di Lorenzo
Banducci
Torino te la immagineresti grigia, fredda e persino
un po’ rigida. Popolata di persone in abiti scuri, che vagano con le loro
valigette, perse nei loro pensieri e concentrate nei loro affari. Come in tutti
i pregiudizi la falsità scompare di fronte alla realtà dei fatti. Torino e la
sua gente, Torino e le sue vie mi hanno accolto con affetto e grande dolcezza
dal 12 al 15 settembre per la 47° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani.
Torino ha saputo mostrare il suo lato migliore, che è fatto anche di quelle
figure sul cui volto brilla incessante la luce della fede e di Cristo. Torino e
i suoi “Santi Sociali”: da don Bosco ad Allamano, dal Murialdo al Cottolengo
hanno illuminato dal Cielo questa importante momento per la Chiesa Italiana.
- La famiglia al
centro
Il tema della settimana sociale: “La
famiglia, speranza e futuro per la società italiana” è stato largamente
sviluppato da autori illustri e dai laboratori, vero strumento di confronto e
dibattito fra i partecipanti all’interno della settimana. Positivi alcuni
spunti emersi che prevedono sostanzialmente un’attenzione particolare al
sistema famiglia, così in crisi in questi anni. Dal fisco, al lavoro, dalla
maternità/genitorialità, all’educazione dei figli, dall’attenzione alle famiglie
immigrate, all’ambiente. Sono stati tanti i temi toccati, forse perfino troppi
in così poco tempo, ma sicuramente hanno avuto il merito di portare a
riflettere le persone e a confrontarsi su un cammino che comincia adesso, ma
che richiede di essere sviluppato in futuro anche nelle singole diocesi.
- Criticità della
settimana
Inevitabile per me non porre l’accento in
queste righe su alcune criticità che hanno caratterizzato la settimana sociale.
Innanzitutto ammetto di aver trovato
difficoltà nel praticare quello spirito di povertà e di umiltà a cui
continuamente ci richiama il Vangelo e sul quale non smette mai di insistere
Papa Francesco. Per povertà, sia chiaro, non intendo pauperismo o sciatteria,
ma semplicemente sobrietà. Non possiamo chiedere alle nostre istituzioni sforzi
e sacrifici se non ci impegniamo in prima istanza nel metterle in atto a pieno
nei nostri ambienti. Ecco perché avrei forse evitato, fossi stato nella CEI, le
prenotazioni negli hotel di lusso ed il maxi-schermo sul palco del teatro sopra
il quale si sono tenute le relazioni (giusto per citare due cose). Proprio
pochi giorni fa Papa Francesco aveva invitato ad ospitare i rifugiati nei
conventi e nelle strutture ecclesiastiche, non sarebbe stato altrettanto
fattibile fare questo almeno per alcuni di coloro che sono accorsi a Torino
così da provare ad abbattere le spese e venire incontro alle Diocesi e alle
associazioni? E’ uno stile sul quale ancora dobbiamo lavorare come Chiesa, per
diventare più credibili agli occhi del Mondo che da fuori ci guarda.
Entrando invece nel merito dei contenuti
della settimana, non posso non notare, come aspetto critico, almeno un paio di
mancanze:
a) Non ho sentito fare, in 4 giorni di
confronti e conferenze, una minima auto-critica nè da parte dei vertici della
Chiesa Italiana, né da parte dei laici sull’attuale condizione della famiglia
nel nostro Paese. E’ impossibile quantomeno non porci degli interrogativi su
tale tema. Siamo sicuri, ad esempio, che avvenga in modo adeguato la
preparazione delle giovani coppie al sacramento del matrimonio, o troppo spesso
tale passaggio viene considerato una pura formalità? I giovani, dopo la
Cresima, vengono seguiti con attenzione e con percorsi seri di formazione e di
discernimento vocazionale da parte delle nostre comunità, oppure tendono a
venir abbandonati a loro stessi? Come è possibile che in 50 anni di governi, in
buona parte guidati da politici di ispirazione cattolica, non si siano fatte
riforme concrete per la famiglia? Siamo sicuri, come ho sentito ripetere, che
“non ce le abbiano fatte fare” tali riforme?
E’ solo dopo aver risposto con puntualità
a tali interrogativi che potremo iniziare a fare un discorso concreto
riguardante i problemi esterni al nostro mondo cattolico che hanno condizionato
l’attuale crisi del sistema familiare italiano. La tanto richiamata “teoria del gender”, che sicuramente non aiuta la famiglia, andrebbe forse vista,
parafrasando il Vangelo, più come la pagliuzza nell’occhio dell’interlocutore
rispetto alla trave che non ci permette di vedere con chiarezza all’interno dei
nostri cuori.
b) Un’altra mancanza che mi ha colpito è
stata quella riguardante le problematiche delle coppie conviventi e dei
divorziati. Sicuramente si tratta di questioni che richiedono cautela e
attenzione, ma mi sarebbe piaciuto quantomeno l’utilizzo di un lessico diverso.
Il poco tepore che emana l’affermazione “cordiale attenzione”, pronunciata dal Cardinal Bagnasco, da rivolgere alle coppie separate è indice di una formalità
e di una rigidezza di cui la Chiesa italiana deve liberarsi, come ci si libera
da un peso, per affrontare concretamente temi che riguardano una grossa
percentuale delle nostre famiglie.
3. Un’esperienza di crescita e un
messaggio di speranza
Questi tre giorni torinesi sono stati una
grande esperienza di crescita e formazione. Ho potuto stringere legami e
allargare il raggio delle mie conoscenze. La condivisione delle nostre attività
diocesane e associtative è stata sicuramente il frutto più bello che porterò
nel cuore. Da Torino emerge un’Italia che ha voglia con i suoi laici di uscire
dai gusci, di proporre idee innovative per le proprie città, di diventare
protagonista di una nuova evangelizzazione per le strade, nei quartieri, nei
luoghi di lavoro. Mi piacerebbe che questa idea nuova di Chiesa prendesse
slancio e linfa nuova anche nella mia Diocesi. Sogno dei laici attivi e
propositivi che, formati alla luce del Vangelo e affiancati da presbiteri dallo
sguardo lungo, sappiano farsi promotori di uno stile nuovo di cui Lucca ha
molto bisogno. Sconfiggere un altro pregiudizio riguardante la freddezza e
l’egoismo dei lucchesi (dopo quello del grigiore dei torinesi), è la speranza
più bella che porto a casa.
Commenti