di Françoise Renard (Rosée
- Belgique)
in “www.comitedela jupe.fr”
del 31 agosto 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)
Nel corso dell'intervista
con i giornalisti che lo accompagnavano sull'aereo di ritorno dalla GMG di Rio
il 31 luglio scorso, il papa ha parlato anche del ruolo delle donne nella
Chiesa.
Ancora una volta, provo un
profondo disagio, non solo sentendo ripetere un “no”categorico alla prospettiva
di ordinazione di donne, ma soprattutto sentendo un discorso fondato su una
reale incomprensione della piena e semplice umanità delle donne. Le parole di
Francesco fanno presagire la volontà di trovare delle vie di riconoscimento
dell'azione delle donne nella Chiesa, ma la riflessione mi sembra mal
impostata.
Ecco alcune citazioni: “Una
Chiesa senza le donne è come il collegio apostolico senza Maria... il ruolo
delle donne nella Chiesa non è soltanto la maternità... (la donna) è l’icona
della Vergine, della Madonna. E la Madonna è più importante degli apostoli. La
Chiesa è femminile... è sposa e madre... Non abbiamo ancora fatto una profonda
teologia della donna”.
Per prima cosa: perché
identificare con Maria le donne impegnate nella Chiesa?
Francesco afferma che Maria
è più importante degli apostoli, come se questa posizione potesse rassicurare
le donne quanto alla stima che può avere il papa, e più in generale l'alta
gerarchia della Chiesa, per il loro impegno. Non è affatto così, perché questa
identificazione è proprio il malinteso maggiore, per diverse ragioni.
Senza essere teologa e
facendo semplicemente appello ad una lettura logica degli avvenimenti (capisco
che è un approccio minimalista), mi sembra chiaro che Maria, madre di Gesù,
svolga evidentemente un ruolo fondamentale che gli apostoli non possono
svolgere. L'umanità stessa di Gesù è impossibile senza una mamma che gli dia la
vita e che lo accompagni ogni volta che le circostanze lo richiedano. In
questo, sì, il ruolo di Maria è e resterà fondamentale.
In secondo luogo, associare
tutte le donne all'immagine della vergine è un passo in più in una deriva che
immobilizza da molto tempo la gerarchia cattolica nelle sue relazioni con
l'altra metà dell'umanità.
La visione della donna
vergine e/o madre, idealizzata all'interno della Chiesa da secoli (l'argomento stesso
pone problemi, in particolare per quanto riguarda l'importanza talvolta
smisurata del culto mariano), è molto lontana dalla realtà degli incontri di
donne che Gesù vive e che i vangeli ci raccontano: una straniera, un'impura,
un'adultera... Sono anche loro donne che affermano la loro fede, che lo
seguono, che lo accompagnano fino alla croce e che annunciano la sua
resurrezione la mattina di Pasqua. Questo mi sembra il riferimento da porre
accanto a quello degli apostoli maschi.
Non riconoscere che le donne
possono essere umanamente deboli quanto lo sono stati gli apostoli (talvolta
zoticoni, spesso pieni di paura), significherebbe porle in un contesto di
richieste talmente alte che sarebbe ben difficile per loro rispondere alle
attese. Perché non constatare invece che le donne possono, come gli apostoli e
i loro successori, esercitare delle responsabilità reali nelle comunità,
affermare e annunciare la loro fede, a volte con interrogativi e dubbi, con
imperfezioni, con personalità diverse?
Tutte queste caratteristiche
le condividiamo, uomini e donne, nei limiti della nostra umanità messa a servizio
di Colui che ci porta a proclamare la Sua Parola.
Sviluppare la riflessione
sulle responsabilità delle donne nella Chiesa partendo dalla persona di Maria
sarebbe quindi, a mio avviso, un errore di partenza e una strada senza uscita.
Quanto all'idea di
approfondire una “teologia della donna”, che cosa significa? Non è incongruo?
La teologia è lo studio di
Dio, il tentativo di comprendere Dio così come si è rivelato all'umanità. Ora,
la donna non è Dio. In questo senso, i termini “teologia della donna” sono già
sorprendenti. E se questo vuol dire un'altra cosa, se bisogna tentare di
trovare un altro modo comprendere Dio, un modo femminile, che sarebbe diverso
da quello maschile, allora si possono temere altre forme di segregazione.
Non sarebbe più semplice e
più sano inserire le donne nei luoghi ufficiali di interpretazione delle Scritture
e della Tradizione, riconoscere e valorizzare il lavoro realizzato già fin d'ora,
spesso d'intesa con i loro colleghi maschi, da donne teologhe, bibliste,
esegete, ma anche da quelle che lavorano nella pastorale, nella catechesi...
A conclusione delle mie
reazioni, voglio solo sperare che le voci che si esprimono in forma di risposta
alle dichiarazioni di Francesco siano ascoltate come piste da aprire per
avanzare insieme all'interno di una Chiesa che sia domani un po' più paritaria
di oggi
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