di Lorenzo
Banducci
Stanotte ho fatto un sogno. Ho sognato di vivere in
un paese normale.
In questo fantasioso e assurdo paese c’era rispetto
fra i poteri dello stato e le sentenze della magistratura venivano rispettate
senza discussioni, onde evitare che si generassero squilibri nella complessa
architettura istituzionale e sfiducia da parte dei cittadini.
Nel paese che ho sognato si discuteva di libertà, di
diritti, di uguaglianza e di solidarietà.
Nel paese che ho sognato gli immigrati erano considerati
una ricchezza e non un fardello da abbandonare senza vita su una spiaggia della
Sicilia orientale (dove peraltro ho avuto il piacere di trascorrere alcune
giornate estive).
Nel paese che ho sognato il lavoro era il cardine su
cui si fondavano tutte le politiche, perché grazie ad esso la persona acquisiva una sua propria dignità e uno scopo da condurre per tutta la vita.
Nel paese che ho sognato l’istruzione, la ricerca
scientifica, la sanità, l’agricoltura, il trasporto pubblico, la cultura e lo
sport non erano considerate semplici voci di spesa, ma veri e propri spazi in
cui investire le risorse migliori e le idee più innovative per costruire un
futuro ricco e prosperoso.
Nel paese che ho sognato le tasse erano direttamente
proporzionali alla qualità dei servizi offerti e si preferiva tassare le grosse
rendite finanziarie e i beni immobili rispetto al lavoro.
Nel paese che ho sognato lo sviluppo era pensato a
misura d’uomo e nel rispetto dell’ambiente.
Nel paese che ho sognato la criminalità era
combattuta da tutti i livelli dello stato senza concedere ad essa sponde o
accordi.
Nel paese che ho sognato si lavorava per la pace e
per la concordia fra i popoli e le nazioni.
Nel paese che ho sognato si combatteva con tutte le forze per garantire stabilità e forza all’Unione Europea: unica
istituzione (dall'Impero Romano) in grado di garantire la pace in Europa per un periodo tanto lungo.
Nel paese che ho sognato si discuteva senza paura e
senza preconcetti di sorta su temi etici e bioetici, ricercando sempre di
rispettare le opinioni e la coscienza di tutti.
Nel paese in cui sono nato e vivo, invece, si è
smesso, salvo che in rarissime occasioni, di discutere delle suddetti questioni
riassumibili poi in una sola parola: futuro. Da vent’anni rimaniamo avvinghiati
alle sorti di un unico cittadino, la cui storia personale annebbia le nostre
vite e ci rende tristemente sudditi e succubi.
Ci è richiesto ancora una volta
uno sforzo immane per superare questa crisi divenuta profonda e radicata in
diversi settori del nostro paese. Per uscirne l’Italia, il mio paese, ha
bisogno delle sue forze migliori. Non perdiamo la speranza almeno noi giovani.
A noi spetterà il duro compito di cucire le ferite che dividono l’Italia intera
fra italiani e immigrati, fra destra e sinistra, fra nord e sud, fra
berlusconiani e anti-berlusconiani, fra laicisti e credenti e far sì che
prevalga uno spirito diverso in grado di risollevare le nostre sorti e cambiare
le nostre vite.
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