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Quando udiamo i comandamenti [...] siamo presi da meraviglia per il loro carattere impossibile nel mondo.



Quando Gesù dice ciò che l'uomo deve fare, non si tratta di un'etica autosufficiente per la realizzazione dell'uomo nell'edificio e nell'ordine dell'esserci mondano. Al contrario, ogni moralità non si giustifica piuttosto che come volontà di Dio, come esser pronti per la fine del mondo e come segno del regno di Dio.
Nulla di mondano può avere la minima importanza per se stesso. .Questo mondo è solo un ponte; attraversalo ma non edificarvi la tua dimora» (Hennecke, Gli apocrifi, 35). Il mondo è certo creazione di Dio e come tale non è condannabile. L'amore per la natura è proprio di Gesù, come lo sarà in seguito di Francesco d'Assisi. Egli non viola gli ordinamenti umani, ma ne accentua il valore. Per esempio il matrimonio è indissolubile. «Ciò che Dio ha unito l'uomo non deve dissolvere».
Non ci si deve rivoltare contro l'autorità. «Dà a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Ma ogni essere mondano quasi svanisce nello splendore del regno di Dio. I vincoli della pietà, del diritto, della civiltà non sono nulla di fronte a questo regno. Gesù lascia da parte madre e fratelli: «Chi fa la volontà di Dio è mio fratello, sorella, madre». Il possesso è disturbante, perciò al discepolo che dopo aver adempiuto ogni comando non si sa ancora presso Dio, vien dato il consiglio di vender tutto e di distribuire il denaro ai poveri.
Ogni cosa mondana è come tale fragile: «Chi può con le sue cure aggiungere un'ora alla sua vita?». «Ogni giorno ha la sua pena». Ma il mondo non merita alcuna nostra cura. «Non preoccupatevi per la vostra vita di ciò che mangiate. Non preoccupatevi del giorno di domani; il domani si curerà esso stesso di voi». Importante è solo ciò che ha vera realtà nel regno di Dio: «Non accumulate tesori sulla terra, ove tarme e ruggine li distruggono. Accumulate però tesori in cielo»
. Che cos'è questo che solo importa? Di fronte a ogni uomo si pone la terribile alternativa di essere accolto o respinto dal regno di Dio, Esistono Dio e il diavolo, gli angeli e i demoni, il bene e il male. A ognuno importa la direzione in cui si svolgerà. L'aut-aut interessa ogni individuo. «E se la tua mano desta la tua collera, tagliala; è meglio per te accedere alla vita mutilato anziché andare all'inferno con tutte e due le mani». «Nessuno può servire due padroni. Voi non potete servire Dio e Mammona». Non esiste termine medio, adattamento, ma solo tutto o nulla. Rimane soltanto questo che è necessario: seguire Dio e pervenire così all'eternità del suo regno.
L'ubbidienza a Dio, come è sempre stata l'éthos dei giudei, così è anche quello del giudeo Gesù. Ma l'ubbidienza non è sufficiente se è solo un'ubbidienza esterna, calcolabile, a determinate richieste che si presentano come leggi giuridiche. È l'ubbidienza con l'intera essenza dell'uomo che compie con il cuore ciò che comprende del volere divino. Dio infatti ha scritto il suo comando nel cuore dell'uomo, come disse Geremia.
Ma qual è la volontà di Dio? Il nostro pensiero comune, adusato all'intelletto e alla determinatezza finita, vorrebbe ricevere indicazioni, prescrizioni secondo cui ci si possa dirigere. L'intelletto può ostinarsi, per così dire, a domandare a Dio: Che cosa vuoi? Quando udiamo i comandamenti che Gesù ha espresso come volere di Dio, siamo presi da meraviglia per il loro carattere estremista, impossibile nel mondo. Questi comandamenti esprimono ciò che può essere veramente reale nel regno di Dio. «Voi dovete essere perfetti come è perfetto il padre vostro in cielo». Sono comandamenti per l'uomo che conosce soltanto Dio e il prossimo, e agisce come se non ci fosse un mondo né le antinomie della sua realtà di fatto. Questi imperativi sono dati come se l'uomo non si trovasse più in alcuna situazione di finitezza nel mondo, come se non avesse più alcun compito di formare il mondo e di realizzazione; sono come degli imperativi per i santi, che essendo cittadini del regno di Dio possono e debbono seguirli. «Ma io vi dico: non vi opponete al malvagio, ma a chi ti colpisce sulla guancia destra offri anche l'altra guancia. E a chi ti vuol prendere la giubba dai anche il mantello. Dai a ognuno ciò che ti chiede e non esigere da chi ha preso il tuo che te lo restituisca».
Questi non sono innanzi tutto imperativi dell'agire esteriore, ma imperativi che penetrano nel più intimo dell'anima, nel suo essere stesso ancor prima di ogni azione. L'anima dev'essere pura. Il germe della cattiveria nascosto dentro l'anima è già altrettanto riprovevole quanto l'azione esteriore. «Chiunque guarda una donna con concupiscenza ha già compiuto adulterio nel suo cuore».
Gesù richiede l'essere, non l'agire esteriore che piuttosto deriva dall’essere. È richiesto ciò in base a cui si vuole ma che non può essere in se stesso direttamente voluto. Quando c'è questo, nulla può più al mondo turbare questo essere. «Nulla di ciò che penetra dal di fuori nell'uomo può contaminarlo, ma lo contamina ciò che dall'uomo promana».
La volontà di Dio è la vita del regno di Dio, vivere come se il regno m Dio ci fosse già, vivere in modo che la vita in questo mondo sia segno del regno di Dio e in sé già la sua realtà in avvicinamento.
Quello che è l'éthos di Gesù non si può affatto cogliere mediante un sistema di indicazioni di azioni nel mondo. Il principio è dato soltanto dall'idea del regno di Dio; questo principio è stato espresso da Gesù nell'antica maniera biblica: devi amare Dio e il tuo prossimo come te stesso. Il comandamento dell'amore appartiene all'antica religione biblica. «Tu devi amare Jahwe, tuo Dio, con tutta l'anima e con tutte le tue forze» (Dt 6,5). «Devi amare il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18). «Ciò che da te richiede Jahwe è questo: pratica la giustizia, amala e vivi in umiltà di fronte al tuo Dio» (Mic 6,8). Gesù non accentua qui la novità, come nelle sue contrapposizioni che cominciano dicendo: «Ma io vi dico...». Egli qui inserisce nel regno di Dio ciò che è stato tramandato e che già si annuncia nella realtà dell'amore come suo segno.
Una unione mistica con Dio, un uscir fuori del mondo astenendosi dall'azione, una vita solitaria tra gli uomini, l'unione con Dio, tutto ciò sarebbe privo d'amore. L'individuo non ha per se stesso alcuna partecipazione al regno di Dio. Bisogna che vi pervenga insieme agli altri. Chi ama Dio ama il prossimo. Perciò la vita nel mondo è riempita di vita d'amore che è segno del regno di Dio.
L'amore di Dio per l'uomo e dell'uomo per il prossimo sono due cose inseparabili. L'amore di Dio ci tocca solo in quanto noi amiamo. L’'amore di Dio opera in noi l'amore. Se non amiamo siamo respinti.
L'amore resosi privo di scopo e privo di mondo è la vera realtà del regno di Dio. Allora esso è illimitato, incondizionato. Da qui la richiesta interamente nuova di Gesù, estranea al Vecchio Testamento: amare i nemici, ricompensare il male con il bene. «Amate i vostri nemici, fate loro del bene, a loro che vi odiano; benedite chi vi maledice, pregate per chi vi offende».
Questo amore non è perciò un sentimento universale, privo di oggetto, ma esige l'amore del prossimo. Ma chi è il prossimo? Chiunque mi stia vicino nel tempo e nello spazio e ha bisogno di me, non l’uomo che si distingue per qualche cosa o che mi è affine. Questo è indicato dalla storia del buon samaritano. Un uomo di Gerusalemme giaceva mezzo morto sulla strada dopo essere stato derubato dai ladroni. Venne un prete, poi un levita, ma ambedue passarono oltre. Lo vide poi un samaritano della Samaria disprezzata da Gerusalemme, ebbe compassione di lui e se ne prese cura. «Quale dei tre era dunque il prossimo per colui che era caduto sotto i ladroni?».
Questo amore esclude la volontà di dominare. «Chi tra voi vuoi essere grande deve essere vostro servo, chi vuoI essere il primo dev'essere lo schiavo di tutti».
Questo amore esige una dedizione incondizionata all'annuncio di Gesù. «Chi ama il padre o la madre più di quanto ami me non è degno di me [...] e chi non prende la sua croce per seguirmi non è degno di me».
Il carattere incondizionato dell'amore di cui parla Gesù, come di un segno del regno di Dio, non si realizza seguendo leggi, facendo progetti e perseguendo scopi. Gesù nega la legalità assoluta, ma non per condurci alla mancanza di leggi, sebbene per farci trovare l'origine da cui si soddisfa e scaturisce la legge posta al di sopra di ogni legalità. La legge tradizionale dell' Antico Testamento ha per lui un valore ovvio. Egli sostanzialmente non l'attacca, come farà poi Paolo. Ma l'adempimento della legge determinata viene dopo la vita che è sottomessa a Dio. «Il sabato esiste per gli uomini, non gli uomini per il sabato». Il servizio prestato nel tempio non può compensare alcuna mancanza morale. «Quando porti i tuoi doni all'altare e ti sovviene che tuo fratello ha qualcosa contro di te, va subito da tuo fratello e conciliati con lui e torna poi a offrire i tuoi doni».
La legge sola porta all'ipocrisia. Chi fa molte cose soltanto in conformità alla legge, nasconde il male che esiste veramente in lui. Contro i fedeli alla legge, che hanno perduto l'interiorità, Gesù dice: «Il comandamento di Dio vi rinnega per mantenere la vostra tradizione». Egli mette in guardia dagli scribi che si preoccupano di andare in giro in veste talare e di «dar valore al saluto nelle pubbliche piazze ed ai primi posti nelle sinagoghe, essi che sfruttano le case delle vedove e recitano in apparenza lunghe preghiere».
Perciò un carattere fondamentale di questo éthos del regno di Dio è la libertà con cui Gesù agisce. Essa non si può fondare sulla legge ma sull'amore. Ma l'amore non distrugge nessuna vera legge, piuttosto la prende e la tiene nei suoi limiti. Da questo scaturisce il contegno di Gesù che suscita ovunque scandalo. Egli si reca ai banchetti. Lascia che una donna dissipi l'olio per ungergli i piedi: «Ella mi ha fatto un'opera buona». Parla con le meretrici e giustifica la peccatrice credente: «poiché ella ha molto amato».
Gesù non ha proclamato nessuna etica nuova, ma ha preso l'éthos biblico tanto sul serio, lo ha così purificato e approfondito, da renderlo vero innanzi a Dio nel suo regno. Egli lo ha vissuto senza riguardo alle conseguenze nel mondo, poiché il mondo si trova di fronte alla sua fine. 


  K. Jaspers, I grandi filosofi

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