Pare che la vendetta
non sia lecita.
Infatti: 1.
Chiunque usurpa un compito di Dio commette peccato. Ma la vendetta è un compito
di Dio, secondo quel testo del Deuteronomio [32, 35]: «A me la vendetta e il
castigo». Quindi qualsiasi vendetta è illecita.
2. La persona di cui ci si vendica non è tollerata. Invece i
malvagi vanno tollerati, poiché nel commentare il passo del Cantico [2, 2]: «Come
un giglio tra le spine», la
Glossa [ord.] afferma: «Non è veramente buono chi non è stato
capace di sopportare i malvagi». Quindi di costoro non ci si deve vendicare.
3. La vendetta si compie con dei castighi, i quali causano
il timore servile. Ora, la nuova legge non è una legge di timore, ma di amore,
come dice S. Agostino [Contra Adamant. 17]. Perciò almeno nel nuovo Testamento
la vendetta non è lecita.
4. Si dice che si vendica colui che si rifà delle ingiurie
subite. Ora, neppure al giudice è lecito punire quelli che lo offendono
personalmente, stando alle parole del Crisostomo [Op. imp. in Mt, hom. 5]: «Impariamo
dall‘esempio di Cristo a sopportare con magnanimità le ingiurie fatte a noi, e
a non sopportare neppure l‘ombra delle ingiurie fatte a Dio». Quindi la
vendetta è illecita.
5. Il peccato di un popolo è più dannoso del peccato
individuale; nella Scrittura [Sir 26, 5] infatti si legge: «Tre cose teme il
mio cuore: una calunnia diffusa in città e un tumulto di popolo». Ma per il
peccato del popolo non è lecito fare vendetta, poiché si legge nel Vangelo [Mt
13, 29 s.]: «Lasciateli crescere insieme, affinché non sradichiate anche il
grano»; e la Glossa
[ord.] spiega che «il popolo, come anche il principe, non deve mai essere
scomunicato ». Quindi è proibita anche ogni altra vendetta.
In contrario: Da
Dio non possiamo attendere che cose buone e lecite. Ma da Dio dobbiamo
attendere la vendetta dei nostri nemici, poiché nel Vangelo [Lc 18, 7] si
legge: «Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso
di lui?», come per dire: «La farà certamente». Quindi di per sé la vendetta non
è cattiva e illecita.
Dimostrazione: La
vendetta viene compiuta mediante un castigo inflitto al colpevole. Perciò nella
vendetta si deve considerare quale sia l‘intenzione di chi la compie. Se
infatti tale intenzione mira principalmente al male del colpevole, per
trovarvi la propria soddisfazione, la vendetta è assolutamente illecita:
poiché rallegrarsi del male altrui è proprio dell‘odio, il quale è
incompatibile con la carità, che deve estendersi a tutti. E uno non è
scusato per il fatto che desidera del male a una persona colpevole di averne
procurato ingiustamente a lui: come non si è autorizzati a odiare chi ci
odia. Infatti uno non può peccare contro altre persone per il fatto che queste
hanno prima peccato contro di lui; poiché ciò è farsi vincere dal male, mentre
l‘Apostolo [Rm 12, 21] ammonisce: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con
il bene il male». - Se invece l‘intenzione di chi aspira alla vendetta
tende principalmente a un bene al quale si giunge mediante la punizione dei
colpevoli, p. es. al loro emendamento, o almeno alla repressione del male per
la pubblica quiete, oppure alla tutela della giustizia e all‘onore di Dio, allora
la vendetta può essere lecita, purché siano rispettate le altre debite
circostanze.
Analisi delle
obiezioni: 1. Chi esercita la vendetta sui malvagi nei limiti
delle proprie facoltà non usurpa i diritti di Dio, ma si serve dei poteri che
ha ricevuto da lui: infatti S. Paolo [Rm 13, 4] afferma che l‘autorità civile «è
al servizio di Dio, e vindice dell‘ira divina per chi fa il male». Se invece
uno esercita la vendetta senza rispettare l‘ordine costituito da Dio, allora
usurpa i diritti di Dio, e quindi commette peccato.
2. I malvagi sono tollerati dai buoni in quanto questi nei
limiti del dovere ne sopportano le ingiurie personali; i buoni però non
tollerano le ingiurie commesse contro Dio e il prossimo. Infatti il Crisostomo
[l. cit. nell‘ob. 4] afferma: «La pazienza nel sopportare le ingiurie personali
è una cosa lodevole; ma sopportare le ingiurie verso Dio è il colmo
dell‘empietà».
3. La legge evangelica è una legge di amore. Perciò non si
deve incutere timore con i castighi a coloro che compiono il bene per amore, e
che soli propriamente appartengono al Vangelo, ma soltanto a quelli che
non sono portati al bene per amore, e che sebbene appartengano alla Chiesa
perché accrescono il «numero» dei fedeli, tuttavia non ne accrescono il
«merito» [cf. Agost., In Ioh. ev. tract. 61].
4. Le ingiurie personali talora ricadono su Dio e sulla
Chiesa: e allora si è tenuti a vendicarle.Come è evidente nel caso di Elia
[2 Re 1, 9 ss.], il quale fece discendere il fuoco su coloro che erano
venuti a catturarlo. E anche Eliseo [2 Re 2, 23 s.] lanciò la maledizione sui
fanciulli che lo schernivano. Il Papa S. Silvestro poi [Decr. di Graz. 2, 23,
4, 30] scomunicò coloro che lo avevano mandato in esilio.Se invece l‘ingiuria
ricade esclusivamente sulla propria persona, allora essa va tollerata con
pazienza, se la cosa può giovare. Come spiega infatti S. Agostino [De
serm. Dom. in monte 1, cc. 19, 20], queste norme sulla pazienza sono da
intendersi come predisposizioni d‘animo in caso di bisogno. 5. Quando è tutto
il popolo che pecca, la vendetta va fatta su tutto il popolo, come furono
sommersi nel mar Rosso gli Egiziani che perseguitavano i figli d‘Israele [Es
14, 22 ss.], e come furono colpiti in blocco gli abitanti di Sodoma [Gen 19,
25]; oppure va colpito un numero rilevante di persone, come avvenne nel castigo
inflitto per l‘adorazione del vitello d‘oro [Es 32, 27 s.]. - Talora invece,
se si spera l‘emendamento di molti, la severità della vendetta deve colpire
pochi esponenti, la cui punizione incuta timore negli altri: come si legge nel
libro dei Numeri [25, 4] che il Signore comandò di impiccare i capi per il
peccato di tutto il popolo. Se invece il popolo non ha peccato in blocco, ma in
parte, allora, quando i colpevoli possono essere riconosciuti, la vendetta va
esercitata su di essi: se però il castigo è possibile senza pregiudizio degli
altri. Altrimenti si deve perdonare al popolo rinunciando alla severità. E lo
stesso si dica per il principe che rappresenta il popolo. Infatti il suo
peccato va tollerato, se non può essere punito senza scandalo dei sudditi: a
meno che non sia tale da nuocere al popolo, nell‘ordine spirituale o temporale,
più dello scandalo che potrebbe nascere dalla punizione.
Tommaso D'Aquino,Summa theologiae
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