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Indietro di 200 anni


di Lorenzo Bianchi

Il titolo ricalca una frase pronunciata dal recentemente scomparso Car. Martini, in merito alla domanda se per caso la Chiesa fosse o meno al passo con i tempi. Tralasciando il fatto che sarebbe interessante chiedersi a quali “tempi” si riferisse l’intervistatore, è indubbio che una risposta ad una tale domanda è necessaria: quando qualcuno avanza una sfida è doveroso rispondere, senza necessariamente scendere con il piede di guerra ma giusto per chiarire la questione.

 

Partendo da una prospettiva del tutto generale, generica, è ovvio nonché doveroso ricercare sempre e comunque migliorie ed innovazioni: questo aspetto fu una delle maggiori linee guida all’interno del Concilio Vaticano II, e noi tutti in quanto cattolici non possiamo fare a meno di seguire tali indicazioni. Ma ciò si ebbe anche in tempi “antichi”: il Concilio di Trento, dagli ignoranti in materia ritenuto un “summit oscurantista”, diede invece avvio a delle importantissime riforme in ogni campo dello scibile cristiano e in tutto ciò che riguardava la Chiesa ed i suoi fedeli (dalla liturgia unificata allo studio della teologia, dalla riforma delle cariche ecclesiastiche alla risposta all’eresia protestante).

Del resto questo aspetto –l’innovazione di fronte al problema, il “problem solving”- è alla base di qualunque procedimento sensato nell’agire umano: di fronte al porsi di situazioni sempre nuove l’ingegno umano si adopera a costruire ed elaborare soluzioni sempre migliori e semplificatrici (ES: al tempo di Abramo per ottenere la farina si schiacciavano i semi del grano tra due pietre, a mano; già al tempo degli egizi abbiamo le macine azionate dagli animali; nel medioevo prosperano i mulini ad acqua e a vento; nel XIX secolo giunge il pistone a vapore con albero a canne; oggi la dinamo; domani chissà…).

 

Tuttavia, a questo punto, non possiamo più mantenerci sul vago: fare come i moderni politici che aprono la bocca per dare aria alle corde vocali genera solo astio negli ascoltatori, inducendo un’innata antipatia e diffidenza verso tutto ciò che da loro proviene. Per evitare di fare la stessa fine, è necessario scendere nei particolari, sporcarsi le mani con il reale, atteggiamento alieno alla succitata classe politica: è facile promettere posti di lavoro in più in cambio del voto, meno trovare o costruire aziende che diano occupazione una volta ottenuta la poltrona a Montecitorio.

 

Tornando a noi, si parlava di cosa effettivamente vi sia o meno da riformare nella Chiesa; la risposta on realtà è banale e per una semplice ragione: lo stesso Concilio citato sopra ha già espresso i campi in cui il mondo cattolico (e cristiano) è chiamato a ripensare se stesso, alla luce di una nuova visione del mondo. Per cui, ecco tutta una carrellata di aspetti che già allora erano di attualità (dalla riforma liturgica alla morale sessuale, dal rapporto con i cristiani non cattolici o con i credenti di altre religioni a quello con i non credenti…), ed altri nati in seguito o comunque emersi alla ribalta più recentemente (divorzio, aborto, eutanasia, internet, credenti “adulti”…): di questi però è possibile trattare avendo comunque sottotraccia il Concilio stesso, dato che come è stato detto prima le linee guida generali sono già presenti, spetta poi al singolo riuscire a destreggiarsi con esse di fronte al caso particolare.

 

Se tutto fosse finito qui però, la questione sarebbe già stata risolta da anni: data la norma, segue comportamento, ossia sarebbe bastato adeguarsi a quanto era stato espresso durante il Concilio e tutto sarebbe andato a posto da sé. Il problema è che il Concilio stesso è, per così dire, una fregatura in tal senso, benché fregatura non sia.

Mi spiego: esso è stato definito “pastorale”, non “dogmatico”, cioè non propugnatore di una chiara e precisa linea di condotta, sorta di filo teso a senso unico su cui la corrente può viaggiare a comando, bensì esso illustra sì una via ma non “chiara e distinta”, l’unica percorribile in assoluto. Per fare un esempio, è come se un esperto scalatore ci avesse indicato la parete rocciosa, ma senza illustrarci minuziosamente dove posare il piede passo dopo passo, bensì limitandosi a considerazioni generali del tipo “si scala bene così e così, occhio a non scivolare e segui le sporgenze vicine che puntano in alto per non sbagliare”.

 

Di conseguenza, come al novello alpinista spetta scoprire da sé quali sono i sassi giusti per arrivare in cima (tenendo però presente la “guida per lo scalatore provetto”, ossia il Vangelo), così a noi spetta la responsabilità di contribuire al miglioramento e al progredire della Chiesa, che poi vuole dire far progredire anche noi stessi che ne facciamo parte integrante. Ove con “noi” intendo chi è battezzato, che crede “in Dio Padre onnipotente…” e si sforza di seguire qual che è scritto nel Vangelo e nel CCC (se per caso vi fossero dei perplessi relativamente a tale definizione, sappiate che ne tratterò in seguito nel caso servisse).

 

Ancora una volta potremmo considerare chiusi i lavori, e sempre ci sbaglieremmo: infatti, come ci ha testimoniato la cattiva teologia del ‘900 (non intendo però che la teologia novecentesca sia cattiva in toto), non basta seguire la “guida per lo scalatore provetto” per raggiungere sani e salvi la vetta, visto che pure quella si presta ad interpretazioni strampalate ed erronee se non si sa come leggerla. Ecco quindi brutte copie di Messner prendere a zizzagare sul costone roccioso, aggrappandosi volentieri ai facili spuntoni del politicamente corretto, del mettere tra parentesi ciò che si è, ed altre insidie del genere che sul più bello si staccano regolarmente dal monte, provocando estenuante lavoro ai soccorritori (i quali, pazienti, si attardano nei confessionali, consci che le ruzzolate non sono mai e poi mai mortali e pregiudicanti una corretta salita).

 

A questo punto sembra permanere il problema: se la “guida” di per sé pare non bastare, che fare? In realtà essa basta e avanza, tanto che su di essa è stato costruito un apposito commentario per i più sbadati (il Catechismo): non a caso il protagonista afferma a chiare lettere “Io sono la Via, la Verità e la Vita”, parole grosse da non prendere con leggerezza. Se così è, infatti, tutto ciò che Egli ha detto e fatto deve essere linea guida ed esempio per il nostro agire, anche magari come semplice spunto per il problem solving che attualmente abbiamo davanti. E se per caso qualche cosa non lo capiamo, don’t panic: era stato previsto, non a caso Lui stesso nominò tale Simone detto da allora Pietro -e successori- come suo rappresentante ufficiale.

 

Ah, una curiosità: questa guida non esiste da 200 anni, ma da 2000. Vecchiume da gettare alle ortiche (cosa che comunque il Card. Martini NON avrebbe mai accettato, ci tengo a precisarlo per evitare di fomentare false polemiche)? Non direi proprio.

 

Seguiranno comunque altri post analizzanti questioni più specifiche (fermo restando ciò di cui sopra), dato che non ho l’abitudine di aprire la bocca a vanvera.

 

(Lorenzo Bianchi)

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