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Un'alleanza per l'Europa

di Giovanni Gentili


Quanti tra coloro che si presentano alle elezioni politiche del prossimo 24 febbraio hanno capito che l’Europa è vitale per il nostro futuro? Quanti hanno capito che non ci sono ricette solo nazionali per uscire dalla crisi?



L’Europa è zoppa. Lo è soprattutto l’unione economica e monetaria: una moneta comune per 17 Stati membri, accompagnata da 17 differenti politiche economiche, fiscali e industriali.

Non è chiaro a tutti che l’opportunità offertaci oggi è molto ghiotta. La crisi che sembra strangolare l’Europa, potrebbe paradossalmente rafforzarla, rompendo quei covi di nazionalismo per una risoluzione comune di problemi ormai troppo grandi da essere affrontati a livello statale.

Quello che è avvenuto all’Euro era stato predetto nel 2001 da Romano Prodi, all’epoca presidente della Commissione europea: “Sono sicuro che l’euro ci obbligherà a introdurre un nuovo set di strumenti di politica economica. È politicamente impossibile per ora proporli. Ma un giorno ci sarà una crisi e questi nuovi strumenti saranno creati”. Eccoci!

Quelli che abbiamo davanti saranno anni cruciali in cui la scelta è tra un’Europa fortemente integrata e una disintegrata. Il malcontento della popolazione greca, di parte di quella italiana e spagnola nei confronti delle attuali politiche europee mettono a dura prova le scelte dei futuri governi nazionali. Se ne avranno il coraggio porteranno l’unificazione ancora più avanti e daranno all’Ue gli strumenti necessari per stimolare la crescita. In caso contrario gli effetti potrebbero essere devastanti per l’intero assetto europeo.
I passi necessari sono quelli dell’unione bancaria e di quella fiscale. Ma passi ancora più importanti sarebbero altri:
- creare una cooperazione rafforzata tra gli stati che hanno l’Euro, istituendo un budget supplementare a quello dell’Ue che possa portare ad aumentare il set di politiche comuni a livello di eurozona;
- rendere l’Ue più democratica e vicina ai cittadini ampliando i poteri del Parlamento europeo, coinvolgendo in modo costante i parlamenti nazionali nel processo decisionale, dando la possibilità ai cittadini di scegliere (seppur indirettamente) il Presidente della Commissione.

Perché ritengo che l’Italia in particolare possa avere un ruolo trainante?
L’Italia ha giocato storicamente un ruolo rilevante nel processo d’integrazione europea, grazie a personalità che in particolari momenti sono state in grado di esercitare una leadership per l’Europa. Si veda l’esempio di Craxi e Andreotti che al Consiglio europeo di Milano del 1984 sono riusciti a convocare una Conferenza intergovernativa (ignorando le proteste britanniche) che ha preparato l’Atto Unico europeo, il quale a sua volta ha gettato le fondamenta per il Trattato di Maastricht.
Con Monti, sembra che l’Italia abbia riacquistato il rispetto e la fiducia necessari per tornare a giocare un ruolo di guida.

A livello europeo è possibile ‘istituzionalmente’ esercitare una leadership nel semestre di presidenza di turno del Consiglio. All’Italia spetterà nel luglio 2014. Un periodo molto delicato: in giugno si rinnoverà il Parlamento europeo che, a sua volta, dovrà eleggere la nuova Commissione.

In Italia chi è consapevole di questo? Sicuramente lo è Mario Monti.
In questi 13 mesi di governo, l’ex Commissario europeo, ben assistito dal ministro Moavero, ha dimostrato di conoscere al meglio la macchina europea ed ha saputo far valere le ragioni dell’Italia al tavolo dei negoziati “senza sbattere i pugni sul tavolo”, ma con una paziente opera diplomatica e di relazioni. Allo stesso tempo ha avuto nei confronti dell’Europa lo stesso rigore che ha preteso per il nostro paese. I risultati ottenuti sono evidenti.
L’Agenda Monti è un altro segno della volontà che guida il Premier. Il primo punto dell’Agenda è infatti l’Europa: “L’Italia, Paese fondatore, deve essere protagonista attivo e autorevole di questa fase di rifondazione dell’Europa. Deve svolgere un ruolo trainante per promuovere nuovi assetti che rendano l’Unione Europea capace di perseguire in modo efficace, e secondo linee democraticamente decise e controllate, la crescita economica e lo sviluppo sociale del continente secondo il modello dell’economia sociale di mercato”.

Ma Monti non è il solo a puntare sull’Europa. Il Partito Democratico è sulla strada giusta. Bersani e i suoi sanno che si esce dalla crisi solo con “più Europa”. Questo è un ritornello sentito spesso all’interno del PD. Di cosa ha bisogno adesso l’Europa? Crescita, solidarietà e democrazia.
Queste può darle solo un’Europa di centrosinistra, sia nei suoi governi principali, sia nella composizione del futuro Parlamento europeo. Il PD, insieme al PSF di Hollande e all’SPD tedesca, ha sottoscritto il “Manifesto di Parigi” in cui si delinea proprio questa strategia.
Per riavvicinare i cittadini all’Europa è necessario che si crei, come sostiene lo stesso Monti, un’economia di mercato sociale. Con Maastricht ed il consenso neoliberale degli anni ’90 si è creata l’economia di mercato europea. Ora è il momento di aggiungere l’aggettivo “sociale”, approfittando proprio della diffusione dell’idea che l’austerity di “Merkozy” non sia più la sola strada percorribile.

Da queste premesse parte il mio ragionamento. Sono convinto che un’alleanza tra PD e Monti sia indispensabile per l’Europa e per l’Italia in Europa. In tale ambito infatti ci sarebbero affinità persino tra Monti e Vendola. Il leader di Sel, come sostiene Barbara Spinelli, è radicale anche sul tema Europa e non si opporrebbe ad un rilancio del processo di unificazione che  punta su crescita, solidarietà e democrazia.

Ma andiamo al di là delle idee e vediamo a livello pratico a chi giova quest’alleanza.
In primo luogo al PD. Se questo avesse bisogno dell’appoggio di Monti e i suoi per governare, potrebbe spostare l’attenzione politica sul tema europeo e sulle riforme istituzionali senza dover mettere sul piatto della legislatura (almeno nel primo periodo) i temi di fuoco delle riforme del lavoro e delle pensioni, dei diritti civili… Inoltre potrebbe attingere dall’esperienza di personalità come Monti e il Ministro Moavero Milanesi. Quest’ultimo potrebbe dunque essere riconfermato come Ministro per gli affari europei o proposto nel ruolo di Commissario europeo.
L’accordo tuttavia favorirebbe soprattutto Monti e il suo futuro ruolo.
Escludiamo infatti la Presidenza del Consiglio che in ogni caso spetterà a Bersani. Escludiamo anche la Presidenza della Repubblica per la quale Prodi sembra il più accreditato.
Escludiamo infine la Presidenza della Commissione europea. Il successore di Barroso, con le riforme introdotte dal Trattato di Lisbona, dovrà essere proposto dal Consiglio europeo ma eletto dal Parlamento europeo, di cui si dovrà considerare la composizione uscita dalle elezioni del giugno 2014.
Viste le attuali tendenze elettorali europee è probabile che ne esca un Parlamento più spostato a sinistra, che dunque propenderà più per una personalità progressista (leggi Martin Schulz). E questo Monti lo sa.
Rimane da decidere chi sarà il prossimo Presidente del Consiglio europeo, il successore di Van Rompuy. È proprio qui che Monti può insidiare la poltrona ad altri leader. Nel 2009 i governi nazionali non furono in grado di accordarsi su un leader di spicco: Herman Van Rompuy fu il minimo comun denominatore.
Oggi la situazione è differente. È diffusa la consapevolezza che l’Unione europea nei prossimi anni avrà bisogno di guide forti, carismatiche e influenti. Monti è una di queste.

Tra l’altro un popolare come lui, appoggiato da un progressista come Bersani, potrebbe godere di un consenso politico europeo trasversale tale da superare le resistenze di Stati meno disposti ad avere un’Europa più forte e decisa, come la Gran Bretagna.

L’Unione europea ha bisogno dell’Italia. Saremo in grado di aiutarla?

(Giovanni Gentili)

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