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"La rivoluzione è come le figlie del re Pelia, fa a pezzi l’umanità per ringiovanirla"



di Niccolò Bonetti
Domani in Francia si ricorda la presa della Bastiglia da parte dei cittadini parigini che dette inizio alla Rivoluzione francese.
Non voglio qui affrontare il tema del rapporto fra Chiesa e rivoluzione francese né quello più generale fra modernità e cattolicesimo.
Vorrei concentrarmi su una delle figure più controverse del periodo rivoluzionario cioè Maximilien de Robespierre.
Non mi interessa difendere il suo operato o demonizzarlo.
Il punto su cui vorrei riflettere è un altro.
Robespierre non era solo un tiranno,un sanguinario,un massacratore, un utopista.
Era anche molti altri aspetti che molto difficilmente nella storia successiva si troveranno abbinate ad un uomo “di sinistra”.
Era un moralista e credeva ardentemente in un Dio,per quanto non fosse quest'ultimo il Dio cristiano.

Come dice Camus ,Dio non è completamente morto per i giacobini,essi mantengono ancora l'essere supremo sia pure ridotto a principio morale.
In seguito con il marxismo ogni riferimento metafisico o morale che trascenda la storia e la sua dialettica fra le classi sarà abbandonato.
Da regicidi i progressisti si trasformeranno in deicidi.
Come scrive Camus “Alla rivoluzione giacobina che cercava d' instaurare la religione della virtù, per fondare su di essa l' unità, succedono le rivoluzioni ciniche, siano esse di destra o di sinistra, che tenteranno di conquistare l' unità del mondo per fondare finalmente la religione dell'uomo. Tutto ciò che apparteneva a Dio sarà reso a Cesare”.
Robespierre non vuole semplicemente un cambiamento politico o sociale,vuole una profonda rigenerazione religiosa,spirituale e morale del popolo francese:
Abbandoniamo i preti e torniamo a Dio. Costruiamo la moralità su fondamenta sacre ed eterne; ispiriamo nell'uomo quel rispetto religioso per l'uomo, quel profondo senso del dovere, che è l'unica garanzia della felicità sociale; nutriamo in lui questo sentimento attraverso tutte le nostre istituzioni e facciamo sì che l'istruzione pubblica sia diretta verso questo fine. “
Religione e moralità per Robespierre sono inconciliabili con il dispotismo:
Noi auspichiamo un ordine di cose in cui le passioni basse e crudeli siano incatenate, e quelle salutari e generose risvegliate dalle leggi... Auspichiamo che nella nostra nazione la moralità sostituisca l'egoismo, la probità il falso onore, i principi sostituiscano gli usi, i doveri le buone maniere, l'impero della ragione sostituisca la tirannia della moda, il disprezzo del vizio quello della sfortuna, l'orgoglio l'insolenza, la magnanimità la vanità, l'amore della gloria quello del denaro..., il merito l'intrigo... Nel sistema instaurato con la rivoluzione francese tutto ciò che è immorale è impolitico, tutto ciò che è atto a corrompere è controrivoluzionario. Le debolezze, i vizi, i pregiudizi sono la strada della monarchia. "
Il regno della virtù si edifica sulla base di una fede religiosa in un Essere supremo, non certamente sul fanatismo cattolico più retrivo e meno che mai sull'ateismo e sulla scristianizzazione forzata del culto.
Forte è la polemica di Robespierre,già presente in Voltaire,contro l'ateismo ritenuto incompatibile con la Repubblica:
Consultate solo il bene della patria e gli interessi dell’umanità. Ogni istituzione, ogni dottrina che consola e che innalza le anime dev’essere accolta. Respingete tutte quelle che tendono a degradarla ed a corromperla. Risvegliate, esaltate tutti i sentimenti generosi e tutte le grandi idee morali che si sono volute spegnere; ravvicinate con il fascino dell’amicizia e con il legame della virtù gli uomini che si è voluto dividere.
E chi dunque ti ha dato la missione di annunciare al popolo che la divinità non esiste, o tu, che ti appassioni per questa dottrina arida e che non ti appassionasti mai per la patria?
Che vantaggio trovi nel persuadere l’uomo che una forza cieca presiede ai suoi destini e colpisce a caso il crimine e la virtù; che la sua anima non è che un soffio leggero che si spegne alla porta della tomba? L’idea del suo nulla gli ispirerà forse sentimenti più puri e più elevati, che non quella della sua immortalità? Gli ispirerà forse più rispetto per i suoi simili e per se stesso, più devozione per la patria, più audacia nello sfidare il tiranno, più disprezzo per la morte o per la voluttà?
Voi che rimpiangete un amico virtuoso, non preferite forse pensare che la parte migliore di lui sia sfuggita al trapasso? Voi, che piangete sulla bara di un figlio o di una sposa, siete forse consolata da colui che vi dice che di loro non resta più che vile polvere?
Infelici che spirate sotto i colpi di un assassino, il vostro ultimo sospiro è un appello alla giustizia eterna! L’innocenza sul patibolo fa impallidire il tiranno sul suo carro di trionfo: avrebbe essa forse questo ascendente se la tomba uguagliasse l’oppressore e l’oppresso?
Disgraziato sofista! Con quale diritto vieni tu a strappare all’innocente lo scettro della ragione per rimetterlo nelle mani del crimine, a gettare un velo funebre sulla natura, ad esasperare la sfortuna, a rallegrare il vizio, a rattristare la virtù, a degradare l’umanità?
Più un uomo è dotato di sensibilità e di ingegno, più si lega alle idee che ingrandiscono il suo essere ed innalzano il suo cuore; e la dottrina degli uomini di questa tempra diviene quella dell’universo.
E come! Quelle idee non sarebbero forse verità? Anche se ciò fosse, io non arrivo tuttavia a comprendere come la natura avrebbe potuto suggerire all’uomo finzioni più utili di qualsiasi realtà; e se l’esistenza di Dio e se l’immortalità dell’anima fossero anche solo dei sogni, tuttavia essi sarebbero ancora la più bella di tutte le concezioni dello spirito umano.
Non ho bisogno di osservare che non si tratta qui di fare il processo ad una opinione filosofica in particolare, né di contestare che il tale filosofo possa essere virtuoso, quali che siano le sue opinioni e spesso a dispetto di lui stesso, in forza di un carattere felice o di una ragione superiore; si tratta di considerare solamente l’ateismo come fatto nazionale e legato ad un sistema di cospirazione contro la Repubblica.“.
Non c'è dubbio che durante il Terrore furono commessi gravi eccessi e che il suo amore per la virtù lo rese responsabile di tanti delitti.
Ma almeno R. si rendeva responsabile di delitti mosso dal desiderio di affermare la libertà e l'uguaglianza,non dagli interessi di una classe sociale o dalla presunta necessità della storia intesa seconda un'ideologia politica.
Gli ideali politici di Robespierre erano estremamente coraggiosi e audaci per l'epoca:suffragio universale,diritto al lavoro,abolizione della pena di morte,abolizione della schiavitù ,contrarietà ad ogni forma di guerra,diritto al'insurrezione.
Tutto ciò inserito in una visione profondamente religiosa.
In Robespierre insomma si vede un sincero,sia pure insanguinato,amore per la virtù e per la libertà.
E' espressione di ciò, il discorso che tenne alla Convenzione, l’8 termidoro contro i deputati ,a suo dire, colpevoli di corruzione:
Popolo, ricordati che se, nella Repubblica, la giustizia non regna con dominio assoluto e se quella parola non significa amore dell’uguaglianza e della patria, allora la libertà è solo un nome vano. Popolo, tu che sei temuto, adulato e disprezzato; tu, sovrano riconosciuto che sei trattato sempre come schiavo, ricordati che, ovunque la giustizia non regna, a regnare sono le passioni dei magistrati; e che il popolo ha allora solo cambiato le sue catene, non i suoi destini!
Ricordati che esiste nel tuo seno una lega di furfanti che lotta contro la virtù pubblica; che ha più influenza di te sui tuoi affari, che ti teme e ti adula quando sei in massa, ma ti proscrive individualmente nella persona di tutti i buoni cittadini.
Ricordati che, lungi dal sacrificare questo pugno di furfanti al tuo bene, i tuoi nemici vogliono sacrificare te a quel pugno di furfanti, che sono gli autori di tutti i nostri mali e i soli ostacoli alla pubblica prosperità.
Sappi che ogni uomo che si alzerà a difendere la causa e la morale pubblica sarà schiacciato dagli insulti e proscritto dai furfanti. Sappi che ogni amico della libertà sarà sempre posto in mezzo tra un dovere ed una calunnia; e che chi non potrà essere accusato di tradimento sarà accusato di ambizione; che l’influenza della probità e dei princìpi sarà posta a confronto con la forza della tirannia e con la violenza delle fazioni; che la tua fiducia e la tua stima saranno titoli di proscrizione per i tuoi amici; che il grido del patriottismo oppresso sarà chiamato grido di sedizione, e che, non osando attaccarti in massa, ti si proscriverà in privato nella persona di tutti i buoni cittadini, finché gli ambiziosi non avranno organizzato la loro tirannia. Tale è infatti il dominio dei tiranni armati contro di noi, tale è l’influenza della loro lega con tutti gli uomini corrotti, sempre pronti a servirli.
Così dunque, gli scellerati ci impongono la legge di tradire il popolo, a pena di essere chiamati traditori. Sottoscriveremo forse questa legge? No: difenderemo il popolo a rischio di venire considerati tali. Che essi corrano al patibolo per la strada del crimine e noi per quella della virtù.
Diremo che tutto va bene? Continueremo a lodare per abitudine o per pratica ciò che è male? Ma facendo così rovineremo la patria.
Oppure riveleremo gli abusi nascosti? Denunceremo i traditori? Ci diranno allora che sovvertiamo le autorità costituite; che vogliamo acquistare un’influenza personale a loro spese.
Che cosa faremo dunque? Il nostro dovere. Che cosa si può mai obiettare a colui che vuol dire la verità e che consente di morire per essa?”
Due giorni Robespierre finiva sulla ghigliottina vittima di quel Terrore da lui stesso iniziato.
Io credo che in Robespierre ci fosse una profonda passione politica,una sincera fede religiosa e un grande amore per la libertà.
Tuttavia i suoi nobili ideali ricoprirono di sangue la Francia.
I suoi ideali erano gelidi,spietati,inumani,implacabili e astratti e non potevano che portare ad un bagno di sangue.
Un popolo non si rende virtuoso versando un fiume di sangue.
La virtù non si impone dall'alto e con la forza.
L'educazione alla virtù avviene lentamente e progressivamente (con non poche difficoltà)lungo i decenni e i secoli attraverso la famiglia,la comunità,lo stato.
Non si può cambiare un popolo,non lo si può educare in pochi anni alla libertà,all'uguaglianza e alla fraternità per di più con il terrore e la paura.
Quando si tenta di trasporre un 'ideale immediatamente nella realtà storica e sociale ,senza mediazioni,compromessi,negoziazioni o tolleranza di “mali minori” si ha sempre ed inevitabilmente il massacro.
Forse più che amare sterili,vuote e inquietanti virtù bisogna amare l'uomo ,nelle sue manchevolezze,nei suoi peccati e nelle sue debolezze.
Solo mettendo l'umanità ,intesa nel senso integrale del termine,al centro e non vani ideali moralistici o spiritualistici si potrà promuovere un autentico progresso morale e sociale di un popolo.
Ma almeno Robespierre si rese colpevole di migliaia di morti ,non in nome del trionfo di una classe sull'altra come i comunisti o per l'affermazione violenta della propria nazione sopra le altre come fanno le destre di ogni tempo e latitudine,ma in nome di principi altissimi quali la libertà, l'uguaglianza e la fraternità.
Concludo con un brano di uno storico francese Guillemin che nel suo “Robespierre politico e mistico” scrive :
Robespierre non è uno di quelli che, pur credendo in Dio, pensano che questo «credo» non impegni a niente, seppur non si riduce a semplice forma, ad un innocuo omaggio ala tradizione, all'osservanza di riti spogliati del loro significato. È invece uno di quelli per i quali questa fede, quando è, come la sua, sincera e ardente, comporta un impegno di tutto l'essere. Robespierre crede in Dio «con tutta la sua anima, con tutta la sua vita» (Bernanos). Ciò che scriverà un giorno François Mauriac in una pagina del suo diario, Robespierre avrebbe potuto scriverlo nei medesimi termini; io sono, scriveva Mauriac, immerso nella politica del mio paese (e schierato, non senza coraggio), un uomo«impegnato nei problemi di quaggiù per ragioni di lassù». Robespierre è un uomo che ha fatto in segreto, e fors'anche inconsciamente, un patto con Dio, che ha dato la sua parola, pronunciato nel suo cuore, senza aver bisogno di parole, non so quale imprescrittibile giuramento. La sua volontà aderisce interamente alla sollecitazione della sua natura; è quello che chiama «l'istinto sacro» che vive in lui, indistruttibile. In un mondo del quale ha subito in misura crescente l'opacità, l'aridità, in un mondo cieco e sordo, dedalo notturno, insieme sovraffollato e vuoto in cui la creatura, a sua insaputa, muore d'ignoranza, di separazione, di cattiveria, Maximilien Robespierre si sente investito di una missione. La sua vocazione - che gli brucia in fondo al cuore come una fiamma -, è quella di dare un significato alla Storia, restituendo all'uomo (come Jean-Jacques ha tentato di fare con i suoi scritti, e lui tenta di fare con i suoi atti) la sua «dignità». Questa dignità - pegno di salvezza e unica promessa di felicità futura - risiede nella scoperta della parentela che ha con la sua Origine, cioè nella accoglienza fata a Dio. Un cuore che si apre a Dio è conquistato per il bene pubblico. Esso si integra alla collettività per far sì che essa si unisca in una collaborazione fraterna per mezzo di ciò che ogni creatura ha, al tempo stesso, di più intimo e di più simile a ogni altra. Ricordatevi, sulla città futura, i commoventi «vogliamo» messi in fila da Maximilien il 5 febbraio 1794; la società abitabile, dove regnerà la giustizia, dove la generosità si sostituirà all'avarizia, il dovere alle convenienze, dove le persone buone sostituiranno la buona società, non ha alcuna possibilità di nascere quaggiù s i suoi membri non hanno ritrovato il senso del divino. Il ruolo assegnato da Robespierre è, prima di tutto, quello di un testimone. Ha mai creduto possibile, concepibile, realizzabile quella trasfigurazione degli uomini che è, in fondo, il suo scopo? Un giorno - era il 3 dicembre 1792 - ha guardato in faccia e indicato col dito questa «contraddizione» invincibile, che fa, dice, la nostra disgrazia, tra «la depravazione dei nostri spiriti» e «l'energia di carattere che suppone il governo libero al quale osiamo ambire»; «per formare le nostre istituzioni politiche, sarebbero necessari i costumi che queste stesse istituzioni dovrebbero darci». Eco immediata, nel pensiero di Robespierre, del Contratto sociale nel quale Jean-Jacques ha visto fin troppo bene l'insolubile nodo del dramma; per riuscire nella costruzione di uno Stato giusto, «bisognerebbe che gli uomini fossero, prima delle leggi, ciò che devono divenire grazie a loro». Robespierre vuole una Repubblica «nella quale tutte le anime si ingrandiranno», e dovrebbero già esser grandi perché si attui il movimento che consentirà alla razza umana di «adempiere al suo destino».”

(Niccolò Bonetti)

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