia di etica che risultano davvero numerosi e molto stimolanti specialmente per uno come me abituato da molto tempo a confrontarmi su questi temi con giovani e meno giovani. Avverto subito che mi limiterò quasi esclusivamente a fare osservazioni “critiche” sperando di suscitare ulteriori riflessioni e di promuovere un pensiero sempre più approfondito sia da parte vostra che da parte mia.







Mi ha fatto molto piacere che Niccolò abbia ulteriormente precisato il suo pensiero sulle principali questioni di bioetica oggi in discussione nel mondo intero come quelle collegate all'inizio e al fine vita. Sfiorerò anche il tema della sessualità che a più riprese sia Niccolò che altri hanno affrontato.



A Niccolò

Io non credo che sia opportuno affermare, al contrario di quanto è stato più volte ribadito dal Magistero ufficiale in questi ultimi decenni, che l’embrione vada tutelato come “progetto” o “speranza” e non come persona. Per sostenere questo a mio avviso occorre molto di più di un riferimento ad un autore pur valido e per certi aspetti profetico come Maritain, che non è però potuto intervenire attivamente nel dibattito di questo decisivo quarantennio e neppure affermare che in assenza di formazione di un encefalo non è possibile parlare di “persona” o di “anima intellettiva” . Se non è il caso di ipotizzare in maniera razionalmente seria che la persona è in qualche maniera presente ovunque è presente la vita umana, perché non ipotizzare la presenza personale dell’uomo, per esempio, nel manifestarsi chiaro della coscienza umana e quindi, alla maniera di quanto sostenuto tra gli altri dal famoso bioeticista Singer (non esattamente classificabile come “cattolico”), a circa due anni dopo la nascita?

Per portare avanti la riflessione di Niccolò credo che si dovrebbero discutere e criticare le argomentazioni contenute nei principali pronunciamenti magisteriali oppure nei principali autori di chiara fede cattolica che hanno contribuito a guidare la discussione in merito nella direzione poi fatta propria dal magistero, come ad esempio Mons. Elio Sgreccia.

In sostanza la posizione da criticare è quella che sostiene (e che mi trova d’accordo) che dal momento della presenza (concepimento) di una vita umana essa va rispettata come una persona poiché, ovunque è presente un essere umano (vivo), lì è presente anche una persona: persona umana e vita umana non devono mai essere trattate diversamente anche qualora non si possa essere certi (ma solo piuttosto convinti) che l’animazione inizi con il concepimento.



Senza entrare nel merito (per adesso) di quanto è stato pensato o scritto in seguito alla morte del Cardinale Martini mi sembra che anche riportare, come citazione, quella di un autore (Kung) che non si può certo annoverare tra quelli di chiara fede cattolica, non mi sembra una operazione troppo ripetibile e quindi, anche per la questione “eutanasia”, mi sento di suggerire a Niccolò di esaminare gli argomenti riportati dal magistero, e da altri autori “cattolici” in accordo con esso, in favore della posizione che vede nella sospensione di interventi come quelli relativi all’alimentazione e all’idratazione artificiali, qualcosa che non ha niente a che vedere con il cosiddetto “accanimento terapeutico”. Tali interventi (effettutai al fine di “salvare” la vita, senza creare eccessivi sofferenze alla stessa vita), non possono infatti costituire nessun tipo di accanimento terapeutico che, a detta di molti medici, è tra l’altro, una terminologia a dir poco contraddittoria e fuorviante per le sue possibili conseguenze etiche: e vi garantisco che non riporto questa ultima osservazione per sentito dire ma a ragione veduta e per avere assistito a molti dibattiti alla presenza di svariati medici.



In merito alla contraccezione e alle domande molto interessanti che si pone Niccolò io direi che noi non siamo responsabili (né positivamente né negativamente) di ciò che non causiamo o vogliamo. Così per esempio noi non siamo certo responsabili della morte per “cause naturali” di un parente la quale può essere lecitamente “sfruttata” per ricevere dei beni in eredità che possiamo così utilizzare per investire positivamente per noi o per altri, ma non possiamo certo, per gli stessi scopi, CAUSARE la morte dello stesso parente! In sintesi questa è la posizione (che mi trova d’accordo) da criticare e che è sostenuta da ormai molti interventi magisteriali degli ultimi decenni: ogni singolo atto sessuale deve essere aperto alla vita nel rispetto dei ritmi naturali della fertilità e deve avvenire all’interno del matrimonio; ogni alterazione causata dall’uomo per rendere infecondo un atto sessuale, che di per sé lo sarebbe, equivarrebbe a rifiutare e privare volontariamente lo stesso atto di uno dei due significati (quello procreativo, cioè di apertura alla vita) che la natura o il Creatore (per noi credenti) ha voluto inscindibili. Quindi invito ad esaminare le argomentazioni sostenute in merito come detto sopra e con contro-argomenti - senza che siano semplici citazioni di una certa vulgata “laicista” o di studiosi non proprio cattolici ma che qualcuno vuole far passare per tali - discutere tali tesi fatte appunto proprie dal magistero. Sono sicuro, anche se non è semplice, che un tipo come Niccolò è in grado di fare anche questo e molto altro.

E chiedersi se la sessualità non possa essere considerata un valore in sé, che cosa significa? Significa forse pensare che la sessualità umana non ha un progetto nel disegno della creazione? Ma se non è oggetto di un tale disegno, può forse essere considerata un aspetto che l’uomo può utilizzare per qualsiasi scopo, come per esempio il piacere, il gioco, la libera manifestazione di simpatie o affetti tra esseri umani, che poi magari viene presentato come “amore”?

Oppure, secondo una lunga tradizione di interpretazione del dato naturale e biblico essa è da vedere come un aspetto fondamentale di un essere umano creato maschio e femmina (sessuato) con lo scopo di realizzare quella “immagine” e quella vocazione all’Amore VERO che è somiglianza e vicinanza, se non vogliamo parlare di sacramento, con l’Amore divino?



A Lorenzo

Per riprendere il tema del “sacramento” sembra che per Lorenzo la chiesa si riferisca al matrimonio proprio come a qualcosa di matrice religiosa ed in particolare di fede cristiana. In effetti la chiesa ha sempre visto nel matrimonio naturale una vocazione meravigliosa dell’uomo inscritta nella sua natura e ha sempre visto nell’amore dei promessi sposi l’elemento essenziale che lo rende valore di per sé sufficiente a realizzare la famiglia, una famiglia di dignità tale che qualora sia fatta da due coniugi non cristiani che si convertano alla fede cristiana, dopo il battesimo degli sposi, non ha mai rilevato la necessità di ripetere un matrimonio considerato già valido. Il matrimonio cristiano esiste nella misura in cui è realizzato nel caso di due coniugi cristiani e non, IN PRIMIS, da un rito cristiano.

Ecco perché la concezione del matrimonio come fondamento della famiglia, dalle sue specifiche caratteristiche (uomo-donna, indissolubilità eccetera) viene da sempre proposta dalla chiesa a tutti gli uomini di buona volontà al di là del matrimonio-sacramento che ovviamente riguarda esclusivamente due (o almeno uno) dei fidanzati interessati in quanto cristiani. A questo punto credo che occorrerebbero molti “passaggi” per arrivare a parlare di una sua dignità ad “unioni civili” tra due persone dello stesso sesso: giusto Lorenzo?



A Emanuele

Accogliere le persone omosessuali, per la chiesa e per la società, credo che sia qualcosa di indiscutibile e da dare assolutamente per scontato. Penso che il problema non si dovrebbe proprio porre quindi nella chiesa. Mi dispiacerebbe che Emanuele sia a conoscenza di situazioni dove l’accoglienza non sia massima: io non conosco tali situazioni. O, meglio, non conosco situazioni dove l’accoglienza sia inferiore a quella riservata a tanti altri umili e semplici fedeli, o simpatizzanti, che bazzicano le nostre chiese (parrocchie, comunità o come si voglia dire)…

Se comprendo bene la posizione di Emanuele mi sento di condividere con lui il concetto di fondo in quanto sono spesso proprio le nostre “comunità” a non avere le caratteristiche di vere COMUNITA! Se io coordinassi un qualsiasi gruppo di catechisti, formatori o accompagnatori in un percorso catecumenale, non sarei per niente preoccupato della presenza di omosessuali cristiani in tali gruppi e non vorrei sicuramente che si astenessero dal dichiarare la loro condizione, così come vorrei che non tacessero le loro posizioni di fede, e quelle elative alla relazione fede-mondo, né loro né gli altri presenti eventualmente “etero”! A mio avviso è proprio la mancanza della stessa possibilità di manifestare e di potere favorire la manifestazione del proprio pensiero e delle proprie posizioni che crea spesso l’assenza di accettabili “comunità” anche nella chiesa e quindi il problema sta proprio nella paura del dialogo e dell’umano pensiero ed, in ultima analisi, nella poca “fede” nel “Logos” con cui è fatto il mondo, e non in altro! Chi allontana o zittisce gli omosessuali nella chiesa io credo che si comporta nella stessa maniera con moltissimi altri soggetti “non omo” nella stessa chiesa…



A Tutti

A mio avviso quindi i problemi nella chiesa di oggi sono per lo più collegati alla mancanza di un vero dialogo e confronto tra coloro che si definiscono come “fedeli”; mancanza che credo sia da collegare alla scarsa fiducia nella comune ricerca di quel Logos di cui proprio i cristiani dovrebbero averlo al centro della loro fede e della loro vita! Ed è per questo che la vostra iniziativa merita davvero un grosso plauso. Ancora bravi!



Marzio Paoli

Commenti

Anonimo ha detto…
Ti ringrazio Marzio del tuo contributo e volevo solo chiarirti che conosco il Magistero e la dottrina cattolica e il mio era solamente un tentativo di rilettura nelle materia sicure ma non definitive puramente "sperimentale" per tentare di esprimere i valori di sempre in formule nuove.

Niccolò
Anonimo ha detto…
Carissimo Marzio,

Colgo anch'io l'occasione per ringraziarti di questo tuo articolo che permette a noi tutti di continuare ad alimentare il dibattito e la discussione su tematiche tanto scottanti per credenti e non credenti.

Per quanto riguarda i tuoi riferimenti ai miei articoli mi trovi in totale accordo per quanto riguarda la piena dignità del matrimonio tradizionale, tanto che anch'io non ho mai proposto l'equiparazione fra unioni civili ed esso. Detto questo (ovvero che le unioni civili omosessuali e il matrimonio sono due cose diverse), perchè pretendere (per farli esistere entrambi) che abbiano la stessa dignità? Perchè affermare addirittura che le unioni civili fra persone omosessuali non abbiano alcuna dignità? Se sono diverse dal matrimonio, perchè dobbiamo ricercare in esse gli stessi parametri per considerarle degne? Ed infine, perchè considerare indegno (tanto negargli ogni diritto) un tipo di amore che esiste e coinvolge decine di specie animali compreso l'uomo? Non ti pare quest'ultima una bella pretesa da parte della Chiesa e di alcuni uomini?

La sfida del cambiamento non ci deve spaventare e non deve spaventare la Chiesa che tante volte e su tanti temi nella sua gloriosa storia ha cambiato idea e posizione. Basta il coraggio di mettersi in discussione.

A presto!

Lorenzo
Anonimo ha detto…
Cari Niccolò e Lorenzo,
allora vi propongo un esperimento:
Visto che vi è venuto in mente di esplorare nuove strade per verificare la possibilità di allargare la dignità a comportamenti ritenuti tradizionalmente “disordinati” in materia di morale sessuale, a partire da quelli omosessuali, vi invito a procedere con ordine e a criticare nel modo più serio che potete, l'impostazione oramai accettata dal magistero e utilizzata a più riprese dalla teologia che, senza limitarsi a “ripetere” quanto affermato da Pontefici, Concili o quant'altro, cerca di rendere ragione e approfondire, il prezioso dato della fede.
Dopo avere elencato i principali argomenti che secondo voi sono da tenere come validi per tale progetto di “rivisitazione” credo che dovreste provare ad individuare nuovi principi e nuove proposte, almeno a livello generale, che potrebbero essere prese in considerazione dallo stesso magistero. In seguito si potrebbero così discutere, anche in momenti di discussione allargata a persone “esperte” in materia che riterremo significative per gli argomenti trattati.
Come consiglio vi pregherei di lasciare perdere citazioni “non necessarie” per attenervi alle argomentazioni che ovviamente potreste rilevare con l'ausilio di autori noti e non noti di qualsiasi genere. Con il mio contributo o con quello di chiunque voglia intervenire verificherete così la reale possibilità di procedere a ricercare in certe direzioni.
Adesso vi propongo (in maniera sintetica e credo abbastanza “centrata”) da quale tipo di impostazione teologica (fatta propria in qualche maniera dal Magistero) potreste cominciare a criticare, ma prima vorrei terminare con questa mia convinzione di cui potrete ovviamente fare l'uso che più credete.
In tanti anni di riflessione ed esperienza di dialogo e di confronto con tanti giovani ed adulti sono da tempo arrivato alla conclusione che il problema fondamentale oggi per noi “fedeli” è quello dell'annuncio e della trasmissione della fede. Il problema del linguaggio è sicuramente importante ma la questione principale oggi è la “latitanza” della fede. E ciò che latita non si può né annunciare, né trasmettere. L'uomo di oggi, sia in maniera cosciente che in maniera inconscia, è spesso alla ricerca di essa ma si trova alle prese con troppe categorie culturali che gli sono di ostacolo. Spesso noi abbiamo l'idea di utilizzare le stesse categorie culturali “piegando ad esse” la fede, senza cercare di mostrare l'insensatezza di tali categorie, sperando così che la fede possa essere meglio trasmessa. In questa maniera non andiamo, però molto lontani. Dobbiamo quindi avere una fede più profonda e radicata, e questa deriva senz'altro anche da un continuo confronto sia con chi la condivide che con tutti gli altri. Proprio come penso state facendo voi; a cominciare da questo blog.

Questa è la formulazione che vi propongo per la vostra critica. Ovviamente se non vi piace la possiamo migliorare insieme.

Esiste un senso ed una verità della sessualità umana, ciòè sull'essere “creati”differenziati in maschi e femmine? Si, questo senso e questa verità esistono. Questa differenza, sia sul piano fisico che su quello psicologico esiste in vista della loro complementarietà-reciprocità in un' amicizia-amore che ha nel progetto di matrimonio-famiglia (dalle caratteristiche che per ora ometto) la sua completa naturale realizzazione.
Qualsiasi “uso” della genitalità (caratteristica significativa della dimensione fisica dell'essere sessuati) che non vada a realizzare tale finalità naturale diventa di per sé disordinato e quindi moralmente illecito.
Marzio
Anonimo ha detto…
Accolgo l'invito e so bene che solo al magistero si deve obbedienza anche in ciò che non è definitivo;credo tuttavia che le sfide degli studi di genere e più in generale il cambiamento di costumi sessuali obblighino la morale cattolica ad uno sviluppo in senso più personalistico e meno biologistico che guardi più alle relazioni e meno alla natura.
Le mie erano pure esercitazioni e ipotesi :)
Vedremo come approfondire il tema!

Niccolò
Anonimo ha detto…
Benissimo! Attendo con molto interesse lo sviluppo di questo tuo/vostro/nostro impegno. La seiretà ed il rigore della critica, la voglia e lo sforzo del dialogo, il coraggio delle proposte e la discussione aperta delle stesse, credo che costituirà la filigrana di questo impegno. Giusto? Allora a presto.
Marzio

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