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La teologia trinitaria alla prova dell'epistemologia femminista


Essenza di genere o persona di genere?

Se da una parte dobbiamo rinunciare a parlare della Trinità immanente, possiamo però descrivere i suoi rapporti con noi, uomini o donne e la cui identità personale viene determinata anche dalle relazioni a e dai ruoli che abbiamo.
Qui si inserisce una riflessione sull'identità di genere che riguarda da vicino anche le categorie con cui si è elaborato il dogma della Trinità: ousia, prosopon, hypostasis, (physis). Sappiamo già la difficoltà di tradurre in latino ciascuno di questi termini (si ricorderà ad esempio che Girolamo non capiva come i greci potessero accettare la formula treis hypostaseis).
Come è stato già detto, i femminismi presentano una gamma di tendenze teoretiche anche molto differenti tra loro. In linea di principio possiamo parlare di due tendenze estreme ed opposte: potremmo chiamare essenzialismo la linea che crede in una essenza del maschile o del femminile che informerebbe l'identità personale degli uomini e delle donne a livello «ontologico» (e qui l'identità personale e i suoi ruoli sarebbero determinati essenzialmente dalla struttura anatomica dei corpi, cioè dal sex).
Potremmo chiamare decostruzionista la tendenza che ritiene l'identità il frutto di una autodeterminazione totale di sé, al punto che il genere potrebbe essere del tutto staccato dal sex (una sorta di ruolo senza essenza). Nel primo caso -- stando ai termini trinitari tradizionali -- avremmo una hypostasisdeterminata da o coincidente con l'ousia; nel secondo un hypostasis determinata e/o coincidente con il prosopon
Abbiamo insomma da una parte il discorso essenzialista che implica un concetto di natura (ousia) inteso inteso in senso staticcizzato e che sarebbe prescrittivo nei confronti dell'identità (hypostasis) e dei ruoli (prosopa); dall'altra un concetto di individuo che suppone un dualismo tra cultura e natura, essenza e apparenza, sulla base di una idea di soggettività personale (hypostasis) assolutamente individualista e performativa.
A mio parere la nozione di essenza intesa in modo aristotelico nell'essenzialismo e l'idea di individuo inteso in senso post-moderno nella Gender Theory della Butler risultano entrambe incapaci di reggere una riflessione sull'identità personale dei generi maschile e femminile. Ciascuno è tuttavia capace di dire una parziale verità sulla persona: essa è determinata (ma come e quanto?) dalla sua sessuazione corporea e tuttavia essa va anche «costruendosi» tramite le sue esperienze e i suoi ruoli.
Propongo qui alcuni punti della dottrina della trinità che possono venire in aiuto per una riflessione sull'identità di genere, riflessione che è ancora nella sua infanzia ed è di là dal poter vedere un orizzonte di soluzione.
Le differenze personali in Dio sono la cifra della relazione, spiegava Agostino nelle belle pagine del trin. V, 5, 6-6, 7;8, 9. Questa idea è diventata classica nella formulazione di Anselmo: «omnia unum sunt in divinis, ubi non obviat aliqua relationis oppositio» (Proc. Sp. S., 1) recepita dal Concilio di Firenze (Decretum pro Iacobitis, DS 1330).
Nel Dio trinitario la differenza e l'alterità sono parti costitutive della sua vita interna (la dinamica delle Relazioni).
La definizione di persona secondo Boezio «naturae rationalis individua substantia», non potrebbe essere accettata come significato del termine persona in trinitaria: ne scaturirebbero tre dèi, perché tre sostanze o tre centri di volontà autodeterminantesi.
Il femminismo della differenza che vede la diversità femminile/maschile come delle essenze, non regge a questo concetto, perché le persone umane sessualmente differenziate non sono ontologicamente differenti.
D'altra parte Tertulliano, il primo ad inserire il termine persona in teologia, lo usa per escludere l'uno o l'altro ruolo(il prospon greco) che un Dio monarchiano assumerebbe in diversi momenti. Persona indica in Tertulliano un essere con relazioni sostanziali interne (cfr. Adv. Prax. 27). Questo concetto di persona esclude l'idea di personaqueer.
Quando il concetto viene sviluppato nel IV-V secolo, in relazione a Dio si affermano tre persone e una natura, mentre in relazione a Cristo una sola persona con due nature. Ed è in riferimento alla persona di Cristo che nella ep.137 Agostino usa il termine persona, volendo intendere l'essere umano singolo come inesplicabile miscela di anima e corpo. L'unità corpo-anima cioè nella persona umana è tale che non si può dire né che io sono solo il mio corpo, né che sono solo la mia anima (cfr. il «paradigma complesso», Bonaccorso).
Come nella definizione di Calcedonia si dice che nella persona di Cristo c'è una unità tra le due nature «inconfuse, immutabiliter, indivise, inseparabiliter» (DS 302), così ogni persona umana costutuisce una indivisibile unità anima-corpo.
Cosa possiamo dedurre da questi punti fermi?
Anzitutto mi pare, contro la teoria del gender à la Butler, che si possa dire che le persone sessuate non sono determinate nella loro identità solo a partire da un ruolo che svolgono; d'altra parte, contro l'essenzialismo, l'uomo e la donna non sono due essenze (MD 6). Si tratta di differenze che scoprono la propria identità piena (riguardante anche il corpo) proprio in relazione. Persona quindi non è concetto essenziale ma relazionale, la cui libertà non si costituisce e costruisce contro quella delle altre persone. Nemmeno però è concetto determinato solo dal ruolo assunto.
La differenza di cui è portatore il corpo non è senza rilievo. Tale differenza da una parte (come in trinitaria) si presta bene a rimandare al tipo di alterità interna alla condivisione ontologica della stessa natura (umana), dall'altra costituisce un dato specifico che determina tutta la persona (come in cristologia).
Le teorie del gender alla Butler sembrano condividere con tanta parte della la storia della teologia cristiana proprio la negazione di un significato del corpo in relazione a Dio, un corpo invece sessualmente rilevante non solo in campo genitale e procreativo, ma anche sociale e culturale e magari ecclesiale e sacramentale. La sessualità infatti non è fondamentale solo ai fini della procreazione ma è in gioco sempre nel nostro relazionarci.
Tuttavia siamo ancora lontani dall'aver idee chiare rispetto alla relazione tra «anima» e corpo sessuato, per tirare conclusioni più chiare. Per questo è urgente focalizzare in antropologia su questo punto gli sforzi della riflessione.

Che genere di Trinità?
In questo titolo possiamo notare il problema del termine «genere», che può essere usato nel significato di «razza» «specie» (come nell'ironico titolo) o come invece specificazione dell'uno o dell'altro sesso. Ben dice questa ambiguità, quindi, ciò che abbiamo visto in queste riflessioni.
Il «gender trouble» in cui siamo incappati quando abbiamo cercato di definire (il senso del) le sessuazioni nelle Persone della Trinità è anche un chiaro esempio del limite del nostro linguaggio al quale dobbiamo arrenderci. Come abbiamo visto, ciascuna persona della Trinità (hypostatsis) e la Trinità tutta intera (ousia) può essere descritta in termini maschili e/o femminili e questi assumono significati diversi: in particolare la femminilità presente in Dio non sempre può equivalere ad una valorizzazione della femminilità e della donna. La Trinità può essere sì, utilizzata per giustificare assetti ideologici maschilisti, ma può anche valere il contrario: essa può aiutare anche una visione maggiormente «woman friendly» della chiesa e della società.
Ci siamo trovati di fatto davanti alle interpretazioni dei ruoli maschili o femminili, quando riferiti a Dio. Si può quindi supporre, come fa P. M. Collins, che la stessa maschilità, la cui percezione sta fortemente cambiando, plasmerà presto nuovi aspetti dello stesso Dio Padre.
Parlare di Dio in termini sessuati implica una connotazione di desiderio, di amore affettivo e di relazione personale che resta la modalità più forte con cui noi esseri umani sperimentiamo un legame radicale, forte e orientante (come è quello con Dio). Una totale desessualizzazione della Trinità insomma non è auspicabile, benché nella tradizione, già prima di Agostino (che ne offre 13) abbiamo avuto differenti immagini, anche non personali, per parlare della Trinità.
Sotto questo punto di vista è significativo che la formula battesimale promossa dalla teologia femminista che si rivolgeva a Dio come «Creatore, Redentore, Sostenitore» sia stata recentemente condannata. Si trattava di una formula tendeva ad un vero inclusivismo evitando associazioni maschili o femminili con Dio o con ciascuna delle persone divine restando comunque rispettosa dei titoli biblici. Essa presentava però diverse difficoltà: anzitutto distinguendo Dio solo per le sue attività rischiava di cadere nel sabellianismo e inoltre non metteva in evidenza le relazioni tra le Persone. In secondo luogo, essa rimuoveva il collegamento tra umanità e Trinità presente per esempio nel tema dell''ad immagine'. La cosa più grave resta a mio parere la mancanza di personalità di Dio. In fondo la condanna di questa formula potrebbe essere letta proprio come l'irrinunciabilità da parte della fede di attribuire una certa personalità a Dio e la personalità -- in termini umani -- non può che essere associata sempre alla sessuazione che sa dire meglio di qualunque altra determinazione caratteriale l'identità e la differenza tra gli esseri umani. Con questa irrinunciabilità della personalizzazione nel nominare Dio, la teologia afferma anche che la sessualità è struttura fondamentale della persona umana. Essa, cioè, non va intesa esclusivamente come un mezzo per il mantenimento della specie, ma rivela intrinsecamente in sé caratteristiche relazionali, mutuali, comunionali e spirituali per cui non possiamo rinunciarvi senza rinunciare all'umanità stessa in quanto umana.
Parlare di Dio, insomma è parlare anzitutto dell'uomo e del suo destino. Dio non è né maschio, né femmina, ma ha creato l'uomo e la donna a costruire le proprie persone e a plasmare le loro relazioni ad immagine dell'amore di Cristo Risorto. L'uomo e la donna trovano la loro piena maturità quando imparano ad integrare e dosare in sé resistenza e resa, azione e passività, tenerezza e decisionalità.
E come l'immagine dell'uomo viene accresciuta dall'ammettergli caratteristiche femminili, di tenerezza, cura e vulnerabilità, così l'antropologia sarà arricchita quando anche la donna sarà sempre più considerata capace di rappresentare non solo l'aspetto femminile di Dio. Le caratteristiche tradizionalmente ritenute maschili di autorità, potere, razionalità e leadership sono oramai una conquista delle donne nella società odierna e tale conquista ha dimostrato che ciò che si credeva femminile «per natura» era in realtà un'ideologia culturale. Ciò che abbiamo inteso in passato per maschile e femminile non potrà che diventare sempre più parte di una maggiormente compiuta e matura definizione dell'antropologia duale e della vita cristiana.
A fronte di questo è emerso con chiarezza che una lettura più corretta delle relazioni divine scardina ogni attribuzione ultraletterale del genere alla Trinità, scardinando anche ogni pretesa di una comunità che non tenendo conto della pari dignità dei generi nel costruire una comunità crede di rivelare il volto completo di Dio.
Certo Dio resta ineffabile, ma per non restare del tutto senza parole dobbiamo prendere immagini tratte dalla creazione, coscienti che il Decalogo impone che nessuna di queste immagini sia considerata sostitutiva e completa per dirLo. Che queste immagini allora siano molteplici e che siano tra loro anche conflittuali, perché ci ricordino che in niente Dio è contenuto e definito compiutamente. Che le tante imagines trinitatis siano quindi sessuali e desessualizzate, personali e depersonalizzate, perché una vita spirituale sia ricca e sana.
Se però l'unica immagine autentica di Lui resta il vivente (Gen 1) che gli dà gloria (Ireneo) vuol dire che mistero di questo Dio che non è tre e che non è solitario, più che definito può essere adorato in quel culto spirituale (Rm 12, 1) che, nella verità (Gv 4) delle persone che siamo -- sempre più «multitasking» e nella necessità di gestire ruoli diversi, in relazioni multiple e di vario tipo -, costruisce una comunità di uguali, come atto della stessa economia divina (LaCugna).
Il dogma della Trinità alla prova dell'epistemologia femminista regge: esso rinforza e afferma i valori della soggettività e della differenza, permette il linguaggio dell'eros nel discorso su Dio e sfida la teologia a svilupparsi verso una comprensione sempre più piena della Rivelazione.

Suor Benedetta Zorzi
(http://mondodomani.org/teologia/zorzi2011.htm)

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