di Jacques Noyer
in “www.temoignagechretien.fr”
del 19 febbraio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org).
Pur ammirando il gesto di
rinuncia di Benedetto XVI, Jacques Noyer, vescovo emerito di Amiens, presenta
un primo bilancio in chiaroscuro del pontificato che giunge al termine.
Certo, c'è il corpo che non
risponde più, la fatica che paralizza, la vecchiaia che incombe... Mi sembra
tuttavia che non sia irrispettoso nei confronti di Benedetto XVI ritenere che
nella sua decisione abbia pesato anche la sensazione di fallimento personale da
lui probabilmente provata.
Anche chi non gli è
intimamente vicino, può immaginare che il suo gesto di rinuncia si spieghi, in parte
almeno, con la consapevolezza dell'inefficacia della sua politica personale.
Ad esempio, sappiamo che fin
dall'inizio del suo pontificato ha cercato di riconciliare la nebulosa tradizionalista
il cui allontanamento gli era particolarmente doloroso. Ha moltiplicato le
iniziative. Ha fatto concessioni. Ha offerto privilegi a chi tornava all'ovile.
Ancora ultimamente ha rilanciato il dialogo che sembrava finito in un vicolo
cieco. Ma senza risultati! Questa impressione di essere entrato in un
mercanteggiamento impossibile dev'essere stata difficile da vivere. Ha ceduto
su alcune posizioni, e l'avversario se ne è sentito incoraggiato. Ha già dato molto,
e deve dare ancora di più. Alla fine, dovrebbe concedere tutto e rinunciare al
concilio. Come uscire da questa impasse?
Si è sentito in dovere di far
luce sugli oscuri traffici delle finanze vaticane. Ha dato incarichi a uomini
di fiducia per modificare le abitudini e ottenere la trasparenza necessaria. La
resistenza degli uomini del segreto è stata così grande che non gli ha permesso
di ottenere nulla. Gli intrighi di palazzo sono arrivati fin nei suoi
appartamenti privati. Solo e impotente, non poteva evitare che le banche
internazionali rifiutassero di lavorare col Vaticano su una base di fiducia e
lo trattassero invece come un oscuro rifugio di truffatori. Giovanni Paolo II
aveva rinunciato a riformare la curia.
Benedetto XVI, in questo
tentativo, si è scontrato contro ostacoli insormontabili.
Ha coraggiosamente voluto
affrontare la piaga troppo a lungo nascosta della pedofilia. Ha creduto, facendo
risalire tutto a Roma, di risolvere il problema all'interno della Chiesa come
spetta ad una “società perfetta”. Ahimè, ha constatato ben presto che era proprio
quel principio che faceva scandalo. È stato costretto a rinunciarvi e ha dovuto
chiedere ai vescovi di consegnare i colpevoli alle autorità locali.
I suoi predecessori avevano
perso la Stato Pontificio, avevano dovuto accettare la separazione della Chiesa
dagli Stati laici, a lui è toccato rinunciare al mito della Società perfetta,
cioè di una Chiesa che sfugge al potere delle nazioni dove è dislocata.
Si può anche immaginare
l'umiliazione che avrà provato quando certe incaute battute da
intellettuale hanno
provocato sommovimenti tragici come le reazioni dei popoli musulmani alle dichiarazioni
di Ratisbona: il professore universitario aveva dimenticato di essere papa! Ed
eccolo costretto ad andare a pregare alla Moschea blu di Istanbul, sicuramente
più lontano di quanto immaginasse.
Deve anche entrare nella
dinamica del movimento ecumenico, nello sforzo di buone relazioni con l'ebraismo,
nello spirito della preghiera di Assisi. Si sente che è prudente, esitante.
Subisce gli avvenimenti, non è lui a dirigerli. Un passo che potrebbe apparire come
una vittoria, lo vive come una sconfitta.
È più difficile immaginare
ciò che ha provato nella difesa di una dottrina eterna gettata nel vortice della
modernità. In una simile lotta, ogni successo è provvisorio e molti i
fallimenti. Deve difendere il dogma contro le critiche dello spirito moderno.
Deve difendere la morale naturale all'interno di un'evoluzione dei costumi
senza precedenti. Deve difendere tradizioni antiche diventate obsolete agli
occhi degli uomini d'oggi.
Un combattente come Giovanni
Paolo II aveva il gusto della “battaglia” e non si dichiarava mai sconfitto. In
simili circostanze, la finezza dell'intelligenza di Benedetto XVI diventa
debolezza. Le obiezioni degli avversari colpiscono lui certamente più di altri
militanti corazzati di certezze. La fede che lo abita non sopprime il peso
della Ragione.
Dei confratelli vescovi mi
dicevano quale sofferenza avevano letto sul suo volto quando gli avevano parlato
delle difficoltà pastorali in cui certe regole del diritto canonico li
costringevano. Con la testa tra le mani, soffriva di non poter dare risposte.
Sta a voi, sul campo, diceva loro, trovare un cammino per cui l'osservanza
della legge non impedisca l'annuncio del vangelo. I vescovi sono stati colpiti
da un papa, debole quanto loro di fronte alle contraddizioni della loro
pastorale. Chissà in quali insonnie si sarà prolungato questo bisogno di
coerenza!
Questi fallimenti avrebbero
potuto causare in anime meno sante lo scoraggiamento totale, una passività
rassegnata. Benedetto XVI vi ha invece visto l'occasione di un sussulto di
speranza: riconosce il suo fallimento. Sa di essere troppo malandato per ricominciare
in un altro modo. Lascia il posto a qualcun altro. Se fosse stato certo delle
battaglie condotte, avrebbe preparato un successore. Sente, al contrario, a mio
avviso, nel segreto del suo cuore, che un papa nuovo dovrà procedere in modo
diverso.
Quando fu eletto papa, non
gli è stata lasciata scelta: doveva continuare l'opera del suo predecessore e
ha faticato a trovare un suo stile. Al contrario, lui, oggi, chiede che si
tentino strade differenti.
Possiamo sperare che una
figura nuova definisca una nuova strategia. Possiamo aspettarci un papa che
abbia qualità e caratteristiche diverse da chi lo ha preceduto. Soprattutto
possiamo augurarci un papa che faccia circolare la parola in quel grande corpo
che è la Chiesa e che, a questo fine, faccia sì che le decisioni non siano più
prese solo a livello centrale. Che dia fiducia al Popolo di Dio, invece di
esserne il Guardiano. Che tenti il nuovo là dove l'antico è morto.
Questa umiltà è certamente
un atto di speranza: un altro farà meglio di me, proclama. Prego che non crolli
sotto ciò che lui chiama i suoi difetti. La speranza non lo abbandonerà.
Nessuno pensa oggi di
rimproverargli di aver fatto ciò che ha ritenuto giusto fare. Si può soloammirare
che abbia osato aprire la porta alle iniziative di uno sconosciuto che lo
Spirito Santo e i cardinali di tutto il mondo stanno già preparandoci.
*Jacques Noyer è
vescovo emerito di Amiens, ed ex parroco di Touquet-Paris-Plage. È anche stato professore
di filosofia.
Commenti
Questo gesto ha un forte valore ecclesiologico, perchè il Papa ridiventa un vescovo tra i vescovi, permettendo anche ai suoi successori comportamenti diversi.