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Incontro con Serena Noceti


    Durante la settimana teologica del MEIC Maria Savigni ha avuto modo di porre alcune domande alla professoressa Serena Noceti, docente stabile ordinario di teologia sistematica  presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “I. Galantini” di Firenze, che tiene corsi presso la Facoltà teologica dell’Italia centrale e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Arezzo e che è vicepresidente dell’Associazione Teologica Italiana

    E’ possibile ri-pensare la chiesta sotto una prospettiva di genere? In che modo la frattura tra Chiesa e donne che si è creata negli ultimi decenni può essere ricomposta?
    Penso che sia la sfida fondamentale del periodo post-conciliare. Con il Concilio infatti è stata recuperata una soggettualità dei laici e quindi si è potuto riscoprire la presenza ed il valore delle donne, che hanno potuto assumere ruoli ministeriali: le donne sono oggi catechiste, missonarie, studiose di teologia e voci competenti all’interno della Chiesa. I soggetti che pensano la Chiesa non sono più i sacerdoti celibi, ma soggetti, che possono essere uomini o donne. Sulla base della lettera ai Galati cap. 5 versetti 26-28 infatti si afferma che attraverso il battesimo siamo tutti uguali in Cristo Gesù, uomini e donne, e non ci devono essere discriminazioni sulla base della provenienza religiosa (ebraica o pagana), sociale, ed anche sessuale. Si tratta di una sfida possibile e anzi necessaria per l’evangelizzazione. Purtroppo però ancora poco è stato recepito degli studi delle donne, mancano spazi di confronto. Questa frattura si risanerà quando si darà maggiore ascolto alle donne considerandole non più come semplici destinatarie del messaggio evangelico ma si riconosceranno le esperienze di vita delle donne, sia nell’ambito pubblico che privato; quando non si pretenderà di imporre un certo modello antropologico di moglie e madre alle donne e inizierà un processo di riflessione, prendendo consapevolezza che la maggior parte dei praticanti sono di sesso di femminile. Nel momento in cui cadranno gli stereotipi di genere e le strutture patriarcali che vedono le donne impegnate alla base ma praticamente assenti laddove si prendono decisioni, allora sarà possibile arrivare ad un nuovo modello di Chiesa.

    Quale contributo alla riflessione teologica possono portare gli studi di genere? Quali sono le linee di ricerca all’interno della teologia contemporanea?
    Il genere è una categoria analitica. A partire dagli anni ’70 sono nate diverse scuole di pensiero, e ritengo importante – al contrario di quanto affermato nelle teorie performative di genere – che le differenze uomo-donna siano state culturalmente definite. Nell’ambito teologico bisogna considerare non più la donna come atto secondo della creazione, e rivedere anche l’ambito della teologia trinitaria, per riscoprire il volto materno di Dio e ripensare la teologia dei sacramenti, oltre che spirituale, riscoprendo le figure mistiche femminili. Le donne sono state particolarmente valorizzate nell’ambito esegetico, in cui il loro contributo è stato riconosciuto come significativo (vedi Pontificia commissione biblica sull’interpretazione della Scrittura nella vita della Chiesa n° 57). Un altro ambito da ripensare è quello della teologia liturgica e dei ministeri, come il diaconato femminile.

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