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Quando è troppo teso, l’arco si spezza



Caro Padre in Cristo,
Abbiamo molte ragioni per amarvi, non solo per il vostro alto ufficio ma anche per il vostro instancabile entusiasmo a favore della giustizia e della pace, per la vostra vicinanza ai bisognosi e per molto altro.
L’amore per la vostra persona, l’alta stima del vostro ufficio e la responsabilità da noi tutti condivisa nel trasmettere la fede alle odierne generazioni dalla mentalità critica e a quelli che verranno dopo di noi mi impongono, tuttavia, di esprimere pubblicamente il mio riserbo in merito a ciò che ritengo un eccessiva accentuazione da parte vostra di norme troppo rigorosamente interpretate nel campo dell’etica sessuale.
Naturalmente, siamo consapevoli quanto voi del nostro dovere di fare il possibile affinché i cristiani amino e promuovano la castità. Ma è proprio in questo campo che vale il detto: “Quando è troppo teso, l’arco si spezza”. Se in questo difficile ambito esigiamo anche una iota in più di quanto possiamo ragionevolmente giustificare sulla base della rivelazione o della ragione ispirata dalla fede, perdiamo credibilità. In parole povere: non siamo più ascoltati.
Sono rimasto sconvolto nel leggere di recente che, tra i 6.000 lettori di “Weltbild”, una rivista molto fedele e devota al Papa (nn. 23 e 24, 4 e 28 novembre 1988), solo il 12 per cento dei fedeli sotto i 50 anni e solo il 25 per cento di quelli sopra i 50 sono pronti a dare ascolto all’attuale insegnamento papale in materia di morale sessuale, mentre in generale queste stesse persone sono del tutto disposte a tenere in somma stima l’autorità papale su questioni di fede e di morale. Risultati simili sono emersi da sondaggi in altre parti del mondo.
Recentemente ho dovuto ascoltare un nutrito gruppo di insegnanti di religione altamente qualificati, uomini e donne fedeli alla Chiesa, che mi dicevano quanto sia stato e sia ancora difficile per loro calmare le ondate suscitate dal vostro discorso ai teologi morali del 12 novembre 1988.
Sul titolo dell’“L’Osservatore Romano” del 13 novembre 1988 si può e si deve concordare: “Non si può parlare di onesta ricerca della verità laddove non si tenga conto di ciò che insegna il magistero dottrinale.” Ma, se questa autorità di insegnamento della Chiesa diventa il grido di battaglia delle persone intransigenti che vantano una particolare vicinanza al Papa, e diventa un’arma contro chi si oppone ad un’interpretazione ben troppo rigorosa solo su punti di secondaria importanza, allora non si rende un buon servizio alla Chiesa, alla sua missione o addirittura al ministero di Pietro.
Ho davanti a me il testo della conferenza “Chi è simile al Signore nostro Dio?”, presentata dal Professor Mgr Carlo Caffarra al congresso dei teologi morali che voi avete particolarmente onorato ricevendone e salutandone i partecipanti. Il livello dottrinale è molto al di sotto del dovuto. Sembra esser messo radicalmente in dubbio qualsiasi tentativo di giustificare o analizzare le norme morali su basi teleologiche. A pagina 7 del dattiloscritto troviamo: “Questo è il motivo per cui, una volta innalzatosi al livello etico, l’uomo non è più interessato al dettaglio o, in ultima analisi, alle possibilità, conseguenze e risultati storici della sua azione: si è innalzato al di sopra di tale calcolo”.
La prima cosa da osservare nei confronti di una frainterpretazione infantile e davvero allarmante dell’approccio teleologico è che qui non si tratta affatto di un calcolo utilitaristico ma di un’attenta valutazione delle conseguenze in quanto a relazioni sane e salutari, in quanto a generazione di frutti nell’amore e nella pace in un ambito di solidarietà. L’affermazione di Caffarra cade in un contesto in cui egli usa idee molto astratte, remote dalla vita, accanto a indimostrate asserzioni sulla tradizione, nello sforzo di provare che la norma enunciata da Humanae Vitae (il bando dei metodi di controllo artificiale delle nascite) non ammette nessuna eccezione in nessun caso.
A fianco praticamente dell’intera tradizione delle Chiese orientali e di una larga parte della tradizione cattolica romana, S. Alfonso Liguori insegnava che persino in questioni di legge naturale c’è spazio per l’epikeia (ricerca dello spirito della legge piuttosto che della lettera) (Theologia moralis l:I:tr.II, c.IV n. 201). Con ciò, naturalmente, egli non intendeva le norme supreme del comandamento, inscritto nei nostri cuori, di amare Dio e il prossimo. Pur tuttavia, egli applica esplicitamente le possibilità dell’epikeia al coitus interruptus, che a quel tempo era il solo metodo non-magico di controllo delle nascite, e alla cooperazione di una moglie consapevole che il marito ha intenzione di usare questo metodo. Come altri teologi morali del tempo, anch’egli insegna che il coitus interruptus in se stesso contraddice il senso procreativo dell’atto coniugale, e che perciò va respinto, ma fa esplicita menzione di casi in cui la coppia ha buone ragioni per non volere che l’atto coniugale porti al concepimento. Anch’egli attribuiva un alto valore all’astensione, ma lasciava ugualmente aperta la possibilità dell’epikeia per una giusta causa(iusta ex causa).
Nella sua conferenza al congresso dei teologi morali, come in precedenti dichiarazioni, Carlo Caffarra non distingue tra le situazioni effettive in cui la procreazione sarebbe auspicabile e quelle in cui sarebbe irresponsabile. Come esempio, prendiamo il genere di caso di fronte al quale mi sono trovato ripetutamente: una donna che soffre di psicosi da gravidanza avendo già messo al mondo figli con tare genetiche. Ginecologi e psichiatri sono convinti che la donna potrà tornare a vivere una vita coniugale ed esser restituita alla sua famiglia per poter crescere i suoi figli handicappati, se, attraverso una combinazione di sterilizzazione e psicoterapia, potrà esser liberata dalla sua paura psicotica. Il teologo morale rigoroso dice “No”, sulla base del fatto che gli organi riproduttivi della donna sono sani. In altri, non rari casi, l’insistenza rigorosa sulle norme della Chiesa porta il matrimonio ad un punto di rottura: nel caso in questione, la “pianificazione famigliare naturale” non è applicabile; il marito si aliena dalla moglie a causa dell’obbedienza di quest’ultima alla Chiesa, e si aliena anche dalla Chiesa, irritato dal suo rigorismo.
In questi casi, è provato che tutti i metodi artificiali di controllo delle nascite siano assolutamente immorali, quando in definitiva si tratta di mantenere il reciproco dono di sé del matrimonio e il legame di fedeltà?
Secondo Caffarra, qualunque sia la situazione, si tratta niente meno che di “un attacco alla santità di Dio”, della superbia di voler essere come Dio, e via dicendo. Come si può ragionare tanto semplicisticamente? Non è questa l’immagine di Dio che Gesù ci ha reso tangibile e visibile.
Nel vostro discorso papale ai partecipanti al congresso presentativi da Mgr Caffarra, troviamo: “Questa norma morale non consente alcuna eccezione: nessuna circostanza personale o sociale è mai stata, è, né sarà in grado di rendere tale atto rettamente ordinato”. Per ciò che mi concerne, è fuor di dubbio che ci siano proibizioni morali che non ammettono eccezioni. La tortura, ad esempio, mai e poi mai potrà essere giustificata moralmente, specie se usata per estorcere dichiarazioni e confessioni. Pio XII lo affermò con grande contrizione, parlando di una precedente tradizione ecclesiastica estremamente ingloriosa e delle dichiarazioni dottrinali dei papi che l’avevano sostenuta. Similmente, è ovvio a prima vista che lo stupro e atti simili sono sempre offese alla legge morale.
Ma questo si applica anche alla norma che ogni atto coniugale debba essere aperto alla procreazione? Per metterla in altri termini, i mezzi di contraccezione artificiali meritano una condanna in ogni circostanza? La maggior parte dei teologi morali affianca S. Tommaso d’Aquino nell’insegnare che, più una norma morale derivata è complessa e remota dal principio supremo dell’amore, tanto minore è il suo grado di certezza e tanto meno esclude l’applicazione dell’epikeia.
Nella tradizione agostiniana, la norma della sostanziale apertura del rapporto sessuale alla procreazione era una norma assoluta; e ciò era di fatto dovuto al suo pessimismo nei riguardi della sessualità. Per Agostino e seguaci, l’atto sessuale era qualcosa di degradante e vergognoso, che aveva quindi bisogno di essere giustificato e reso morale (excusatio, cohonestatio) dalla chiara intenzione procreativa. Ma oggi non ci si può più appellare a questa tradizione, che, anzi, dovrebbe renderci attenti a ciò che diciamo.
Come ci si può aspettare che il popolo odierno, dalla mentalità critica, e persino i cristiani devoti, accettino l’affermazione che, nell’interpretazione della norma enunciata da Humanae Vitae, ogni eccezione (ogni epikeia) sia assolutamente da escludere, e proporre quindi l’affermazione che: “In realtà, ciò che è messo in questione dal rifiuto di questo insegnamento è l’ idea stessa di santità di Dio” (discorso del 12 novembre 1988)?
Per di più, siamo disorientati dal dover affrontare il dilemma se della norma di Humanae Vitae interpretata così strettamente si possa davvero dire che “è stata inscritta dalla mano creatrice di Dio e da Lui confermata nella rivelazione”. Dove si trova una tale conferma? Di fatto, se consideriamo quanti buoni e intelligenti cristiani dentro e fuori la Chiesa Cattolica semplicemente non riescano ad associarsi ad un’interpretazione così rigorosa, e quanto trovino scandalosi, veramente offensivi, i modelli di pensiero, i metodi di argomentazione e le imputazioni di colpa proposte da Carlo Caffarra e altri, non dovremmo insegnare in maniera così indifferenziata e semplicistica che: “Metterlo in dubbio equivale, quindi, a rifiutare a Dio stesso l’obbedienza della nostra intelligenza” (stesso discorso papale del 12 novembre 1988).
Problemi immensi relativi all’esercizio storico del magistero dottrinale dei papi sono sollevati dalla seguente censura nei confronti di ogni analisi di affermazioni di questo tipo: “Poiché il magistero dottrinale della Chiesa è stato istituito per illuminare la coscienza, ogni appello a questa coscienza mirato a contestare la verità di ciò che è stato insegnato dal magistero comporta il rifiuto della concezione cattolica tanto di magistero quanto di coscienza morale” (dallo stesso discorso).
La persona impostata criticamente e, di fatto, proprio il cristiano devoto e molto fedele alla Chiesa di Pietro, ha bisogno di sottoporre un’affermazione simile all’indagine e all’analisi storica, magari provando a chiedersi: “Chiunque, appellandosi alla coscienza, abbia sottoposto ad analisi ed indagine l’insegnamento di Bonifacio VIII e di diversi suoi successori in merito ai poteri plenari del papa su tutti i regni e sfere secolari, ha con ciò respinto, almeno implicitamente, la concezione cattolica tanto di magistero quanto di coscienza morale?”.
Se in Vaticano si accetta solo una particolare tendenza teologica, e di fatto con tanta severità come nel caso del congresso dei teologi morali organizzato da Carlo Caffarra, allora sorgono per tutti noi questioni innumerevoli ed estremamente penose.
Viceversa, quanto più collegialmente il ministero di Pietro saprà incoraggiare la diversità delle culture e tradizioni e la ricerca delle differenti culture teologiche, più grande sarà la fiducia che esso instillerà in tutti noi. Mentre, se ad interpretazioni intransigenti e al genere più scioccante di argomentazioni è direttamente indotto il papa, allora noi tutti precipitiamo in crisi e siamo costretti dalla nostra lealtà verso la Chiesa ad esprimere il nostro turbamento e la nostra angoscia.
La natura impressionante dell’attuale crisi si rivela soprattutto nel campo dell’insegnamento papale in materia di morale sessuale, campo in cui la gente reagisce in maniera più sensibile. Ma, a mio avviso, il pericolo molto più grave è che, in conseguenza dell’attuale intensificarsi della polarizzazione, se il papa stesso è direttamente coinvolto in prima persona, il magistero dottrinale del papa e dei vescovi non possa più, in definitiva, sviluppare il suo pieno potenziale neanche sulle questioni assolutamente centrali della nostra fede. E la povertà di fede delle generazioni odierne è già così grande!
Caro Padre in Cristo,
Sono un uomo vecchio, che ha già più di un piede nella fossa. Amo appassionatamente la mia Chiesa e amo anche il successore di Pietro. E ai miei occhi ci sono molte ragioni che lo rendono degno d’amore. Per poter attendere fiducioso la misericordia di Dio nell’ora della morte, mi sono preoccupato per tutta la vita di seguire una teologia morale e una pratica pastorale compassionevoli e misericordiose. Nelle loro difficoltà, le coppie sposate devono conoscere il balsamo dell’amore compassionevole. In migliaia di lettere e migliaia di confessioni ascoltate ho appreso fino a che punto i buoni cristiani siano dolorosamente feriti dal rigorismo in materia sessuale.
Formulazioni severe come quelle favorite da Carlo Caffarra e dai suoi alleati feriscono le persone e riaprono vecchie piaghe. Esse rendono più difficile per noi tutti il ministero dell’amore risanatore e salvifico. Se, ad esempio, sentiamo Carlo Caffarra affermare trionfalmente che a livello etico non ci si deve in alcun modo dar pena delle prevedibili conseguenze, possiamo solo piangere e pregare quando ci viene chiesto che cosa abbiamo da replicare.
Queste ed altre considerazioni mi hanno costretto ad aprirvi il mio cuore. Se doveste sentirvi offeso da quanto ho detto, vi chiedo perdono.
Il magistero di insegnamento papale”, espressione usata così spesso oggi, non dovrebbe diventare il grido di battaglia degli ussari intransigenti della Chiesa e, di conseguenza, per molti altri un mito incomprensibile.
Nell’amore del santissimo cuore di Gesù, rimango il vostro servo obbediente.
Gars am Inn, 1 dicembre 1988
Bernhard Häring




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