di
Rocco Gumina
Nel clima politico e sociale di confusione e
di incertezze che ci troviamo a vivere in questi tempi, Silvio Berlusconi ha
pensato bene di sfruttare l’assist dell’amico-nemico Marco Pannella
rappresentato dalla raccolta firme per i dodici referendum sulla giustizia, per
il matrimonio breve, per l’abolizione dell’8X1000 alle confessioni religiose
ecc. L’occasione presentata era ghiotta perché gli ha permesso di tornare in un
contesto particolare sul tema della giustizia, e pertanto delle sue vicende con
essa, come ormai fa da diverse settimane prima e dopo la sentenza di condanna
che ha ricevuto. Il tema è il motore, rappresenta il demiurgo per il futuro del
governo di grossa coalizione targato Letta. Infatti al di là dell’incomprensibile
battaglia sull’IMU - date le ricadute negative in termini fiscali che ci saranno
in ambito locale e in investimenti su sicurezza e altro - che il governo pare
essere riuscito a superare, la vicenda giudiziale di Berlusconi - e non la
giustizia in Italia – con i suoi continui risvolti è la questione che sembra reggere
le sorti imminenti e future della nostra nazione. Oltre i
naturali e immediati ragionamenti politici, morali e intellettivi che la
situazione suscita, il problema è serio e ci mostra come e quanto il Paese
Italia sia mutato nel corso dei sessant’anni post secondo conflitto mondiale, e
non sempre in meglio.
Nella circostanza della firma dei suddetti
referendum, Berlusconi ha pronunciato qualcosa che mi pare essere rimasta al
palo del dibattito giornalistico nostrano. Ovvero egli ha affermato che se nel
’47 i comunisti avessero “tolto di mezzo” De Gasperi, avrebbero fatto un grosso
torto alla nazione e la nostra democrazia oggi non sarebbe quella che è
divenuta. Pertanto Berlusconi, che rischia di uscire dal Senato, perché condannato
dopo tre gradi di giudizio, si è paragonato ad uno dei più illustri fondatori
della nostra democrazia: il leader della DC, incarcerato dai fascisti, con
processo di beatificazione in corso Alcide De Gasperi.
Non è la prima volta che Berlusconi si equipara
al celeberrimo statista della DC. Famosa, infatti, è la sua affermazione circa
la durata e la produttività maggiore dei suoi governi rispetto a quelli del
leader trentino. Ma in questo caso le sue osservazioni mi sembrano più gravi.
Non per la questione dell’oggettiva differenza di statura umana, morale,
culturale e politica che intercorre fra le due personalità e che il cavaliere
sembra oscurare, ma perché tale espressione rischia di raccontare un vivere e un
realizzare le dimensioni della politica in condizioni del tutto diverse e
innaturali rispetto agli anni successivi alla seconda guerra mondiale.
Gli avversari di De Gasperi, ovvero il
Partito Comunista Italiano guidato da Palmiro Togliatti, mai e poi mai
avrebbero “tolto di mezzo” tramite la giustizia il segretario del più grande e
rappresentativo partito italiano, non ne avevano il minimo motivo. Invece
attraverso il linguaggio, la metodologia e l’impegno politico cercarono con
grandi sforzi di impedirgli di governare poiché possedevano e volevano proporre
un’idea alternativa di società. Questo dato è molto importante. Esso ci dice
che in quegli anni la questione era prettamente politica e pertanto riproduceva
le istanze collettive di un’intera nazione. Oggi le vicende sono meramente e
miseramente personali. Il PDL, come diversi e diversi altri partiti, esiste non
per manifestare rappresentanza sociale e ideale di almeno una parte degli
italiani, ma per difendere gli interessi del proprio leader. Tutto questo era
impossibile ai tempi di De Gasperi e di Togliatti. Dunque, nonostante le
promozioni e le facili occasioni bisogna stare sempre attenti a scegliere
l’originale. Sebbene costi più fatica rispetto alle battute pronunciate tra un
telegiornale e un banchetto di raccolta firme, alla fine conviene sempre
rifarsi all’esempio di chi ha servito l’Italia e la collettività e raffigura
dopo più di sessant’anni uno dei pochi lucidi esempi per le future generazioni.
Per ripartire non si può che seguire l’esempio di questi personaggi che in
mezzo alle macerie hanno trovato uno spirito fecondo di ricostruzione. Oggi le
nostre macerie non sono materiali ma morali, di formazione culturale e di
educazione politica. La sfida sarà meno difficile da affrontare e superare rifacendosi
all’originale.
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