Christos
Yannaras è un filosofo e teologo ortodosso di Atene in Grecia, dove
ha tenuto un corso di presentazione dell’ortodossia nel suo
confronto con l’Occidente, che ha registrato un grande successo di
uditori ed editoriale nel testo delle sue lezioni ateniesi,
pubblicato con il titolo dimesso Abbecedario
della fede(1983).
Come scrive il prefatore, Michel Stravou, della traduzione francese
ed italiana, pubblicata con il titolo La
fede dell’esperienza ecclesiale. Introduzione alla teologia
ortodossa,
per il teologo neo-ellenico, «il termine “Occidente” non ha un
significato strettamente geografico ma designa la civiltà moderna
che si è imposta al mondo intero a partire dall’Europa
occidentale»; e «il termine “ortodosso” non viene usato in
senso confessionale stretto bensì nel senso di un riferimento
costante alla fede universale, “cattolica”, della chiesa
indivisa. […] Yannaras ritiene che un vero contributo allo sforzo
di riconciliazione delle chiese consisterebbe nel lavorare a far
riemergere questa ortodossia che si svela come un’orto-prassi
attraverso le persone dei santi, i sacramenti e l’arte liturgica,
segni della “vera vita”»
Uno sguardo storico alle condizioni nelle quali si e effettuata l’occidentalizzazione dei paesi dell’Oriente ortodosso, a cominciare dall’alterazione della coscienza culturale greca dopo la fondazione dello stato moderno in Grecia sul modello della fondazione della Russia di Pietro il Grande nel secolo XVIII, permetterebbe di evidenziare i problemi maggiori che sono connessi con l’interpretazione, con la presenza e con la testimonianza dell’Ortodossia ecclesiale ai nostri giorni. La distinzione tra Ortodossia e Occidente non è più facilmente discernibile, non è più evidente. L’Occidente, che non ha più frontiere geografiche, è dappertutto e rappresenta nella storia la prima civiltà dalle dimensioni realmente planetarie. E civiltà significa: presupposti teorici concreti di ordine ideologico o dogmatico, che si traducono coscientemente o no in un atteggiamento di vita, in un mododi vita quotidiano.
Oggi, anche nei paesi detti ortodossi, la civiltà è “occidentale”,
il modo di vita quotidiano trae le sue radici dalla sua elaborazione storica,
dalla metafisica occidentale che risale a san Tommaso d’Aquino e Agostino.
Così, l’Ortodossia sembra limitarsi solo a delle convinzioni personali,
incapaci di influenzare la prassi della vita, l’incarnazione storica della
verità. L’Ortodossia si trasforma in un insegnamento astratto, in un dogma
disincarnato, in un mantenimento di forme cultuali ed esteriori.
Ma anche se si tratta di dati “oggettivi” che precisano il problema, la realtà della vita non si esaurisce certamente nella fenomenologia dei sintomi. È certo che la dinamica della verità ecclesiale può rimanere in attesa e l’Ortodossia può restare in silenzio per parecchi decenni, addirittura per secoli. Ma l’assenza di una dinamica storica concreta, l’assenza di una testimonianza attuale dell’Ortodossia che sia incarnata in una realizzazione culturale concreta, non significa la morte del germe della verità ecclesiale né l’inaridimento della linfa che ne scaturisce. In qualche parte, la vita è in segreta gestazione e, un giorno, il seme sotterrato solleverà la roccia che lo soffoca.
Da qui ad allora, per la generazione degli ortodossi di oggi, c’è una questione centrale alla quale lo studio e la vita devono essere consacrati: il confronto tra l’Ortodossia ecclesiale e la civiltà occidentale, l’analisi e l’esplorazione delle molteplici estensioni di questo confronto. Infine e soprattutto, dobbiamo vivere questo confronto con uno spirito umile e crocifisso e cercare una soluzione incarnata nelle manifestazioni ipostatiche viventi che sono le persone dei santi. Non dimentichiamo che il criterio dell’Ortodossia è la cattolicità ecclesiale e che la misura della cattolicità è la realizzazione dei doni della vita nella persona dei santi.
Il confronto tra l’Ortodossia e l’Occidente non è una questione di antagonismi teorici e astratti né il luogo di una contestazione storica tra istituzioni; per questo, esso non può essere eluso semplicemente con degli sforzi fraterni di riconciliazione intrapresi dalle chiese cristiane divise. Non le differenze teologiche in sé importano in primo luogo, bensì le loro conseguenze dirette sulla vita e sulla prassi storica. La coscienza ortodossa deve almeno rispondere alla sfida dell’ateismo e del nichilismo occidentali, che hanno letteralmente spazzato via – e non a caso – la cristianità di cui l’Occidente aveva fatto una “religione”. La critica della religione esercitata dal secolo dei Lumi e dal liberalismo, dal marxismo, dal freudismo, dall’esistenzialismo ateo, dall’agnosticismo scientifico, che appare di una precisione implacabile, appare storicamente giustificata. La questione allora è: quali risposte di vita e quale dinamica di vita la coscienza ecclesiale ortodossa può opporre a questa critica?
Il confronto appare terribilmente impari: si oppongono da una parte le rigide strutture di una civiltà che si impone in modo onnipotente sull’organizzazione della vita umana, dall’altra la coscienza ortodossa che a stento si conserva nell’esperienza liturgica e nel discorso teologico. Si tratta veramente del «chicco di frumento» sotterrato che si decompone sotto la terra: ecco che cosa è l’Ortodossia oggi. Ma questa morte costituisce la speranza e la fede degli ortodossi. Il problema della testimonianza ortodossa oggi è un problema di discernimento tra la morte vivificante del «chicco di grano» e la corruzione senza speranza e senza via d’uscita che corrode apertamente le strutture della civiltà dell’eresia.
Oggi, l’impasse della civiltà occidentale non è più di carattere teorico; essa si rivela attraverso l’angoscia e l’assurdità del modo di vita quotidiano. Questa civiltà dell’“equilibrio del terrore”, dei programmi razionali che devono procurare la “felicità generale”, questa civiltà dei rifiuti tossici, dell’inebetimento provocato dallo spirito consumistico e dell’asservimento dell’esistenza umana alle ideologie totalitarie è giunta a minacciare la vita, su scala universale.
Tuttavia, nel cuore di questa morte, la chiesa continua ad attendere la risurrezione dei morti. Finché la tradizione liturgica ortodossa è salvaguardata e “funziona”, anche se nascosta in sconosciute parrocchie o diocesi, e finché la testimonianza teologica si articola attorno al modo di vita preservato dal culto, una cultura situata agli antipodi della civiltà occidentale sopravvive segretamente e una parola universale, capace di salvare l’uomo, si sta preparando con forza.
Ma anche se si tratta di dati “oggettivi” che precisano il problema, la realtà della vita non si esaurisce certamente nella fenomenologia dei sintomi. È certo che la dinamica della verità ecclesiale può rimanere in attesa e l’Ortodossia può restare in silenzio per parecchi decenni, addirittura per secoli. Ma l’assenza di una dinamica storica concreta, l’assenza di una testimonianza attuale dell’Ortodossia che sia incarnata in una realizzazione culturale concreta, non significa la morte del germe della verità ecclesiale né l’inaridimento della linfa che ne scaturisce. In qualche parte, la vita è in segreta gestazione e, un giorno, il seme sotterrato solleverà la roccia che lo soffoca.
Da qui ad allora, per la generazione degli ortodossi di oggi, c’è una questione centrale alla quale lo studio e la vita devono essere consacrati: il confronto tra l’Ortodossia ecclesiale e la civiltà occidentale, l’analisi e l’esplorazione delle molteplici estensioni di questo confronto. Infine e soprattutto, dobbiamo vivere questo confronto con uno spirito umile e crocifisso e cercare una soluzione incarnata nelle manifestazioni ipostatiche viventi che sono le persone dei santi. Non dimentichiamo che il criterio dell’Ortodossia è la cattolicità ecclesiale e che la misura della cattolicità è la realizzazione dei doni della vita nella persona dei santi.
Il confronto tra l’Ortodossia e l’Occidente non è una questione di antagonismi teorici e astratti né il luogo di una contestazione storica tra istituzioni; per questo, esso non può essere eluso semplicemente con degli sforzi fraterni di riconciliazione intrapresi dalle chiese cristiane divise. Non le differenze teologiche in sé importano in primo luogo, bensì le loro conseguenze dirette sulla vita e sulla prassi storica. La coscienza ortodossa deve almeno rispondere alla sfida dell’ateismo e del nichilismo occidentali, che hanno letteralmente spazzato via – e non a caso – la cristianità di cui l’Occidente aveva fatto una “religione”. La critica della religione esercitata dal secolo dei Lumi e dal liberalismo, dal marxismo, dal freudismo, dall’esistenzialismo ateo, dall’agnosticismo scientifico, che appare di una precisione implacabile, appare storicamente giustificata. La questione allora è: quali risposte di vita e quale dinamica di vita la coscienza ecclesiale ortodossa può opporre a questa critica?
Il confronto appare terribilmente impari: si oppongono da una parte le rigide strutture di una civiltà che si impone in modo onnipotente sull’organizzazione della vita umana, dall’altra la coscienza ortodossa che a stento si conserva nell’esperienza liturgica e nel discorso teologico. Si tratta veramente del «chicco di frumento» sotterrato che si decompone sotto la terra: ecco che cosa è l’Ortodossia oggi. Ma questa morte costituisce la speranza e la fede degli ortodossi. Il problema della testimonianza ortodossa oggi è un problema di discernimento tra la morte vivificante del «chicco di grano» e la corruzione senza speranza e senza via d’uscita che corrode apertamente le strutture della civiltà dell’eresia.
Oggi, l’impasse della civiltà occidentale non è più di carattere teorico; essa si rivela attraverso l’angoscia e l’assurdità del modo di vita quotidiano. Questa civiltà dell’“equilibrio del terrore”, dei programmi razionali che devono procurare la “felicità generale”, questa civiltà dei rifiuti tossici, dell’inebetimento provocato dallo spirito consumistico e dell’asservimento dell’esistenza umana alle ideologie totalitarie è giunta a minacciare la vita, su scala universale.
Tuttavia, nel cuore di questa morte, la chiesa continua ad attendere la risurrezione dei morti. Finché la tradizione liturgica ortodossa è salvaguardata e “funziona”, anche se nascosta in sconosciute parrocchie o diocesi, e finché la testimonianza teologica si articola attorno al modo di vita preservato dal culto, una cultura situata agli antipodi della civiltà occidentale sopravvive segretamente e una parola universale, capace di salvare l’uomo, si sta preparando con forza.
CHRISTOS YANNARAS, La fede dell’esperienza ecclesiale. Introduzione alla teologia ortodossa,
Queriniana, Brescia 1993, 205-208.
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